Cominciano ad essere parecchie le persone che sperano in una Giorgia Meloni che abbandoni la sua fede nazionalistica, identitaria e patriottica, assieme ai pericoli incombenti di “sostituzioni etniche” denunciati. E che diventi addirittura europeista, con qualche ragionevole apertura verso gli immigrati, da non lasciare rinchiusi nel carcere albanese: anche perché, di fronte a un nostro forte calo demografico, ne avremo bisogno.
Dalle avances europee ai simboli identitari
Dopo le sue timide e ancora confuse avances verso un’Europa politicamente unita, e dopo il suo gran tour in giro per il mondo, portando assieme ai suoi stereotipati e finti sorrisi anche i saluti dell’UE, con al seguito un baule pieno di vestiti ma con la certezza delle aperture di tutti i telegiornali italiani su queste sue gite, suppongo che queste persone che la valutano anche come nuova europeista si attendano che voglia addirittura cambiare il simbolo e il nome del suo partito, assieme alla fiamma di tragici ricordi: da FdI a FdE, da Fratelli d’Italia a Fratelli d’Europa.
Ma dimenticando, tuttavia, che nonostante il suo continuo richiamarsi al cristianesimo, Papa Francesco andava oltre: perché ci voleva “Fratelli tutti”.
Dalle origini missine alla leadership di governo
Diciamo allora la verità. Passi avanti, rispetto ai valori sui quali è cresciuta e si è formata – al suo patriottico Fronte della Gioventù e all’MSI di Colle Oppio, sin dai suoi quindici anni – ne ha fatti.
Solo che anche nel nome del suo partito si trascina un forte ricordo di nazionalismo col timbro di Goffredo Mameli, che andava sicuramente bene nell’Ottocento. Assieme alla proposta di un “capo forte”, sotto forma di presidenzialismo, avanzata a suo tempo dal suo mentore Giorgio Almirante, e da lei ora addolcita col premierato.
Una Meloni diversa, ma non risolta
Sarà per la prestigiosa carica che ricopre e per i ripetuti incontri internazionali, saranno i consigli del suo entourage, sarà la speranza della sua riconferma, sarà anche perché ha forse capito che i “cambiamenti d’epoca” sotto i nostri occhi stanno marginalizzando il ruolo storico dell’Europa, collocandola silenziosa in un angolo appartato, è tuttavia onesto dire che la Meloni di oggi è diversa dalla Meloni di Colle Oppio.
E la mia opinione è che coloro che pensano a una seria alternativa partitica, politica e culturale bisognerebbe che partissero da questa ovvia constatazione.
Consensi, apprezzamenti e giudizi trasversali
E dunque, oltre ai sondaggi che le danno un indice di gradimento personale più o meno attorno al 43%, oltre al suo partito fisso sul 28–30% di consensi – che dovrebbero far aprire gli occhi alla Schlein e soci – oltre all’apprezzamento del suo governo da parte del 44% degli italiani, sono arrivati nel tempo gli elogi sfumati di Walter Veltroni (“…la migliore del suo schieramento… e con un linguaggio semplice”), quelli di Pier Ferdinando Casini (“…Giorgia Meloni è l’unica cosa che regge di questo governo”), quelli di Pierluigi Bersani che ne ha sottolineato le notevoli capacità comunicative, e quelli di Romano Prodi che, rispondendo a Lilli Gruber, ha fatto sapere – pensando sicuramente alla Schlein – che pur vedendo inesistente, allo stato delle cose, una vera alternativa alla Meloni, non la considera un pericolo per la democrazia.
A questi si è aggiunto anche D’Alema. Tutti uomini politici di spessore, sui cui giudizi non si può scherzare.
Illusioni democratiche e nodi irrisolti
Tutto bene dunque?
