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lunedì, 16 Giugno, 2025
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Mattarella ricorda gli eccidi delle foibe

Benvenuti al Quirinale. Rivolgo un saluto al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Corte costituzionale e al Vice Presidente del Senato.

Un ringraziamento a quanti sono intervenuti, contribuendo in maniera efficace a illustrare, a far rivivere e a comprendere il senso di questa giornata del Ricordo.

Celebrare il Giorno del Ricordo significa rivivere una grande tragedia italiana, vissuta allo snodo del passaggio tra la II guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda. Un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Mentre, infatti, sul territorio italiano, in larga parte, la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave.

Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo: quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti.

Un destino crudele per gli italiani dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia, attestato dalla presenza, contemporanea, nello stesso territorio, di due simboli dell’orrore: la Risiera di San Sabba e le Foibe.

La zona al confine orientale dell’Italia, già martoriata dai durissimi combattimenti della Prima Guerra mondiale, assoggettata alla brutalità del fascismo contro le minoranze slave e alla feroce occupazione tedesca, divenne, su iniziativa dei comunisti jugoslavi, un nuovo teatro di violenze, uccisioni, rappresaglie, vendette contro gli italiani, lì da sempre residenti. Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni.

Tanti innocenti, colpevoli solo di essere italiani e di essere visti come un ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia rivoluzionaria del comunismo titoista. Impiegati, militari, sacerdoti, donne, insegnanti, partigiani, antifascisti, persino militanti comunisti conclusero tragicamente la loro esistenza nei durissimi campi di detenzione, uccisi in esecuzioni sommarie o addirittura gettati, vivi o morti, nelle profondità delle foibe. Il catalogo degli orrori del ‘900 si arricchiva così del termine, spaventoso, di “infoibato”.

La tragedia delle popolazioni italiane non si esaurì in quei barbari eccidi, concentratisi, con eccezionale virulenza, nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945.

Alla fine del conflitto, l’Italia si presentava nella doppia veste di Paese sconfitto nella sciagurata guerra voluta dal fascismo e, insieme, di cobelligerante. Mentre il Nord Italia era governato dalla Repubblica di Salò, i territori a est di Trieste erano stati formalmente annessi al Reich tedesco e, successivamente, vennero direttamente occupati dai partigiani delle formazioni comuniste jugoslave.

Ma le mire territoriali di queste si estendevano anche su Trieste e Gorizia. Un progetto di annessione rispetto al quale gli Alleati mostravano una certa condiscendenza e che, per fortuna, venne sventato dall’impegno dei governi italiani.

Certo, non tutto andò secondo gli auspici e quanto richiesto e desiderato. Molti italiani rimasero oltre la cortina di ferro. L’aggressività del nuovo regime comunista li costrinse, con il terrore e la persecuzione, ad abbandonare le proprie case, le proprie aziende, le proprie terre. Chi resisteva, chi si opponeva, chi non si integrava nel nuovo ordine totalitario spariva, inghiottito nel nulla. Essere italiano, difendere le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria religione, la propria lingua era motivo di sospetto e di persecuzione. Cominciò il drammatico esodo verso l’Italia: uno stillicidio, durato un decennio. Paesi e città si spopolavano dalla secolare presenza italiana, sparivano lingua, dialetti e cultura millenaria, venivano smantellate reti familiari, sociali ed economiche.

Il braccio violento del regime comunista si abbatteva furiosamente cancellando storia, diversità, pluralismo, convivenza, sotto una cupa cappa di omologazione e di terrore.

Ma quei circa duecentocinquantamila italiani profughi, che tutto avevano perduto, e che guardavano alla madrepatria con speranza e fiducia non sempre trovarono in Italia la comprensione e il sostegno dovuti. Ci furono – è vero – grandi atti di solidarietà. Ma la macchina dell’accoglienza e dell’assistenza si mise in moto con lentezza, specialmente durante i primi anni, provocando agli esuli disagi e privazioni. Molti di loro presero la via dell’emigrazione, verso continenti lontani. E alle difficoltà materiali in Patria si univano, spesso, quelle morali: certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, come nemici del popolo che rifiutavano l’avvento del regime comunista, come una massa indistinta di fascisti in fuga. Non era così, erano semplicemente italiani.

La guerra fredda, con le sue durissime contrapposizioni ideologiche e militari, fece prevalere, in quegli anni, la real-politik. L’Occidente finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito, considerato come un contenimento della aggressività della Russia sovietica. Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani, cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria.

Solo dopo la caduta del muro di Berlino – il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea – una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione.

L’istituzione, nel 2004, del Giorno del ricordo, votato a larghissima maggioranza dal Parlamento, dopo un dibattito approfondito e di alto livello, ha suggellato questa ricomposizione nelle istituzioni e nella coscienza popolare.

Ricomposizione che è avvenuta anche a livello internazionale, con i Paesi amici di Slovenia e Croazia, nel comune ripudio di ogni ideologia totalitaria, nella condivisa necessità di rispettare sempre i diritti della persona e di rifiutare l’estremismo nazionalista. Oggi, in quei territori, da sempre punto di incontro di etnie, lingue, culture, con secolari reciproche influenze, non ci sono più cortine, né frontiere, né guerre. Oggi la città di Gorizia non è più divisa in due dai reticolati.

Al loro posto c’è l’Europa, spazio comune di integrazione, di dialogo, di promozione dei diritti, che ha eliminato al suo interno muri e guerre. Oggi popoli amici e fratelli collaborano insieme nell’Unione Europea per la pace, il progresso, la difesa della democrazia, la prosperità.

Ringrazio gli ambasciatori di Slovenia, di Croazia e del Montenegro per la loro presenza qui, che attesta la grande amicizia che lega oggi i nostri popoli in un comune destino. Ringrazio l’on. Furio Radìn, Vice Presidente del Parlamento Croato, in cui è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Croazia; e l’on. Felice Ziza, deputato all’Assemblea Nazionale Slovena, ove è stato eletto come rappresentante della Comunità nazionale italiana di Slovenia.

Desidero ricordare qui le parole di una dichiarazione congiunta tra il mio predecessore, il Presidente Giorgio Napolitano, che tanto ha fatto per ristabilire verità su quei tragici avvenimenti, e l’allora Presidente della Repubblica di Croazia Ivo Josipović del settembre 2011:

“Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell’Europa unita, mai più. Condanniamo ancora una volta le ideologie totalitarie che hanno soppresso crudelmente la libertà e conculcato il diritto dell’individuo di essere diverso, per nascita o per scelta”.

L’ideale di Europa è nata tra le tragiche macerie della guerra, tra le stragi e le persecuzioni, tra i fili spinati dei campi della morte. Si è sviluppata in un continente diviso in blocchi contrapposti, nel costante pericolo di conflitti armati: per dire mai più guerra, mai più fanatismi nazionalistici, mai più volontà di dominio e di sopraffazione. L’ideale europeo, e la sua realizzazione nell’Unione, è stato – ed è tuttora – per tutto il mondo, un faro del diritto, delle libertà, del dialogo, della pace. Un modo di vivere e di concepire la democrazia che va incoraggiato, rafforzato e protetto dalle numerose insidie contemporanee, che vanno dalle guerre commerciali, spesso causa di altri conflitti, alle negazioni dei diritti universali, al pericoloso processo di riarmo nucleare, al terrorismo fondamentalista di matrice islamista, alle tentazioni di risolvere la complessità dei problemi attraverso scorciatoie autoritarie.

Molti tra i presenti, figli e discendenti di quegli italiani dolenti, perseguitati e fuggiaschi, portano nell’animo le cicatrici delle vicende storica che colpì i loro padri e le loro madri. Ma quella ferita, oggi, è ferita di tutto il popolo italiano, che guarda a quelle vicende con la sofferenza, il dolore, la solidarietà e il rispetto dovuti alle vittime innocenti di una tragedia nazionale, per troppo tempo accantonata.

Il 10 febbraio si celebra il “Giorno del ricordo” in tutta Italia La tragedia delle foibe e l’esodo giuliano – dalmata ignorata per troppi anni!

Nel nostro Paese il 10 febbraio di ogni anno si celebra il “Giorno del ricordo”.

La solennità civile nazionale italiana (istituita con la legge n°92 del 30 marzo 2004) per commemorare le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano – dalmata. Questa travagliata legge, che ha visto la luce dopo oltre mezzo secolo, dalla fine dalle vicende della seconda guerra mondiale, dimostra quanto sia stato difficile trovare un giudizio storico condiviso, nel Parlamento italiano, su fatti e accadimenti, che sono rimasti nell’ombra per troppo tempo, sconosciuti e ignorati,  e spesso anche negati.

Lo spirito e il senso della legge, che istituisce il “Giorno del ricordo,” è quello “ di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo (circa 300.000 persone), dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.

Questa ricorrenza assume un valore anche culturale e didattico particolare, perché occorre ricordare come nel 2015, decennale della celebrazione del 10 febbraio, fra le molte iniziative programmate,  ha assunto un significato particolare la determinazione emanata del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Infatti si affermava che: “In occasione di questa giornata, le scuole di ogni ordine e grado sono invitate, nella piena autonomia organizzativa e didattica, a prevedere iniziative volte a diffondere la conoscenza dei tragici eventi che costrinsero centinaia di migliaia di italiani, abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, a lasciare le loro case, spezzando secoli di storia e di tradizioni”.

Inoltre veniva sottolineata l’ importanza della: “ Collaborazione con le Associazioni degli esuli, le quali potranno fornire un importate contributo di analisi e di studio, a sensibilizzare le giovani generazioni su questi su questi tragici fatti storici, al fine di ricordare le vittime e riflettere sui valori fondanti della nostra Costituzione. Il Concorso Nazionale “10 Febbraio”, dell’anno scolastico 2018/2019, promosso dal MIUR, ha come tema: “Le vicende del confine orientale  e il mondo della scuola”. Un progetto che è finalizzato all’educazione europea e la cittadinanza attiva.

Le foibe, l’esodo e perché tanto silenzio? Perchè tanto buio per decenni, su fatti storici che ci riguardano? Dare risposte e cercare di capire, è fondamentale per fare memoria, in una fase della vita della nostra società che spesso valuta per “sentito dire” o non conosce, purtroppo, la storia.

Le foibe sono delle cavità naturali, dei pozzi, presenti sul Carso (altipiano alle spalle di Trieste e dell’Istria). Alla fine della Seconda guerra mondiale i partigiani di Tito vi gettarono migliaia di persone, alcune dopo averle fucilate, altre ancora vive, colpevoli di essere italiane o contrarie al regime comunista.

Ma quanti furono gli infoibati? Purtroppo è impossibile dire quanti furono gettati nelle foibe, circa 1000 sono state le salme esumate, ma molte cavità sono irraggiungibili, altre se ne scoprono solo adesso (60/65 anni dopo) rendendo impossibile un calcolo preciso dei morti.

Approssimativamente si può parlare di circa 11.000 persone uccise fra foibe e persone scomparse nei gulag (campi di concentramento) di Tito in Jugoslavia.

Chi erano gli infoibati? Erano prevalentemente italiani. In generale tutti coloro che si opponevano al regime comunista titino, vi erano anche sloveni e croati. Tra gli italiani vi erano non solo ex fascisti, ma podestà, segretari e impiegati comunali, carabinieri, partigiani, sacerdoti, guardie campestri, esattori delle tasse e ufficiali postali, un segno questo, della diffusa volontà di spazzare via chiunque potesse fare ricordare l’amministrazione italiana. Ma  soprattutto gente comune, colpevole solo di essere contro il regime comunista.

“Le vittime venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi delle foibe – racconta un fortunato sopravvissuto, nel libro di Gianni Oliva, Foibe, 2002 – bloccavano i piedi e i polsi tramite filo di ferro ad ogni singola persona con l’ausilio di pinze e successivamente, legavano gli uni agli altri, sempre con fili di ferro, poi sparavano al primo malcapitato del gruppo, che trascinava con se gli altri rovinosamente nelle viscere delle cavità naturali.” La foiba di Basovizza, una frazione nel comune di Trieste, luogo simbolo del martirio degli italiani, che in origine era un pozzo minerario, divenne dal maggio 1945, un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili da parte dei partigiani di Tito. A guerra finita, divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi, dal 1943 al 1945.

Il primo omaggio ufficiale delle più alte cariche dello Stato italiano, giunse solo nel 1991, dopo oltre 45 anni dalla fine della guerra, (periodo dell’inizio della dissoluzione della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica) con i Presidenti della Repubblica Cossiga e successivamente con Scalfaro.

Inoltre va richiamato che, il fenomeno dei massacri delle foibe, è da inquadrare storicamente nell’ambito della secolare disputa, fra italiani e popoli slavi, per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale. Nelle lotte intestine fra i diversi popoli, che vivevano in quell’area, e nelle grandi ondate di epurazioni jugoslave del dopoguerra, che colpirono centinaia di migliaia di persone in un paese nel quale, con il crollo della dittatura fascista, andava imponendosi quella di stampo filo-sovietico, con mire sui territori di diversi paesi confinanti.

Il buio sulla “tragedia negata” delle foibe e dell’esodo, alla fine del secolo scorso “si schiarì” con la pubblicazione di una decina di libri (1988/2005) di testimonianze, di documenti, di racconti con nomi e luoghi, su fatti e storie fino allora ignorate. Poi la legge sul “Giorno del Ricordo”, dopo 60 anni. Significative le parole, nel 2006, del Presidente Ciampi durante le celebrazioni del 10 febbraio dichiarò: “L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro”.

Il discorso venne ripreso nel 2007, da Giorgio Napolitano, che attribuì l’origine delle foibe ad “.. un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica” e sostenne come “La disumana ferocia delle foibe fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in Europa cultura e barbarie.” Ricordando infine che l’Europa “è nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espresso nella guerra nazifascista a quello espresso nell’ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia.”

 

Cgia: nel 2019 lavoreremo per pagare le tasse fino al 4 giugno

In seguito all’aumento della pressione fiscale, che secondo il ministero dell’Economia nel 2019 è destinata ad attestarsi al 42,3% (+0,4 rispetto all’anno scorso), si sposta di un giorno, al 4 giugno, il cosiddetto “tax freedom day”, il giorno di liberazione dal fisco. Il calcolo è stato effettuato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre.

Dopo più di cinque mesi dall’inizio del 2019, pari a 154 giorni lavorativi, il contribuente medio italiano smetterà così di lavorare per assolvere a tutti gli obblighi fiscali dell’anno, mentre dal 4 giugno inizierà a guadagnare per se stesso e per la propria famiglia.

Considerando che la giornata lavorativa inizia convenzionalmente alle 8:00, ogni giorno l’italiano medio lavora per pagare tasse e contributi fino alle 11:23, quasi tre ore e mezza al giorno, mentre gli rimangono quattro ore e mezza per “costruirsi” il reddito o la retribuzione netta.

Istat, oltre 60 milioni i residenti in Italia

L’Istituto nazionale di statistica ha stimato che, al 1° gennaio di quest’anno la popolazione si sia attestata a 60 milioni 391mila residenti, oltre 90mila in meno sull’anno precedente (-1,5 per mille). Le persone di cittadinanza italiana sono scese a 55 milioni 157mila unità (-3,3 per mille). I cittadini stranieri residenti sono 5 milioni 234mila (+17,4 per mille) e rappresentano l’8,7% della popolazione complessiva.

Nel 2018 sono state conteggiate 449mila nascite, ossia 9mila in meno del dato registrato nel 2017. Se poi si confrontano le cifre con i bambini venuti alla luce nel 2008, a distanza di due lustri si contano 128mila neonati in meno. Sempre in riferimento alle nascite, il numero medio di figli per donna (1,32) risulta invariato rispetto all’anno precedente e l’età media al parto continua a crescere, toccando per la prima volta la soglia dei 32 anni. Lo scorso anno i decessi sono stati 636mila, 13mila in meno rispetto al 2017. In rapporto al numero di residenti, nel 2018 sono mancati 10,5 individui ogni mille abitanti, contro i 10,7 di due anni fa. Il saldo naturale nel 2018 è stato negativo (-187mila), risultando il secondo livello più basso nella storia dopo quello del 2017 (-191mila).

Nel 2018 è stato registrato un nuovo aumento della speranza di vita alla nascita. Per gli uomini la stima è di 80,8 anni (+0,2 sul 2017) mentre per le donne è di 85,2 anni (+0,3). Il saldo migratorio con l’estero, positivo per 190mila unità, ha registrato un lieve incremento sull’anno precedente, quando risultò pari a +188mila. Ad aumentare sono state sia le immigrazioni, pari a 349mila (+1,7%), sia le emigrazioni, 160mila (+3,1%). I flussi in ingresso, dovuti principalmente a cittadini stranieri (302mila), hanno toccato il livello più alto degli ultimi sei anni e soltanto 40mila emigrazioni per l’estero, su 160mila complessive, hanno interessato cittadini stranieri. Ma il dato che dà da pensare è quello degli espatri che vede grandi numeri tra gli italiani di tutte le età, risultando più numerose le partenze che non i ritorni. Nel 2018 infatti,  sono stati 47mila i rimpatri e 120mila gli espatri.

Focolaio di morbillo a Rimini

L’Istituto per la sicurezza sociale, intervenendo sui 17 casi di morbillo registrati tra ragazzi non vaccinati delle scuole superiori della provincia di Rimini. ricorda che L’allerta morbillo resta alta nel Riminese.

Ma la priorità più importante adesso è evitare l’epidemia. Molti dei malati sono studenti delle scuole superiori. Per questo l’Ausl, fin dai primi casi conclamati, sta chiamando tutti coloro che sono stati a contatto con i soggetti contagiati, per verificare il loro stato di salute e per invitare a vaccinarsi. Sono circa 600 le persone sotto osservazione fin qui.

Intervento di Annamaria Furlan alla manifestazione nazionale unitaria Cgil Cisl Uil

“Grazie, grazie di cuore di essere qui a riempire questa piazza che per il popolo del lavoro ha un significato grande. Quello di oggi, lo diciamo con orgoglio, è un momento importante per la storia sindacale del nostro Paese”.

Così la Segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, nel suo intervento dal palco di Piazza San Giovanni nel corso della Manifestazione unitaria #FuturoalLavoro indetta da Cgil, Cisl, Uil per cambiare la linea economica del Governo e  “per chiedere interventi concreti per lavoratori e pensionati, per i giovani, per lo sviluppo, la crescita ed i diritti sociali”.

“Centro”, no a Pd e Forza Italia

Già pubblicato su Huffingtonpost

No al Pd e no a Forza Italia. Si potrebbe riassumere in queste poche parole la necessità, ormai richiesta a gran voce da autorevoli opinionisti e commentatori, di ricostruire un “centro” politico nel nostro paese. Un centro dinamico e riformista, non statico o puramente geografico. Certo, la richiesta non parte da vecchi ex democristiani e da inguaribili nostalgici ma da intellettuali e opinionisti estranei a tutto ciò che è seppur lontanamente riconducibile ad ogni ipotesi di politica di centro. E, nello specifico, ad un centro cattolico democratico e popolare.

La recente analisi di Angelo Panebianco, seguita a quella di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera, confermano che il sistema politico italiano e’ alla vigilia comprensibilmente di una ennesima trasformazione. Del resto, il mutamento profondo del profilo politico del Partito democratico – ormai avviato con Zingaretti a ridiventare un rinnovato ed aggiornato Pds, al di là della ennesima e anche un po’ patetica benedizione di Prodi – da un lato e il progressivo riassorbimento di Forza Italia nella Lega salviniana dall’altro, modificano radicalmente l’offerta politica a cui eravamo abituati da anni. E proprio Panebianco ha centrato il punto quando ha evidenziato che una cultura politica di centro quasi si impone in un sistema ormai proporzionale e soprattutto dopo l’avvento del governo giallo verde. Serve, cioè, un luogo politico, ovviamente non identitario, che sappia riproporre e recuperare ciò che ha rappresentato storicamente il miglior centro politico nella storia politica italiana. E cioè, cultura della mediazione, senso delle istituzioni, no alla radicalizzazione della dialettica politica, classe dirigente autorevole e competente, capacità di comporre gli interessi e riconoscimento pieno del pluralismo politico, sociale e culturale. Insomma, un luogo politico che ormai non può più essere banalmente rimosso come è stato fatto per lunghi 20 anni dominati dal dogma del bipolarismo e dalla democrazia maggioritaria. Ma, come dice sempre Panebianco, adesso il contesto è mutato e occorre prenderne atto. Sotto questo versante, un nuovo centro e’ destinato inesorabilmente a cambiare da un lato i partiti che avevano l’ambizione di rappresentare quel mondo culturale e quell’area elettorale e, dall’altro però, non può non tener conto dell’apporto decisivo della cultura cattolico democratica e popolare in quest’opera di ricostruzione. E questo non solo per motivazioni culturali e programmatiche ma anche perché nella concreta esperienza politica italiana la “politica di centro” e la “cultura di centro” sono sempre coincise con la tradizione e la cultura dei cattolici. E oggi, onestamente, proprio i principali detrattori storici e accademici di quella tradizione evocano e auspicano, seppur in forma aggiornata e rivista, il ritorno di un centro politico e riformista seppur, e giustamente, non identitario, che sappia garantire l’equilibrio democratico e costituzionale nel nostro paese.

Questo è il compito, oggi, di tutti i cattolici democratici e popolari che sono oggettivamente disorientati e senza rappresentanza politica. Cioè senza una casa politica. Al riguardo, è perfettamente inutile, se non anche un po’ ridicolo, che Zingaretti da un lato e Berlusconi dall’altro sostengano che i rispettivi partiti sono gli eredi del popolarismo sturziano e dell’ormai celebre “appello dei liberi e forti”. Dichiarazioni che si elidono reciprocamente perché, come tutti sanno, sono 2 partiti – Pd/Pds e Forza Italia – che ormai hanno cambiato profilo, ruolo e prospettiva rispetto al passato. Per questo la politica di centro e la cultura di centro devono, da adesso in poi, essere declinati con un nuovo soggetto politico, una nuova classe dirigente e un nuovo progetto politico.

Futuro al lavoro. Perché credere alla piazza sindacale del 9 febbraio

Articolo già pubblicato sulle pagine di /www.c3dem.it

Purtroppo, per un’influenza trascurata che rischiava di trasformarsi in polmonite, sabato non potrò essere a Roma alla manifestazione unitaria di Cgil Cisl e Uil.
Oggi, rileggendo il volantone della manifestazione mi sono tornati alla mente i miei primi mesi in Via Po, nella sede nazionale della Cisl, nell’estate del 2007.

Venivo dall’esperienza del Cesos, dalla ricerca, pur nel campo economico e sociale, venni catapultato subito nella “politica sindacale”, proprio nei giorni caldi dell’accordo con il Governo Prodi attraverso il c.d. “procollo welfare” del 23 luglio (data scelta non a caso…) .
Non tutti lo ricordano, ma quell’accordo fu sottoposto a “consultazione certificata” da Cgil, Cisl e Uil tra milioni di iscritti e lavoratori nelle aziende e nelle sedi sindacali. All’epoca l’unica grande organizzazione ad opporsi al protocollo fu la Fiom di Gianni Rinaldini che di lì a non molto avrebbe ceduto lo scettro di segretario generale a Maurizio Landini. Questo per dire che fu una consultazione non formale. I temi del protocollo del 2007 erano diversi, alcuni contribuii a sintetizzarli in un fondo in prima pagina per il quotidiano Europa intitolato: “Il nostro 23 luglio per i giovani”, concentrandomi soprattutto sulle facilitazioni della totalizzazione dei contributi per il lavoro non standard. Tornando all’oggi, ho pensato ad una domanda che mi ha fatto un amico, non ostile, ma nemmeno entusiasta verso la Cisl e il sindacato: Perché, per te, sabato è importante scendere in piazza?