Non credo proprio. Perché nei confronti di chi si illude che la Meloni abbia in testa una democrazia partecipata dalla base e plurale, con tutti i sacrosanti corpi intermedi a partire dai Comuni, e che si sia trasformata in una europeista convinta dopo aver probabilmente letto don Luigi Sturzo – che, come dicono gli storici, sin dal lontano 1929 in esilio suggeriva proprio gli Stati Uniti d’Europa contro la chiusura nazionalistica del nuovo regime – c’è da essere cauti.
Una Meloni dimentica evidentemente anche di tutti i burroni e i vuoti culturali e ideologici che deve superare, ma che vanno oltre la sua radice missina.
Il rapporto con Trump e l’ombra dell’autocrazia
Uno di questi forti precipizi è racchiuso nella stima reciproca e nella robusta amicizia nata con quell’affarista di palazzi e grattacieli di 58 piani. Quei Trump Tower che il tycoon proprietario, d’accordo con Netanyahu, vuole edificare – a sue spese, per poi ricavarne utili – sulla Striscia di Gaza. Ricordo che la Meloni è stata l’unico capo di governo europeo invitato alla cerimonia di giuramento di Trump a Capitol Hill.
Un tycoon, Trump, con i consensi in forte calo non solo in America, che sta uccidendo la storica democrazia USA e che interpreta bene anche l’idea autocratica che sta prendendo piede in Occidente: senza partiti e Parlamenti di mezzo, con la prassi di un’economia liberista di affari privati, con al centro solo e soltanto il mercato.
Narcisismo del potere e crisi democratica globale
Un uomo che si prende il lusso di rifiutare il visto d’ingresso a un commissario UE, che ignora completamente la stretta relazione indispensabile tra politica e cultura, tra moderazione dei comportamenti e democrazia partecipata, tra gestione del governo e rispetto della dignità umana con i suoi diritti.
E infine, dal momento che sta persuadendo le democrazie del mondo a praticare test attitudinali prima delle elezioni dei loro presidenti, viene da chiedersi se non abbia bisogno di approfonditi controlli medici sul suo equilibrio psichico e mentale, quando ormai si è capito che ha una fonte dentro casa dove si lava e si specchia tutte le mattine, come il suo mitologico Narciso che ha sempre in testa.
Oltre destra e sinistra: una riflessione conclusiva
Concludo questa lunga chiacchierata e chiudo questo appunto con due mie – ormai vecchie – opinioni.
La prima riguarda il superamento delle categorie destra, sinistra e centro consegnateci dalla storia. Dovremmo abituarci al più presto a questa trasformazione, lavorandoci sopra urgentemente, azzerando i nostri pregiudizi e, se proprio ci teniamo, ridefinendo gli spazi orizzontali di destra e sinistra con quelli dei primi e degli ultimi, oppure con spazi verticali di alti e bassi. Sarebbe tuttavia meglio abbandonare destra e sinistra e inserire da subito la differenza fra i tifosi della diseguaglianza e quelli dell’uguaglianza, come suggerì Norberto Bobbio tanti anni fa.
L’ur-fascismo di Eco
Oggi, anche se non lo vogliamo accettare, Meloni rappresenta una nuova destra, forse quella dell’“Ur-fascismo”, il fascismo eterno: fatto solo da “modi di pensare e sentire… nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni…”, che però non è fascismo, come ci ha ricordato Umberto Eco.
La seconda riguarda la crisi della nostra fragile democrazia occidentale, con tutto il suo nobile pluralismo, e dei partiti che la caratterizzano: una crisi evocata da una serie di studiosi come post-democrazia. Una democrazia partecipata, non solo in Italia, sempre più solo dalla metà dei cittadini aventi diritto di voto, che vede l’emergere fragoroso e senza contropoteri efficaci di un neoliberismo economico e finanziario di soli mercati, oggi globali.
Un sistema gestito da quell’1% di miliardari – peraltro in crescita – che detiene dal 37% al 46% circa della ricchezza mondiale, controlla l’intelligenza artificiale, il digitale e il nuovo lavoro in tutte le sue versioni, e che da tempo non si esime dal controllare anche la democrazia politica, la partecipazione democratica e la comunicazione sociale delle persone, con i loro diritti umani.