Se dovessi sintetizzare, io credo che il tema principale sia: “per ridare dignità al lavoro”.
Combattere i tagli su salute e sicurezza, impegnarsi (al netto delle stortura che anche in questi giorni ci ha regalato una distratta Commissione Europea) per la tutela negli appalti e nei subappalti, per un impegno sociale e istituzionale contro il lavoro nero e lo sfruttamento, perché il lavoro sia strumento di integrazione sociale a 360° gradi. Certo, è un lavoro che cambia, velocissimamente. Pone nuove domande e necessita di nuove, non facili, risposte. Non di populismo, nemmeno sindacale e nemmeno di individualismo tardo-reaganiano.

Il lavoro necessita di investimenti e di visione, a partire, forse, non solo dalla mistica delle grandi opere, ma soprattutto da quell’immenso necessario piano di tutela del territorio e del patrimonio edilizio pubblico (scuole, ospedali, ponti) di cui ha tanto bisogno il nostro paese, a partire dalle già dimenticate periferie.
Ecco, io non ci credo proprio nella disintermediazione.
Certo, il sindacato deve cambiare e molto, dobbiamo cambiarlo.

Tanto tempo è passato da quell’estate del 2007, in cui ero entusiasta operatore alle prime armi del mercato del lavoro e della formazione in Cisl nazionale. Come tantissimi miei colleghi e amici ero e sono felice di poter dare un piccolissimo contributo. Nella Cisl, come nella cornice unitaria, che, nel 2007, di lì a non molto, purtroppo, si sarebbe perduta.
No, non credo in un sindacato unico.
Credo in un percorso e in un progetto unitario che parta dal basso, dal lavoro che si crea e che cerca nuove tutele e nuovi spazi di associazione, da un sindacato che, trasparentemente, può rappresentare un “super navigator”, nell’accompagnare e supportare le transizioni lavorative.

Credo in un sindacato che sappia affrontare la grande questione delle professionalità nel mondo produttivo in trasformazione e farsi ponte per l’ingresso tutelato e consapevole dei giovani nel lavoro.
Credo anche, a partire dai temi del lavoro e del modello sociale europeo, in un sindacato che sappia dare il proprio contributo urgente a cambiare nettamente questa Unione Europea, rafforzandone la missione oltre le false illusioni nazionaliste così forti anche tra i propri iscritti, non solo in Italia.
Per questo, per le persone e per il lavoro, occorre sabato essere in piazza. Incontrarsi in piazza. In un arcobaleno inclusivo di colori che sappia non solo chiedere, ma dare futuro al lavoro. Pronunciando parole chiare e nette, quando serve.

Se dovessi rispolverare uno slogan userei quello del congresso Cisl del 1969 (molto dibattuto all’epoca anche nell’organizzazione) di un “potere contro potere”. Che significa semplicemente che il sindacato confederale, unito, non ha paura, nel confronto con una politica, non da ora smarrita, di contribuire a delineare, a partire dal lavoro e dalla contrattazione, una società più equa e più giusta.
A partire da chi sta sotto, non da chi sta sopra. Come, tra gli altri, ci ha insegnato don Lorenzo Milani.
Buon viaggio a tutte e a tutti verso Roma (anche per me), per una Piazza San Giovanni unita, gremita e rivolta al futuro!

Francesco Lauria

Richiedesi primario da Nobel

Mi sto chiedendo fino a quando il popolo italiano accetterà questo stato di cose che sembra condurci alla rovina. Non credo di essere eccessivo perché, sentendo commenti provenienti da tutte le parti, facciamo pure la tara che alcuni lo facciano per partito preso, ma vista la vastità che converge su questa preoccupazione relativa agli atteggiamenti politici espressi da esponenti del governo nazionale, non si può non pensare che qualche verità veleggi all’interno di questa marea crescente.

Le condizioni economiche dimostrano, ogni giorni, quanta pesantezza gravi sul nostro presente e sul nostro prossimo futuro. Intrecciando confusione politica con fragilità economica, viene fuori un micidiale piatto al curaro.
Che cosa mai esprime tutto questo malessere?
Non può essere solo una sorta di imbecillità politica, almeno così io penso. Ci deve essere qualcosa di più profondo che è capitato e quanto si sta manifestando dovrebbe essere il sintomo di una rottura nel cuore dell’essere del nostro Paese. Non posso spiegarmi diversamente questi segnali così preoccupanti e, soprattutto, da molti anni non si intravveda una terapia che li sovverta, che li guarisca.

Amaramente devo considerare il male che, entra con questa violenza sulla scena con segnali così intensi e a tutti quanti visibili, un male di struttura. Come se il al nostro Paese si fosse incrinata l’ossatura di fondo del suo essere. Quindi, non si può stare solo a trovare rimedi immediati sul piano di superficie e quindi criticare Di Maio, criticare Di Battista, criticare Renzi e altri soggetti che negli ultimi tempi, sono apparsi sulla scena ma analizzare quell’oscuro male che ho definito male di struttura, senza un’analisi e un rimedio su quel piano. Perché domani, risolto il caso Di Maio, come è stato risolto il caso Renzi, riemergerà senza alcuna incertezza, un personaggio con le stesse fattezze.

Quindi, al Paese si deve chiedere un ripensamento globale della sua intelaiatura etico, politica ed economica che permetta, se ancor possibile, di uscire non dal raffreddore momentaneo ma da una malattia che sembra averne intaccato gli organi più delicati del suo corpo.

Le grandi responsabilità di chi ha favorito l’arrivo di Chavez e Maduro (e dei nostri attuali Robespierre)

La pessima politica economica dei governi di Chavez e di Maduro ha ridotto alla fame il 90% della popolazione venezuelana. E non è bastato l’esodo di 3 milioni di persone negli ultimi due anni per convincere alcuni governi, tra i quali l’Italia, a disconoscere la legittimità di Maduro a mantenere il potere. Alcuni giornalisti venezuelani, costretti a espatriare per continuare a scrivere in libertà, hanno dichiarato che partiti populisti come il M5S e Podemos hanno ricevuto a suo tempo generose “donazioni” da Maduro per esprimere la loro “simpatia” nei confronti del governo di Caracas.

Ma è importante risalire alle vere responsabilità di chi ha aperto la strada a tanto malgoverno. Risalgono ai governi degli ultimi decenni dello scorso secolo guidati sia da un partito di ispirazione cristiana (Copei) sia da un partito socialista (Accion Democratica). Entrambi non sono stati capaci di mantenere al servizio dello sviluppo economico del Venezuela i capitali dei grandi capitalisti, che hanno preferito dirottarli in gran parte verso la Florida (i lussuosi grattacieli di Miami, si dice, sono quasi tutti di proprietà dei ricchi venezuelani). Il disgusto di gran parte della popolazione per tali fughe di preziosi capitali è stato tale che nel 1998 il potere è passato nelle mani di Chavez.

Il Venezuela è così caduto dalla padella del malgoverno del Copei e dell’Accion Democratica nella brace dello chavismo, un misto di marxismo, di socialismo terzomondista d’ispirazione castrista e di teologia della liberazione. Gli Stati Uniti sono stati prima complici e poi avversari di almeno 50 anni di malgoverno in Venezuela. Ovviamente l’ispirazione cristiana promessa dal Copei è stata del tutto disattesa e tradita. Così per l’ennesima volta la Storia dimostra di non essere affatto, come invece spesso si dice, “maestra di vita”. Non lo fu, ad esempio, con la giusta protesta di Marx, che tuttavia voleva ottenere la giustizia sociale con la “medicina” sbagliata; non lo fu con Leone XIII, che diede la giusta “medicina” con la Rerum novarum, ma sempre rifiutata dai grandi capitalisti e dai sindacati; non lo fu con don Sturzo, sconfitto prima dal fascismo (aiutato a nascere dai grandi capitalisti) e poi sconfitto dallo statalismo (favorito dai partiti di sinistra e dai sindacati).

E’ comunque incoraggiante che sull’Osservatore Romano di domenica scorsa si sia letto un “mea culpa” del giornale della Santa Sede che praticamente dice: nel capire la pericolosità del fascismo aveva visto giusto don Sturzo, non il nostro giornale e la rivista Civiltà Cattolica. Lo stesso corretto “esame di coscienza” sta avvenendo nei confronti dello statalismo: l’apertura a sinistra non ha creato giustizia sociale (né la successiva apertura a destra). Se non vogliamo che anche l’Italia finisca come il Venezuela con l’opera di chi ora desidera creare giustizia sociale con la decrescita felice, è urgente realizzare quella rivoluzione culturale invano tentata dal popolarismo sturziano. L’Italia ne ha oggi un gran bisogno. Con il voto dato a un nuovo movimento politico popolare ed europeista si deve mandare in “pensione” non solo chi ha favorito – con il loro malgoverno – l’arrivo degli attuali
Robespierre, ma anche questi dannosamente (per l’Italia) regnanti.

 

(Fonte Servire l’Italia)

Frena la crescita nell’Unione europea e a livello globale

L’economia globale sarà più debole di quanto atteso e “l’impatto sul sentimento dell’aumentata incertezza di politiche e le condizioni di finanziamento del settore privato potranno portare ad un calo protratto”. Insomma uno scenario con luci ed ombre. La Commissione europea ogni anno pubblica due previsioni complessive (primavera e autunno) e due previsioni intermedie (inverno ed estate). Le proiezioni intermedie riguardano i livelli annuali e trimestrali del Pil e dell’inflazione per l’anno in corso e quello successivo per tutti gli Stati membri e per la zona euro, nonché i dati aggregati a livello dell’Ue.

In base all’ultima analisi, nel corso di quest’anno, l’economia europea dovrebbe continuare a crescere, con ipotesi di espansione in tutti gli Stati membri. Tra le previsioni di Bruxelles, tuttavia, anche una possibile frenata del ritmo di crescita rispetto ai tassi elevati degli ultimi anni, con prospettive soggette a forte incertezza. Del resto, l’attività economica ha già subito un rallentamento nella seconda metà del 2018 a seguito della riduzione della crescita del commercio mondiale, in un contesto in cui la fiducia è minata dall’incertezza e il prodotto in alcuni Stati membri ha risentito negativamente di fattori interni temporanei quali perturbazioni nella produzione automobilistica, tensioni sociali e incertezze della politica di bilancio. Di conseguenza, la curva del prodotto interno lordo sia nella zona euro che nell’Ue è andata all’1,9 % nel 2018, in calo rispetto al 2,4 % del 2017 (previsioni d’autunno: 2,1 % per l’Unione a 28).

L’economia europea dovrebbe seguitare a beneficiare del miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, di finanziamenti favorevoli e di una politica di bilancio leggermente espansiva. Secondo le previsioni il Pil della zona euro dovrebbe crescere dell’1,3 % nel corso di quest’anno e dell’1,6 % nel 2020 (previsioni d’autunno: 1,9 % nel 2019 e 1,7 % nel 2020). Anche le prospettive di crescita del Pil dell’Unione sono state riviste al ribasso all’1,5 % nel 2019 e all’1,7 % nel 2020 (previsioni d’autunno: 1,9 % nel 2019 e 1,8 % nel 2020).

Le revisioni al ribasso della crescita di questi mesi, sono state consistenti per la Germania, l’Italia e i Paesi Bassi. L’inflazione del valore al consumo nella zona euro è scesa verso la fine del 2018 a causa di un forte calo dei prezzi dell’energia e di un’inflazione dei prezzi dei prodotti alimentari più bassa. L’inflazione di fondo, che esclude i costi dell’energia e dei prodotti alimentari non trasformati, è stata modesta nel corso dell’anno appena trascorso, nonostante la crescita più rapida dei salari. L’inflazione generale (Iapc) è stata in media dell’1,7 % nel 2018, in aumento rispetto all’1,5 % del 2017. Con ipotesi sui prezzi del petrolio per quest’anno e per l’anno prossimo attualmente più basse rispetto a quelle formulate in autunno, l’inflazione della zona euro dovrebbe rallentare, attestandosi all’1,4 % nel 2019, prima di risalire leggermente all’1,5 % nel 2020. Nell’Ue invece l’inflazione dovrebbe raggiungere in media l’1,6 % quest’anno e poi salire all’1,8 % nel 2020.

Le prospettive economiche sono caratterizzate da un elevato livello di incertezza e le proiezioni sono soggette al rischio di revisione al ribasso. Le tensioni commerciali, che pesavano sul clima da un po’ di tempo, si sono in qualche misura affievolite ma continuano a destare preoccupazione. L’economia cinese potrebbe rallentare in modo più netto del previsto, in un contesto di vulnerabilità dei mercati finanziari mondiali e di molti mercati emergenti soggetti ai bruschi cambiamenti della percezione del rischio e delle aspettative di crescita. Occorre inoltre ricordare che per l’Ue il processo della Brexit rimane una fonte di incertezza.

Alla luce del processo di recesso del Regno Unito dall’Unione, le proiezioni per il 2019 e il 2020 si fondano sull’ipotesi puramente tecnica dello status quo in termini di relazioni commerciali tra l’Ue a 27 e lo stesso Regno Unito. Si tratta di un’idea adottata a fini di previsione, che non ha tuttavia alcuna incidenza sul processo in corso. Le previsioni si basano su una serie di ipotesi tecniche relative ai tassi di cambio, agli indici d’interesse e ai prezzi delle materie prime, aggiornate al 25 gennaio 2019. Per tutti gli altri dati, le previsioni di Bruxelles tengono conto delle informazioni disponibili al 31 gennaio.

#MakingEurope2019, concorso fotografico per celebrare i 70 anni dell’istituzione

“Settant’anni che hanno fatto l’Europa” è il tema del concorso fotografico lanciato dal Consiglio d’Europa per celebrare il 70° di questa istituzione nata nel 1949 e che riunisce 47 Paesi e 840 milioni di persone.

Il concorso (https://70.coe.int/photo-competition) intende “stimolare la riflessione su ciò che lega questi paesi e persone, la loro realtà, le sfide, le aspettative e le speranze per un futuro migliore”, spiega il bando del concorso.

Fino al 30 aprile prossimo si potranno caricare su Instagram le immagini che dovranno fare riferimento a uno dei cinque temi indicati dalla giuria (persone, luoghi, momenti, sfide, bianco e nero); dovranno essere caricate con l’hashtag #MakingEurope2019, con il tag del Consiglio d’Europa (@councilofeurope).

Sarà selezionata una immagine vincitrice per ogni ambito più una “assoluta”. Gli autori vincitori saranno invitati a partecipare all’evento commemorativo che si terrà ad ottobre a Strasburgo, mentre una selezione tra gli scatti migliori sarà esposta in una mostra fotografica nella sede del Consiglio.

Autismo: nuovo progetto regionale

Il progetto, che dovrà concludersi nell’ottobre del 2020, punta a identificare e sperimentare interventi di continuità per accompagnare i percorsi di crescita dei ragazzi affetti da sindromi dello spettro autistico, dall’istruzione al lavoro, valutando anche le migliori soluzioni residenziali e semiresidenziali

Per la realizzazione del progetto di ricerca il ministero ha stanziato un milione di euro, suddivisi tra le cinque regioni partner: Liguria (capofila), Veneto, Marche, Umbria e Campania. Al Veneto, e in particolare al centro di riferimento veronese, sono stati assegnati 240 mila euro.

Incontro con Maurizio Martina

Maurizio Martina scrive a Macron: “gli italiani non sono il governo”

Maurizio Martina, in una lettera inviata al primo ministro francese Emmanuel Macron scrive: “Gentile Presidente Macron, le scrivo sapendo del sentimento che unisce tantissimi italiani oggi che non si riconoscono negli attacchi ingiustificati e gratuiti dell’attuale governo del nostro paese alla Francia”.

“Un governo scellerato e ministri incompetentistanno giocando sul destino dei nostri paesi la loro pericolosa campagna elettorale permanente, rinunciando ogni giorno a rappresentare gli interessi collettivi, a vantaggio di polemiche e provocazioni pensate solo per alimentare rancori e divisioni. Fino alle ultime mosse oltralpe di un vicepremier disperato ossessionato dalla ricerca di visibilità. A loro il passato non deve avere insegnato proprio nulla”.

“Sappia, signor Presidente- prosegue Martina- che il nostro paese non e’ questo. Italia e Francia sono e saranno paesi fratelli. Italiani e francesi condivideranno sempre lo stesso futuro. Come accade ogni giorno, quando migliaia di nostri connazionali vivono e lavorano fianco a fianco: nelle nostre città, nelle nostre imprese, nelle nostre università e scuole.
Queste persone non sono rappresentate dagli attacchi sguaiati di questo governo. Non sono rappresentate da una politica cinica pronta a consumare tutto nella logica dello scontro, del nemico, della provocazione. Non ci stiamo ad essere rappresentati cosi’ perché non siamo cosi’. Ed è soprattutto per questo, che e’ compito di ciascuno di noi fare un’Europa più forte e più giusta ora. Lottare insieme per sconfiggere il cancro degli estremismi nazionalisti e condividere soluzioni avanzate per garantire una nuova sovranità europea come unico orizzonte di pace, protezione e cooperazione tra i popoli europei. I rapporti tra gli Stati, a maggior ragione quelli tra due Paesi fratelli come sono Italia e Francia, hanno basi solide che vanno al di la’ dei Governi”.

“Signor Presidente, gli italiani non sono il governo che ha ordito e consentito questi attacchi. L’Italia e’ un grande paese fratello della Francia. E anche per questo ci battiamo e ci batteremo sempre per il nostro futuro comune”.

Dalla libertà alla sorveglianza

Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano

Vincoli al libero esercizio dei culti che mostrano un implicito sospetto nei loro confronti e, allo stesso tempo, tradiscono lo spirito «di apertura e libertà» della legge del 1905: ha espresso «inquietudine» la Conferenza dei responsabili del culto in Francia (Crfc) riunitasi martedì scorso per riflettere sulle misure di modifica della legge sulla separazione fra le Chiese e lo Stato. Una riforma che è ancora in fase di costruzione ma di cui si conoscono i principali obiettivi: trasparenza dei finanziamenti, rispetto dell’ordine pubblico, responsabilizzazione degli amministratori delle associazioni cultuali. Se all’inizio erano stati i dirigenti musulmani a esprimere al governo contrarietà su misure che apparivano studiate esclusivamente per controllare più da vicino la comunità islamica, ora sembra che le perplessità sulle modifiche coinvolgano tutte le religioni, i cui rappresentanti sono stati ricevuti un mese fa all’Eliseo.

Intervistato dal quotidiano «La Croix», monsignor Olivier Ribadeau-Dumas, portavoce della Conferenza episcopale francese, ha spiegato che, se è vero che lo scopo dell’esecutivo è di inquadrare meglio l’islam, è altrettanto vero che «ciò che riguarda un culto riguarda, di rimbalzo, tutti i culti». Pur non prendendo una posizione ufficiale comune, la Crfc avrebbe pareri convergenti: «Si può toccare la legge del 1905 solo per dei giusti motivi e ciò che ci è stato presentato dal governo non ci sembra legittimo. Inoltre, nel contesto attuale, è proprio opportuno?», si domanda il rappresentante cattolico. Per il presidente della Federazione protestante, François Clavairoly, le modifiche «non sono nello spirito di apertura della legge» e «tendono a restringere più che a estendere la libertà di culto». Conferma i suoi dubbi anche il presidente del Consiglio francese del culto musulmano, Ahmet Ogras: «Si passerebbe da un approccio di libertà di esercizio del culto a un approccio di sicurezza, è ciò è inammissibile». Tra le misure più criticate figurano l’obbligo, da parte delle associazioni cultuali, di dichiarare i finanziamenti stranieri superiori a 10.000 euro, e la presentazione preventiva di una “certificazione di qualità” delle stesse.
All’incontro del 5 febbraio non hanno partecipato i rappresentanti della comunità ebraica.

Gilet gialli, una protesta che ci interpella: l’editoriale di Aggiornamenti Sociali

Dal 17 novembre scorso, ogni sabato in Francia si ripropone la protesta dei gilet gialli contro il Governo di Macron. Nell’editoriale del numero di febbraio di Aggiornamenti Sociali, rivista dei gesuiti italiani, il direttore Giacomo Costa SJ prova a mettersi in ascolto di questo complesso fenomeno cercando di capire qual è la carta d’identità dei manifestanti, come sta reagendo la classe politica francese e soprattutto che cosa questa esperienza può insegnare agli altri Paesi europei.

Dopo avere chiarito che «l’approccio alla protesta dei gilet gialli richiede di mettere da parte una serie di categorie, stereotipi e proiezioni interpretative, che lo iscriverebbero immediatamente in una traiettoria populista piuttosto che in una antagonista o rivoluzionaria», l’editoriale approfondisce alcune delle motivazioni principali che animano i manifestanti, come la convinzione di essere vessati da un carico fiscale iniquo e il desiderio di essere rispettati e riconosciuti in quanto cittadini. Un elemento interessante, secondo padre Costa, è anche il fatto che, «a differenza ad esempio degli indignados spagnoli, i gilet gialli non sono portatori di una critica ideologica al sistema, alle grandi imprese, alle banche o alla finanza. (…) Ciò che li unisce è una esperienza concreta di vita, non una collocazione ideologica o la coscienza di far parte di una classe sociale in conflitto con altre. Per questo sono anche poco sensibili ad altre questioni che agitano lo spazio politico, prima fra tutte quella dell’immigrazione».

«Non per questo – precisa però l’editoriale – sono da considerare apolitici: la loro “rivolta” ha chiaramente un segno e un’intenzione politica, pur insistendo nel rimarcare la distanza dalle élite politiche, di cui non si fidano, e anche dai partiti di opposizione».

Dopo avere analizzato un aspetto delicato quale il ricorso alla violenza da parte di alcuni manifestanti e avere ricordato le risposte del presidente Macron e del governo francese (in particolare il “Grande dibattito nazionale”, iniziativa sulla carta apprezzabile che appare però viziata da paternalismo e astrattezza), la parte finale dell’editoriale amplia lo sguardo: infatti, scrive Costa, «quanto sta accadendo oltralpe ci consente di identificare alcuni fattori che possono portare all’inceppamento della democrazia».

In particolare, un «tema che appare con forza è la necessità sempre più concreta di conciliare la questione della sostenibilità ecologica, che ha una prospettiva intergenerazionale, con quella della sostenibilità sociale, che riguarda l’inclusione e l’equa ripartizione degli oneri per la generazione presente. Il rischio, drammatico, è quello di non riuscire a offrire a tutti i cittadini un quadro convincente in cui inserire le scelte politiche perseguite, finendo per generare la convinzione che gli obiettivi sul versante ecologico siano una minaccia per l’equità sociale e viceversa. (…) In radice, la crisi dei gilet gialli ci dice che davvero stiamo toccando con mano che lo stile di vita occidentale non è più sostenibile per tutti, senza scaricare sul futuro i costi del presente».

Ancora più in profondità, «le tensioni che stanno dietro il fenomeno dei gilet gialli sono probabilmente solo l’antipasto di quello che il futuro riserva a un’Europa sempre meno capace di generare crescita e di guardare al futuro». Non esistono, naturalmente, facili scorciatoie, ma l’editoriale prova a individuare alcune vie di uscita. «Da conflitti sociali di questo genere non si esce se non attraverso il dialogo sociale. Perché questo sia efficace, però, è necessario che la società disponga di un know-how e di istituzioni o forme organizzate di mediazione, che evitino la polarizzazione del confronto tra pretese individuali (o al massimo di gruppi molto omogenei) irriducibili tra loro. È la funzione che tradizionalmente si riconosce ai “corpi intermedi”».

«È proprio sulla capacità di aprire spazi di mediazione all’interno della società – conclude padre Costa – che si gioca il senso di una leadership politica che non voglia ridursi a tecnica di gestione del consenso a vantaggio degli interessi di alcuni: è questa la sfida che hanno di fronte Macron in Francia e tutti i suoi colleghi negli altri Paesi».

Normalità cercasi

È certo che siamo oramai in campagna elettorale per le Europee e lo si comprende benissimo stante il modo in cui si muove il Governo nazionale. C’è una evidente fretta nel dar corso ai due più importanti provvedimenti della finanziaria: reddito di cittadinanza e quota cento. Non si parla d’altro e le conferenze stampa non mancano, anzi se ne fanno a iosa per essere certi che i cittadini abbiano capito l’importanza dei provvedimenti.

Repetita iuvant non solo per essere sicuri che si capisca ma anche per far capire quale sarà la campagna elettorale che, da qui a maggio, ci attenderà. Non si parla d’altro, come se altre questioni (lavoro, disoccupazione giovanile e non, investimenti e sviluppo) non esistessero. Anzi si assiste a un deplorevole, quanto misero, balletto di attribuzione delle responsabilità all’uno o l’altro partner di governo per cui le grandi opere infrastrutturali siano in gran parte ferme (ben 400 cantieri fermi, quindi, non solo la Tav).

Da tutto ciò emerge con chiarezza che le due anime del Governo sono in disaccordo su quasi tutto e che rimangono in sella solo per attaccamento al potere e per mero calcolo elettorale. Cercano quotidianamente di addossarsi le responsabilità per una possibile ed eventuale caduta del governo. Subito dopo l’esito delle elezioni europee tireranno le conclusioni e inizieranno la battaglia finale precostituendo le ragioni e i tempi per elezioni politiche anticipate.

Intanto, chi ci rimette sono i cittadini italiani che sempre di più si preoccupano del loro futuro e dei loro risparmi, nell’attesa di qualche seria iniziativa politica capace di disegnare un progetto che guardi al futuro della società italiana nel contesto europee e mondiale. Ma fino a ora non si vede all’orizzonte nulla di tutto questo. Gli attuali governanti parlano continuamente dei punti previsti da questo famigerato “contratto” che, diciamolo con chiarezza, non ha nulla di istituzionale ma solo una convenienza tra i due contraenti di governo.

C’è da chiedersi fino a quando continuerà questo misero balletto tra Lega e Penta Stellati che confliggono tra loro al solo scopo di recuperare consenso elettorale, tra l’altro stabilito dai sondaggi che non sempre corrispondono alle effettive risultanze provenienti dalle urne. Insomma la situazione non è delle migliori per mancanza di progettualità e, certamente, preoccupa questo andazzo che non porta a un futuro di sviluppo economico, sociale e culturale.

Bisogna che presto si creino le condizioni per un ritorno alla normalità, ahimè oggi perduta, che passa attraverso il recupero del buon senso e, specialmente, di un sistema istituzionale che garantisca governabilità con coalizioni basate su programmi, non certo su contratti. Ci vuole anche una opposizione per assicurare una effettiva alternanza ma che, purtroppo, oggi non c’è.

Paola Brianti ed il suo Parmigianino

“… Era rapito in un sogno di gloria. Il futuro gli stava davanti pieno di promesse, avrebbe fatto opere grandiose, avrebbe celebrato la bellezza pura, la bellezza che attesta l’esistenza di Dio, l’amore di Dio per l’uomo, la mano invisibile del Creatore nel mondo visibile. Avrebbe aggiunto ai sei trionfi del Petrarca, il settimo Trionfo, il più alto, il più divino, il Trionfo della Bellezza. …”

Così Paola Brianti nel suo libro Parmigianino (sottotitolo “Il mistero di un genio”), edito di recente da Albatros, ci descrive lo stato d’animo di un giovane artista che, senza neppur salutare la sua Laura, parte per Fontanellato.
È la stessa cittadina da cui l’autrice si è allontanata da giovane per intraprendere con passione la sua carriera di giornalista e scrittrice alla ricerca, nelle strade del mondo, anche di una Bellezza che va oltre l’estetica visiva e s’inserisce tra le pieghe dell’anima, nei binari del treno della vita. Una vita che per il Parmigianino si è rivelata troppo breve per consentire alle sue ispirazioni artistiche geniali di evolversi appieno (Geronimo Francesco Maria Mazzola, detto il Parmigianino, nasce il 1503 e muore nel 1540).

Il libro racconta la vita dell’eccentrico pittore del Cinquecento italiano, secolo turbolento e gravido di trasformazioni. Momenti salienti e personaggi fondamentali dell’epoca fanno da preziosa cornice al protagonista, che l’autrice fa muovere con garbo ed eleganza, descrivendo minuziosamente fatti dell’epoca nonché aneddoti significativi ed episodi della vita dell’artista. Conseguentemente, il lettore si ritrova a condividere, passo dopo passo, una storia appassionante e, grazie all’atmosfera intensa e colma d’immagini, partecipa a sentimenti ed esperienze. Come, ad esempio, la prima visita alla Rocca di San Vitale quando egli “… affidò al cameriere la borsa di cuoio con gli abiti di ricambio, ma rifiutò di consegnargli la cartella. …”. Sembra di vedere il pittore che strappa con forza il materiale indispensabile per la sua arte, da cui non si vuole mai staccare, neppure quando va a caccia.

Nella trama, scorci di esistenza e peculiarità quotidiane si mescolano, facendo capire al lettore come quel giovane “… era bello e ne era consapevole, amava l’eleganza…” essendo anche consapevole di essere “… giovane d’anni e vecchio di mestiere…”.
Con questa alternanza di fatti privati e pubblici, in virtù di una scrittura agile ed erudita e di una narrazione coinvolgente, le pagine scorrono con piacevolezza, seguendo l’artista nelle sue vicende e descrivendo le sue mirabili opere.
Riferimenti dotti, frutto di studio ed approfondita ricerca, sono intercalati con dialoghi mai banali. Tra uno sguardo ed una battuta il lettore apprende, ad esempio, che a quell’epoca era stato pubblicato a Venezia “L’Asino d’oro” di Apuleio ed arriva ad avere addirittura visione del tomo. Visioni come questa, del resto, sono il frutto di una particolare scrittura a tratti cinematografica, da cui si deduce la passione dell’autrice per il linguaggio delle immagini. Ella descrive, infatti, in maniera tanto reale i costumi e la società dell’epoca al punto che spesso sembra di presenziare ad una cena, sostare di fronte ad un affresco oppure essere accanto ai numerosi personaggi che popolano la narrazione, siano essi nobili, papi, o semplici garzoni.

Non mancano storie d’amore e magiche atmosfere (tra volti di languide donne e rime poetiche), che riportano alla mente l’emozione che suscitano le opere del Parmigianino, il quale non ha alcuna ambizione di essere filosofo, medico o scienziato ed afferma “… Io sono soltanto un artista…”. Un artista che per tutta la vita cercò nell’arte la verità, un pittore per il quale la sfera alchemica non fu pura magia, ma l’essenza stessa della vita. Egli, infatti, dipinge in modo magistrale, ma sempre con la consapevolezza dei propri limiti (“… Io non dipingo mai quello che non capisco…”), riproducendo la realtà come la vede.
Le sue opere sono descritte con acuta capacità critica e manifesta passione. L’intero testo, del resto, è una fonte imperdibile storica e bibliografica, grazie agli studi d’archivio ed alle ricerche che l’autrice ha protratto per anni.

Nel libro, tra velati amori dai toni carnali, ragionamenti sulle cose da fare ed istinti creativi, il mistero della vita e dell’arte anelano al fascino impalpabile della Bellezza. A volte, si affrontano temi filosofici, come quando Sanvitale, Delfini, Russiliano e l’artista emiliano discettano sulla trasformazione della materia (“…Francesco entrò nel salone con i suoi abiti ancora macchiati e le mani imbrattate di calce e di tempera…”), e sul rapporto Dio-perfezione.
Il Parmigianino raccontato dall’autrice è un giovane uomo che ascolta, ipotizza e sperimenta, un artista che mette in discussione non la validità della scuola Rinascimentale, ma i suoi limiti.

Società, cultura ed arte s’intrecciano quasi creando una atmosfera di suspense come quando Francesco Mazzola, cercando una risposta plausibile ai suoi quesiti ed alle sue aspirazioni, mormora… “Mi hanno avvelenato” ed alla richiesta di chi sia il colpevole l’amico architetto Damiano De Pleta risponde semplicemente: “Parma”.

Alla fine del romanzo, non può non venire alla mente l’Autoritratto entro uno specchio convesso, realizzato intorno al 1524, in cui l’espressione del volto vaticinante del giovane artista sembra voler sintetizzare il suo breve futuro caratterizzato da intensa ricerca, forte vitalità, acuto dolore e gioia creativa.

Minnetti: la fraternità non è equidistanza

Articolo già pubblicato da Città Nuova a firma di Carlo Cefaloni

È stato uno tra i sindaci più giovani in Italia, la politica ce l’ha nel sangue, come si dice. Abita nelle Marche, una delle regioni operose che non fanno notizia, tranne quando esplodono, come con i fatti di cronaca di Macerata del febbraio del 2018, le contraddizioni presenti nella pancia del Paese.

Su cittanuova.it si trovano i suoi densi contributi mensili di cultura politica ed economica. Parliamo di Silvio Minnetti, rieletto a inizio gennaio per un triennio alla presidenza italiana del Movimento politico per l’unità e cioè di un percorso originale generato dal Movimento dei Focolari ma da questi distinto. Non è un partito, né il braccio politico di una realtà ecclesiale e neanche un ambito ristretto ai credenti. Non controlla voti o cura interessi, ma cerca solo di promuovere e sostenere la fraternità dentro la vita sociale delle città e delle nazioni. Praticamente appare come un forte segno di contraddizione dentro le divisioni politiche che attraversano anche le comunità cristiane.

Come è organizzato il movimento a livello nazionale?
Esiste un nuovo centro nazionale, composto da 9 persone, appena rieletto attraverso un processo partecipativo dal basso, a livello regionale. In tale gruppo sono rappresentate più sensibilità politiche, oltre a persone di diversa età e provenienza geografica. Praticamente ha una funzione di servizio al bene comune dell’Italia, mirando a garantire l’unità nella diversità, nei diversi contesti dove siamo presenti. Dalla dimensione locale a quella nazionale ed europea.

Che significa in concreto? Essere per la fraternità vuol dire non prendere mai posizione?
Teniamo presente che il Movimento politico per l’unità nasce dall’ideale di Chiara Lubich di promuovere l’amore scambievole tra i popoli, introducendo una luce nel buio del ‘900. Dal carisma dell’unità – che guarda l’agire politico come “l’amore degli amori” e sollecita tutti a spendersi per l’umanità –, nasce un laboratorio internazionale di innovazione politica. Essere per la fraternità universale significa «promuovere e difendere i valori fondanti della persona e dei popoli, privilegiando i più deboli, attuando politicamente la fraternità universale, su percorsi di giustizia e di libertà». (Charta internazionale Mppu). Non si può essere pertanto coerenti con i nostri valori fondanti senza prendere posizione. Ovviamente, non essendo un partito, ma un movimento trasversale ricco di tutte le sensibilità politiche, in modo plurale, poliedrico, sempre argomentato e costruttivo.

Cosa significa essere Mppu oggi in Italia?
Vuol dire stare dentro una grave frattura tra ceti popolari ed élite, tra partiti di sistema e forze anti establishment al governo. Insomma, tentare di “conciliare l’inconciliabile”. Tuttavia, siamo presenti in Parlamento nel rapporto con deputati e senatori di diversa estrazione, per cercare di ragionare sulla crisi della democrazia rappresentativa, da integrare con quella partecipativa e diretta. Cerchiamo di aprire spazi di dialogo tra maggioranza e opposizione su provvedimenti divisivi come il decreto sicurezza e ora il reddito di cittadinanza. Il nostro focus si sposta però verso le città, luogo di co-governance e di esperienze di democrazia partecipativa e deliberativa. Dal basso può sorgere, infatti, un forum civico permanente per portare molte persone dal volontariato all’impegno politico entro 4 o 10 anni, per rinnovare la politica in Italia.

Come state affrontando la questione “migranti”?
Abbiamo affrontato la questione con due laboratori parlamentari di ascolto reciproco e condivisione tra esponenti di maggioranza, di opposizione ed esperti del settore. In particolare sul decreto sicurezza abbiamo registrato posizioni inconciliabili, soprattutto sulla protezione umanitaria e sul mantenimento degli Sprar, esempio positivo di accoglienza che si trasforma in integrazione per piccoli gruppi a differenza dei Cara. Abbiamo favorito il dialogo tra il presidente del consiglio Conte e l’Anci sulla questione degli ostacoli alla residenza dei migranti. Un nostro ultimo documento, pubblicato nel sito Mppu Italia, ha fornito una lettura complessiva del fenomeno cercando di indicare una soluzione europea per la ripartizione dei migranti e per aiuti allo sviluppo in Africa. I nostri principi evangelici di fraternità universale a difesa dei deboli ci portano a condannare un continuo braccio di ferro tra Ue e autorità italiane rispetto alla sbarco di esseri umani che fuggono da guerre, violenze e povertà, trattenute per settimane sulle navi che le hanno salvate. Serve prevenire la partenza che mette a rischio la vita dei migranti, tutelando sempre i loro diritti fondamentali. Occorre aprire corridoi umanitari e promuovere flussi regolari di immigrazione governata. Ma, poi, serve un meccanismo automatico di ripartizione tra Paesi UE, nessuno escluso.

Venezuela: è necessaria l’apertura di canali umanitari

la Conferenza episcopale colombiana (Cec), in una lettera aperta ai vescovi e al popolo venezuelano scrive che è necessaria “l’apertura di canali umanitari, che permettano di portare un concreto aiuto ai bisogni dei nostri fratelli”.

“Seguiamo con somma preoccupazione le diverse situazioni che sta passando la nostra nazione sorella del Venezuela. Ci addolorano profondamente la crisi umanitaria e le molte difficoltà che tutti stanno passando, perfino per reperire ciò che è elementare e necessario per la sussistenza, come gli alimenti, le medicine, i servizi pubblici”. Il comunicato cita, poi, come elementi di grande preoccupazione, “l’incertezza, la repressione, la violazione dei diritti umani e le ingiustizie che soffrono molti fratelli”, soprattutto dei più deboli.

I vescovi colombiani scrivono di pregare senza sosta “perché si arrivi a una soluzione giusta e pacifica, che permetta di uscire dalla crisi”. La nota ricorda il soccorso e la solidarietà assicurati finora dalla Chiesa colombiana, e prosegue: “Continueremo ad aiutare per quello che possiamo e a promuovere la cooperazione di altre persone e istituzioni”., nella quale viene espressa vicinanza alla comunità e alla Chiesa del Paese confinante.

 

Cyberbullismo e uso responsabile della Rete

Anche quest’anno l’Italia ha celebrato il Safer Internet Day, la Giornata mondiale per la sicurezza online istituita e promossa dalla Commissione europea. L’iniziativa, giunta alla sua sedicesima edizione, si è tenuta il 5 febbraio, in contemporanea con altri 100 Paesi per far riflettere i Millenial sull’uso consapevole della Rete e delle nuove tecnologie, ma anche per sensibilizzarli sul ruolo attivo e responsabile di ciascuno affinché il web sia un luogo di opportunità e non di rischi. Sono sempre di più i ragazzi che crescono in un ambiente mediale caratterizzato da una varia ibridazione tra online e offline, dove l’essere in Rete si fa progressivamente pervasivo grazie a nuovi strumenti e dispositivi (smart watch e fitness trackers, giocattoli connessi ad internet).

L’accesso da cellulare dilata poi le coordinate spazio-temporali dell’uso di internet. Stando ai dati raccolti da Eu Kids Online (2017-2018) vediamo che se l’88% dei ragazzi italiani utilizza il web a casa ogni giorno, il 44% accede alla rete quotidianamente quando è per strada o sui mezzi pubblici, ed il 42% mentre è fuori per conto proprio. Tra gli adolescenti di 15-17 anni, la percentuale di coloro che usano tutti i giorni internet anche fuori casa, sale al 74%. Cresce il numero di ragazzi e ragazze di 9-17 anni che hanno fatto qualche esperienza online che li ha turbati o fatti sentire a disagio (13%), ma aumenta soprattutto fra i bambini di 9-10 anni, passando dal 3% registrato nel 2013 al 13% del 2017. Sempre più frequenti infatti sono i contenuti inappropriati (soprattutto quelli legati all’ostilità e al razzismo), l’hate speech, l’esposizione a contenuti pornografici e il sexting.

Il cyber bullismo si conferma come il rischio che fa più soffrire (tre quarti delle vittime ne è rimasta molto o abbastanza turbata). Il 31% dei ragazzi di 11-17 anni ha visto online messaggi di intolleranza o commenti offensivi (hate speech) contro un individuo o un gruppo, attaccati per il colore della pelle, per la nazionalità, la religione. A seguito della visione di questi contenuti i sentimenti più comuni tra i ragazzi sono tristezza, disprezzo, rabbia e vergogna. Tuttavia di fronte a questi messaggi, il 58% dei giovani afferma di non aver fatto nulla. Per quanto riguarda l’esposizione a contenuti user generated negativi, ad averne fatto esperienza è il 51% dei ragazzi di 11-17 anni. I giovani intervistati hanno visto immagini violente o cruente (come persone che fanno del male a altre persone o a animali) (36%); siti o discussioni che promuovono il razzismo e la discriminazione di certi gruppi perché hanno un colore della pelle diverso o una diversa nazionalità, religione, o orientamento sessuale (33%); siti dove si discute di auto-lesionismo (22%) o di anoressia e bulimia (21%).

“La tecnologia deve essere un’alleata dell’apprendimento e della crescita dei nostri giovani – spiega il Ministro Marco Bussetti – Come Miur siamo impegnati in prima linea per educare gli studenti a un uso consapevole e corretto di Internet e dei nuovi dispositivi tecnologici. Si tratta di componenti della loro quotidianità, devono imparare a riconoscere opportunità e pericoli, diritti e doveri legati al loro utilizzo. Abbiamo messo in campo iniziative e campagne informative rivolte ai ragazzi, ai docenti e anche alle famiglie che devono essere alleate della scuola. Dobbiamo guidarli in questo percorso di conoscenza. Solo così possiamo prevenire fenomeni come il cyberbullismo e costruire società giuste, dentro e fuori la Rete”.

Ottenuto un nuovo stato della materia

Un gruppo di ricercatori dell’Università della California ha ottenuto un nuovo stato della materia: si tratta di un fluido di elettroni, formatosi a temperatura ambiente da un materiale semiconduttore bersagliato con raggi laser. Il nuovo liquido, descritto sulla rivista Nature Photonics, in futuro potrà permettere, secondo i suoi scopritori, di realizzare nuove tecnologie, come dispositivi che trasmettono informazioni attraverso lo spazio usando la luce oppure che riescano a individuare le cellule tumorali nella pelle o, ancora, che potranno fornire le basi per avanzati computer quantistici.

L’equipe di studiosi, guidata da Trevor Arp e Dennis Pleskot, ha bombardato un sottilissimo strato di un materiale semiconduttore con impulsi laser, eccitando gli elettroni a tal punto da ottenere un nuovo stato della materia, come spiega Iacopo Carusotto, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ino-Cnr) a Trento: “Colpendo il materiale semiconduttore, formato quasi da un unico strato di atomi, i potenti raggi laser hanno eccitato gli elettroni carichi negativamente, che si sono lasciati dietro delle buche cariche positivamente. In questo modo – ha aggiunto l’esperto – sono stati ottenuti tanti elettroni e tante buche che si muovono liberamente, come sulla superficie di una pizza, e che si comportano come se fossero molecole d’acqua”.

Un respiro corretto aiuta a non sbandare

I ricercatori dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona hanno indagato l’effetto della contrazione muscolare volontaria e del rilassamento sulla postura per scoprire se la tensione e lo stress avessero un impatto sulla stabilità. Per farlo hanno misurato l’equilibrio in 30 volontari, durante stati di tensione e rilassamento.

I risultati hanno mostrato che molti non respiravano correttamente e, invece di rilassare i muscoli dell’addome, li tenevano involontariamente contratti, mostrando uno dei tipici sintomi dello stress. La tensione muscolare riduceva a sua volta significativamente la stabilità dei soggetti in posizione eretta. ”

I nostri risultati mostrano che le situazioni di stress quotidiano possono portare a una diminuzione dell’equilibrio. Questo a sua volta può aumentare il rischio di caduta”, spiega Simone Tassani, primo autore.

Inoltre, prosegue il ricercatore italiano, “i risultati dimostrano la necessità di esplorare il fatto preoccupante che una grande parte della popolazione potrebbe non essere in grado di respirare correttamente”.

Perchè astenersi sulla richiesta a procedere contro il Ministro Salvini

Se fossi in Commissione, al Senato, mi asterrei sul caso Salvini. La vicenda è paradossale. Chi è contro la politica del governo sull’immigrazione deve comunque prendere atto che la richiesta del Tribunale dei Ministri di Catania chiama a rispondere Salvini, solo lui, quando a difesa del Ministro si è schierato il governo con il suo Presidente del Consiglio.

In questa cornice, le ragioni di una sana opposizione trovano forza e spinta aggiuntiva, considerando la copertura offerta da Conte; ma sembra incongruo, a questo punto, dare l’autorizzazione a procedere per un Ministro allorché le responsabilità di Salvini sono state condivise da Palazzo Chigi. In discussione è, appunto, la condotta dell’esecutivo nella sua collegialità.

Ora, votare l’autorizzazione a procedere significa, in maniera  obliqua ma stringente, mettere sotto inchiesta il governo. In questo modo, al posto di un’azione politica volta a determinare le condizioni per il rovesciamento dell’attuale maggioranza, si produrrebbe un fatto eccezionale e pericoloso, con un’indebita delega alla magistratura. Il contrasto con il governo giallo-verde non può tradursi in un pasticcio politico-giudiziario. È la ragione che induce a ritenere che l’astensione sia il modo più corretto di concepire e dirigere l’opposizione democratica, in particolare laddove sono in gioco i principi di umanità e legalità nella lotta per il contenimento dell’immigrazione irregolare.

Anche Angelo Panebianco aveva prospettato, giorni fa sul “Corriere della Sera”, l’esigenza di sganciare dal cieco giustizialismo la reazione anti-salviniana del Pd. Tuttavia, l’ipotesi dell’editorialista del giornale milanese, consistente addirittura nel sollecitare un voto contro la richiesta a procedere, pur ribadendo la contrarietà alle scelte del governo, appare francamente eccessiva. È più ragionevole discutere sulla eventualità dell’astensione. Forse sarebbe più comprensibile per la pubblica opinione.

Documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la convivenza comune”

La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia –, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere.

Partendo da questo valore trascendente, in diversi incontri dominati da un’atmosfera di fratellanza e amicizia, abbiamo condiviso le gioie, le tristezze e i problemi del mondo contemporaneo, al livello del progresso scientifico e tecnico, delle conquiste terapeutiche, dell’era digitale, dei mass media, delle comunicazioni; al livello della povertà, delle guerre e delle afflizioni di tanti fratelli e sorelle in diverse parti del mondo, a causa della corsa agli armamenti, delle ingiustizie sociali, della corruzione, delle disuguaglianze, del degrado morale, del terrorismo, della discriminazione, dell’estremismo e di tanti altri motivi.

Da questi fraterni e sinceri confronti, che abbiamo avuto, e dall’incontro pieno di speranza in un futuro luminoso per tutti gli esseri umani, è nata l’idea di questo »Documento sulla Fratellanza Umana « . Un documento ragionato con sincerità e serietà per essere una dichiarazione comune di buone e leali volontà, tale da invitare tutte le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana a unirsi e a lavorare insieme, affinché esso diventi una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli.

 

DOCUMENTO

In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.

In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera.

In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante.

In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.

In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre.

In nome della» fratellanza umana «che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.

In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.

In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.

In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.

In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.

In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.

Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio –, partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale, e attraverso questo Documento, chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive.

Ci rivolgiamo agli intellettuali, ai filosofi, agli uomini di religione, agli artisti, agli operatori dei media e agli uomini di cultura in ogni parte del mondo, affinché riscoprano i valori della pace, della giustizia, del bene, della bellezza, della fratellanza umana e della convivenza comune, per confermare l’importanza di tali valori come àncora di salvezza per tutti e cercare di diffonderli ovunque.

Questa Dichiarazione, partendo da una riflessione profonda sulla nostra realtà contemporanea, apprezzando i suoi successi e vivendo i suoi dolori, le sue sciagure e calamità, crede fermamente che tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno vi siano una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti.

Noi, pur riconoscendo i passi positivi che la nostra civiltà moderna ha compiuto nei campi della scienza, della tecnologia, della medicina, dell’industria e del benessere, in particolare nei Paesi sviluppati, sottolineiamo che, insieme a tali progressi storici, grandi e apprezzati, si verifica un deterioramento dell’etica, che condiziona l’agire internazionale, e un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità. Tutto ciò contribuisce a diffondere una sensazione generale di frustrazione, di solitudine e di disperazione, conducendo molti a cadere o nel vortice dell’estremismo ateo e agnostico, oppure nell’integralismo religioso, nell’estremismo e nel fondamentalismo cieco, portando così altre persone ad arrendersi a forme di dipendenza e di autodistruzione individuale e collettiva.

La storia afferma che l’estremismo religioso e nazionale e l’intolleranza hanno prodotto nel mondo, sia in Occidente sia in Oriente, ciò che potrebbe essere chiamato i segnali di una «terza guerra mondiale a pezzi», segnali che, in varie parti del mondo e in diverse condizioni tragiche, hanno iniziato a mostrare il loro volto crudele; situazioni di cui non si conosce con precisione quante vittime, vedove e orfani abbiano prodotto. Inoltre, ci sono altre zone che si preparano a diventare teatro di nuovi conflitti, dove nascono focolai di tensione e si accumulano armi e munizioni, in una situazione mondiale dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllata dagli interessi economici miopi.

Affermiamo altresì che le forti crisi politiche, l’ingiustizia e la mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali – delle quali beneficia solo una minoranza di ricchi, a discapito della maggioranza dei popoli della terra – hanno generato, e continuano a farlo, enormi quantità di malati, di bisognosi e di morti, provocando crisi letali di cui sono vittime diversi paesi, nonostante le ricchezze naturali e le risorse delle giovani generazioni che li caratterizzano. Nei confronti di tali crisi che portano a morire di fame milioni di bambini, già ridotti a scheletri umani – a motivo della povertà e della fame –, regna un silenzio internazionale inaccettabile.

È evidente a questo proposito quanto sia essenziale la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e dell’umanità, per dare alla luce dei figli, allevarli, educarli, fornire loro una solida morale e la protezione familiare. Attaccare l’istituzione familiare, disprezzandola o dubitando dell’importanza del suo ruolo, rappresenta uno dei mali più pericolosi della nostra epoca.

Attestiamo anche l’importanza del risveglio del senso religioso e della necessità di rianimarlo nei cuori delle nuove generazioni, tramite l’educazione sana e l’adesione ai valori morali e ai giusti insegnamenti religiosi, per fronteggiare le tendenze individualistiche, egoistiche, conflittuali, il radicalismo e l’estremismo cieco in tutte le sue forme e manifestazioni.

Il primo e più importante obiettivo delle religioni è quello di credere in Dio, di onorarLo e di chiamare tutti gli uomini a credere che questo universo dipende da un Dio che lo governa, è il Creatore che ci ha plasmati con la Sua Sapienza divina e ci ha concesso il dono della vita per custodirlo. Un dono che nessuno ha il diritto di togliere, minacciare o manipolare a suo piacimento, anzi, tutti devono preservare tale dono della vita dal suo inizio fino alla sua morte naturale. Perciò condanniamo tutte le pratiche che minacciano la vita come i genocidi, gli atti terroristici, gli spostamenti forzati, il traffico di organi umani, l’aborto e l’eutanasia e le politiche che sostengono tutto questo.

Altresì dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici e economici mondani e miopi. Per questo noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio, che non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro e neppure per essere torturati o umiliati nella loro vita e nella loro esistenza. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente.

Questo Documento, in accordo con i precedenti Documenti Internazionali che hanno sottolineato l’importanza del ruolo delle religioni nella costruzione della pace mondiale, attesta quanto segue:

– La forte convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune; a ristabilire la saggezza, la giustizia e la carità e a risvegliare il senso della religiosità tra i giovani, per difendere le nuove generazioni dal dominio del pensiero materialistico, dal pericolo delle politiche dell’avidità del guadagno smodato e dell’indifferenza, basate sulla legge della forza e non sulla forza della legge.

– La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.

– La giustizia basata sulla misericordia è la via da percorrere per raggiungere una vita dignitosa alla quale ha diritto ogni essere umano.

– Il dialogo, la comprensione, la diffusione della cultura della tolleranza, dell’accettazione dell’altro e della convivenza tra gli esseri umani contribuirebbero notevolmente a ridurre molti problemi economici, sociali, politici e ambientali che assediano grande parte del genere umano.

– Il dialogo tra i credenti significa incontrarsi nell’enorme spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni, e investire ciò nella diffusione delle più alte virtù morali, sollecitate dalle religioni; significa anche evitare le inutili discussioni.

– La protezione dei luoghi di culto – templi, chiese e moschee – è un dovere garantito dalle religioni, dai valori umani, dalle leggi e dalle convenzioni internazionali. Ogni tentativo di attaccare i luoghi di culto o di minacciarli attraverso attentati o esplosioni o demolizioni è una deviazione dagli insegnamenti delle religioni, nonché una chiara violazione del diritto internazionale.

– Il terrorismo esecrabile che minaccia la sicurezza delle persone, sia in Oriente che in Occidente, sia a Nord che a Sud, spargendo panico, terrore e pessimismo non è dovuto alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame, di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza; per questo è necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini internazionali che minacciano la sicurezza e la pace mondiale. Occorre condannare un tale terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni.

– Il concetto di cittadinanza si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli.

– Il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture. L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale. È importante prestare attenzione alle differenze religiose, culturali e storiche che sono una componente essenziale nella formazione della personalità, della cultura e della civiltà orientale; ed è importante consolidare i diritti umani generali e comuni, per contribuire a garantire una vita dignitosa per tutti gli uomini in Oriente e in Occidente, evitando l’uso della politica della doppia misura.

– È un’indispensabile necessità riconoscere il diritto della donna all’istruzione, al lavoro, all’esercizio dei propri diritti politici. Inoltre, si deve lavorare per liberarla dalle pressioni storiche e sociali contrarie ai principi della propria fede e della propria dignità. È necessario anche proteggerla dallo sfruttamento sessuale e dal trattarla come merce o mezzo di piacere o di guadagno economico. Per questo si devono interrompere tutte le pratiche disumane e i costumi volgari che umiliano la dignità della donna e lavorare per modificare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti.

– La tutela dei diritti fondamentali dei bambini a crescere in un ambiente familiare, all’alimentazione, all’educazione e all’assistenza è un dovere della famiglia e della società. Tali diritti devono essere garantiti e tutelati, affinché non manchino e non vengano negati a nessun bambino in nessuna parte del mondo. Occorre condannare qualsiasi pratica che violi la dignità dei bambini o i loro diritti. È altresì importante vigilare contro i pericoli a cui essi sono esposti – specialmente nell’ambiente digitale – e considerare come crimine il traffico della loro innocenza e qualsiasi violazione della loro infanzia.

– La protezione dei diritti degli anziani, dei deboli, dei disabili e degli oppressi è un’esigenza religiosa e sociale che dev’essere garantita e protetta attraverso rigorose legislazioni e l’applicazione delle convenzioni internazionali a riguardo.

A tal fine, la Chiesa Cattolica e al-Azhar, attraverso la comune cooperazione, annunciano e promettono di portare questo Documento alle Autorità, ai Leader influenti, agli uomini di religione di tutto il mondo, alle organizzazioni regionali e internazionali competenti, alle organizzazioni della società civile, alle istituzioni religiose e ai leader del pensiero; e di impegnarsi nel diffondere i principi di questa Dichiarazione a tutti i livelli regionali e internazionali, sollecitando a tradurli in politiche, decisioni, testi legislativi, programmi di studio e materiali di comunicazione.

Al-Azhar e la Chiesa Cattolica domandano che questo Documento divenga oggetto di ricerca e di riflessione in tutte le scuole, nelle università e negli istituti di educazione e di formazione, al fine di contribuire a creare nuove generazioni che portino il bene e la pace e difendano ovunque il diritto degli oppressi e degli ultimi.

In conclusione auspichiamo che:

questa Dichiarazione sia un invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà;

sia un appello a ogni coscienza viva che ripudia la violenza aberrante e l’estremismo cieco; appello a chi ama i valori di tolleranza e di fratellanza, promossi e incoraggiati dalle religioni;

sia una testimonianza della grandezza della fede in Dio che unisce i cuori divisi ed eleva l’animo umano;

sia un simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano.

Questo è ciò che speriamo e cerchiamo di realizzare, al fine di raggiungere una pace universale di cui godano tutti gli uomini in questa vita.

Abu Dhabi, 4 febbraio 2019

 

Sua Santità
Papa Francesco
Grande Imam di Al-Azhar
Ahmad Al-Tayyeb

Tsipras ed Erdogan fanno appello al dialogo per ridurre le tensioni storiche

Il primo ministro greco Alexis Tsipras e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si sono incontrati martedì per cercare di allentare la tensione che ha dominato le relazioni tra i due paesi per anni. 

Anche se l’incontro non ha dato vita a grandi progressi, sicuramente, sono state gettate le basi per le future decisioni storiche.

La Turchia e la Grecia si sono scontrate in diverse guerre aperte nel corso degli ultimi due secoli: l’ultima volta che sono state sul punto di farlo, era il 1996, a causa di un’isoletta nell’Egeo . 

“Entrambi sosteniamo la necessità di un dialogo per ridurre la tensione nell’Egeo […] e trovare una soluzione nel Mediterraneo orientale basata su regolamenti internazionali”, ha detto Tsipras.

E anche se entrambi i paesi collaborano al gasdotto transadriastico (TAP) e del progetto Turkstream , che mira a portare il gas russo all’UE, nel bacino del Mediterraneo orientale, dove sono state scoperte enormi riserve di idrocarburi, le tensioni non diminuiscono. I più grandi giacimenti sottomarini sono stati trovati nelle acque di Israele, Egitto e Cipro, ma quest’ultimo rimane diviso dal 1974 tra una parte di lingua greca, riconosciuta a livello internazionale, e una parte turca, che riconosce solo Ankara. Il governo turco sostiene che finché il conflitto di Cipro non sarà risolto, non consentirà l’esplorazione, a meno che le autorità di Nicosia non accettino di condividere i dividendi con i turco-ciprioti. E per mostrare la sua determinazione, ha inviato diverse fregate per pattugliare la zona.

Nel frattempo, Atene ha tenuto negoziati con le autorità di Cipro, Egitto e Israele – con cui Ankara ha rapporti cattivi o inesistenti – per concordare come capitalizzare congiuntamente le riserve di idrocarburi. 

“La Turchia non tollererà decisioni già prese nel Mediterraneo orientale, indipendentemente da quali diritti sovrani le esercitino”, ha detto il portavoce della presidenza turca, Ibrahim Kalin, dopo una riunione ministeriale precedente all’incontro.

Nonostante ciò, durante l’incontro Erdogan-Tsipras, entrambi i leader hanno riaffermato il loro impegno a cooperare alla riunificazione di Cipro, una volta che i partiti locali decidessero di imbarcarsi in un ennesimo round di negoziati, dopo innumerevoli tentativi infruttuosi.

Tuttavia, i due governi hanno trovato un terreno comune su questioni meno spinose. Tsipras e Erdogan hanno deciso di rilanciare i legami commerciali in vari settori, come il turismo: in estate si aprirà una linea tra Smirne e Salonicco, e in quest’ultima città si terrà una riunione ministeriale di alto livello insieme ad un forum delle imprese. “La Grecia è emersa dalla crisi e l’economia greca può realizzare cose importanti”, ha detto Tsipras.

È stato anche concordato di aumentare la cooperazione nella gestione dei flussi migratori. Entrambi i paesi supportano un gran numero di rifugiati e migranti: in Turchia sono quasi quattro milioni e in Grecia, dal 2015, hanno superato il milione.

Dopo otto anni di chiusura riapre la Cattedrale di Agrigento

La cattedrale di Agrigento, chiusa dal 2011 per rischio di crolli, riaprirà al culto il 22 febbraio, tre giorni prima della festa patronale di san Gerlando.

A commentare l’evento è don Giuseppe Pontillo, direttore dell’Ufficio beni culturali ed ecclesiastici della Curia di Agrigento e parroco della cattedrale, durante una conferenza stampa che si è tenuta ieri nella sala conferenze della Curia Arcivescovile. “La Cattedrale torna fruibile con la sua millenaria storia pronta ad accogliere fedeli e turisti – spiega il parroco – la comunità diocesana in tutti questi anni è stata privata del simbolo della cattedra e ha sentito e sente profondamente tale privazione”.

“Le celebrazioni diocesane presiedute dal vescovo sono state celebrate in diverse chiese – continua ancora don Pontillo – facendo perdere alla comunità il punto di riferimento più importante, la Cattedrale quale segno di unita del popolo di Dio radunata attorno al suo vescovo. La comunità civile, invece, ha vissuto la chiusura della Cattedrale come una separazione poiché non ha avuto più un punto di riferimento cittadino”.

Helsinki: una conferenza per fare il punto sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale

“Governare il cambio di gioco: impatti dello sviluppo dell’intelligenza artificiale sui diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto” sarà il tema di una conferenza che il Consiglio d’Europa e la presidenza finlandese del Comitato dei ministri organizzano a Helsinki (26 e 27 febbraio). “Una trasformazione tecnologica sta avvenendo con l’emergere di nuovi strumenti che utilizzano l’intelligenza artificiale come elementi di apprendimento automatico” spiegano gli organizzatori. “

Accanto ai vantaggi, ciò pone questioni urgenti e complesse sul piano legale, etico, politico ed economico con ricadute significative sui diritti umani e sul funzionamento della democrazia”. Di questo si parlerà alla conferenza di Helsinki in cui si esamineranno “le sfide e le opportunità dello sviluppo dell’intelligenza artificiale per gli individui e le società, nonché per i quadri legali e istituzionali”, cercando di identificare “i modi per garantire l’esistenza di meccanismi efficaci di controllo democratico”.

Alla conferenza parteciperanno 300 esperti di alto livello provenienti da governi, organizzazioni internazionali, imprese, settore tecnologico, università, società civile e media per “impegnarsi in una discussione aperta e critica su come affrontare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale per massimizzare i benefici per la società e minimizzare i rischi”, spiegano ancora da Strasburgo.

Consumi, ecco il decalogo anti spreco a tavola

Fare la lista della spesa, leggere attentamente la scadenza sulle etichette, verificare quotidianamente il frigorifero dove i cibi vanno correttamente posizionati, effettuare acquisti ridotti e ripetuti nel tempo, privilegiare confezioni adeguate, scegliere frutta e verdura con il giusto grado di maturazione, preferire la spesa a km 0 e di stagione che garantisce una maggiore freschezza e durata, riscoprire le ricette degli avanzi, dalle marmellate di frutta alle polpette fino al pane grattugiato, ma anche non avere timore di chiedere la doggy bag al ristorante sono alcuni dei consigli antisprechi a tavola elaborati dalla Coldiretti in occasione della Giornata nazionale contro lo spreco alimentare che si celebra il 5 febbraio.

Secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’ quasi tre italiani su quattro (71%) hanno diminuito o annullato gli sprechi alimentari nell’ultimo anno mentre il 22% li ha mantenuti costanti ma c’è anche un 7% che dichiara di averli aumentati. Nonostante la maggiore attenzione il problema resta però rilevante con gli sprechi domestici che – denuncia Coldiretti – rappresentano in valore ben il 54% del totale e sono superiori a quelli nella ristorazione (21%), nella distribuzione commerciale (15%), nell’agricoltura (8%) e nella trasformazione (2%) per un totale di oltre 16 miliardi che finiscono nel bidone in un anno.

Consigli per evitare gli sprechi alimentari a tavola

Eppure per evitare di buttare il cibo basterebbe seguire pochi semplici accorgimenti, come spiega il decalogo della Coldiretti predisposto per la Giornata contro lo spreco. Importante innanzitutto è programmare la propria spesa, magari facendo la tradizionale lista, ma anche prediligendo acquisti ridotti ma più frequenti. La classica maxispesa quindicinale o mensile negli ipermercati aumenta infatti – ricorda Coldiretti – il rischio di ritrovarsi nel frigo prodotti scaduti. Fare poi la spesa a chilometri zero in filiere corte con l’acquisto di prodotti locali taglia del 60% lo spreco alimentare rispetto ai sistemi alimentari tradizionali, secondo una analisi della Coldiretti sulla base dello studio Ispra.

Lo spreco alimentare – sottolinea la Coldiretti – scende dal 40-60% per i sistemi alimentari di grande distribuzione alimentare ad appena il 15-25% per gli acquisti diretti dal produttore agricolo. Coloro che si approvvigionano esclusivamente tramite reti alimentari alternative sprecano meno perché – conclude la Coldiretti – i cibi in vendita sono più freschi e durano di più e perché non devono percorrere lunghe distanze con le emissioni in atmosfera dovute alla combustione di benzina e gasolio. Meglio, dunque, prediligere i prodotti di stagione, scegliendo la frutta e le verdure al giusto grado di maturazione e conservandola adeguatamente, senza tenere insieme quella che si intende consumare a breve con quella che si prevede di conservare più a lungo. E lo stesso consiglio vale anche per tutti i cibi in generale.

Occorre poi controllare sempre l’etichetta – continua Coldiretti -, in particolare la scadenza, distinguendo tra “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro il…”. Nel primo caso il prodotto va mangiato obbligatoriamente entro la data indicata, mentre il secondo riguarda il termine entro cui il prodotto mantiene le proprietà organolettiche e gustative, o nutrizionali specifiche in adeguate condizioni di conservazione.

Per evitare gli sprechi anche al ristorante – prosegue Coldiretti – non ci si deve vergognare di chiedere la doggy bag, la scatola che permette di portare a casa gli avanzi dei pasti consumati, usanza che ha conquistato un italiano su tre (33%) che lo fa spesso, mentre un altro 18% lo fa solo raramente.

Ricette antispreco con gli avanzi

Sulle tavole degli italiani sono poi tornati i piatti del giorno dopo come polpette, frittate, pizze farcite, ratatouille e macedonia. Ricette che – spiega Coldiretti – non sono solo una ottima soluzione per non gettare nella spazzatura gli avanzi, ma aiutano anche a non far sparire tradizioni culinarie del passato secondo una usanza molto diffusa che ha dato origine a piatti diventati simbolo della cultura enogastronomica del territorio come a ribollita toscana, i canederli trentini, la pinza veneta o al sud la frittata di pasta. I piatti antispreco sono tanti – rivela la Coldiretti -, basta solo un po’ di estro e si possono preparare delle ottime polpette recuperando della carne macinata avanzata semplicemente aggiungendo uova, pane duro e formaggio oppure la frittata di pasta per riutilizzare gli spaghetti del giorno prima e ancora la pizza rustica per consumare le verdure avanzate avvolgendole in una croccante sfoglia. Se avanza del pane, invece, si può optare per la più classica panzanella aggiungendo semplici ingredienti, sempre presenti in ogni casa, come pomodoro olio e sale per arrivare alla più tradizionale ribollita che utilizza cibi poveri come fagioli, cavoli, carote, zucchine, pomodori e bietole già cotte da unire al pane raffermo. Ma anche la frutta – conclude la Coldiretti – può essere facilmente recuperata se caramellata, cotta per diventare marmellata o piu’ semplicemente macedonia.

DECALOGO ANTISPRECO DI CAMPAGNA AMICA

1) Fai la lista della spesa

2) Procedi con acquisti ridotti e ripetuti nel tempo

3) Preferisci le produzioni locali e compra nei mercati a km 0

4) Acquista seguendo la stagionalità dei prodotti

5) Prendi la frutta con il giusto grado di maturazione

6) Separa le diverse varietà di frutta e verdura

7) Non tenere insieme i cibi che consumi in tempi diversi

8) Controlla sempre l’etichetta

9) Chiedi la doggy bag al ristorante per consumare a casa gli avanzi

10) Cucina con gli avanzi ricette antispreco

Mobilità sostenibile, dalla Regione Lazio 11 milioni per le ciclovie

Prorogato il bando rivolto ai comuni del Lazio per realizzare nuove piste ciclabili e per mettere in rete quelle che già ci sono. Un provvedimento a favore della mobilità sostenibile, mirato alla difesa dell’ambiente e alla riduzione dell’inquinamento.

La Regione mette a disposizione 11 milioni di euro di risorse. Il bando è stato prorogato. Le manifestazioni di interesse devono essere presentate entro e non oltre le ore 17 del 20 febbraio 2019.

Nel provvedimento sono inoltre riportati i chiarimenti intervenuti a seguito di richieste da parte dei soggetti proponenti, in tema di enti di gestione delle aree naturali protette, Municipi di Roma Capitale, importi massimi dei singoli lotti funzionali e numero di proposte ammissibili da parte di uno stesso ente richiedente.

Nel provvedimento sono riportate le modifiche in materia di cofinanziamento e i chiarimenti intervenuti a seguito di richieste da parte dei soggetti proponenti, in tema di enti di gestione delle aree naturali protette, Municipi di Roma Capitale, importi massimi dei singoli lotti funzionali e numero di proposte ammissibili da parte di uno stesso ente richiedente.

Mano robotica, il primo impianto permanente eseguito al mondo

È una donna svedese la prima beneficiaria al mondo di un impianto transradiale (sotto il gomito) stabile e permanente per il controllo di una mano robotica. In un intervento chirurgico pioneristico, sono stati innestati impianti in titanio nelle due ossa dell’avambraccio della donna (radio e ulna), sfruttando la tecnica dell’osteointegrazione combinata alle interfacce muscolari. L’impianto potrà essere utilizzato nella vita di tutti i giorni e consentirà di controllare in modo naturale la mano robotica e di restituirne le percezioni sensoriali. La svolta è arrivata all’interno del progetto di ricerca europeo DeTOP (Dexterous Transradial Osseointegrated Prosthesis with neural control and sensory feedback), coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e finanziato dalla Commissione Europea all’interno del programma Horizon 2020.

L’impianto funge da tramite tra lo scheletro e la mano robotica sviluppata dalla Scuola Superiore Sant’Anna e da Prensilia. I benefici sulla vita quotidiana, sia da un punto di vista pratico che all’interno della dimensione sociale, sono molteplici: la tecnica osteointegrata permette infatti di superare i limiti delle protesi convenzionali le quali possono riprodurre solo un paio di movimenti grossolani, come aprire e chiudere la mano. Col nuovo impianto invece, attraverso sedici elettrodi inseriti nei muscoli residui, sarà possibile estrapolare una quantità maggiore di informazioni al fine di consentire un controllo più efficace della mano robotica.
Le attuali protesi di mano hanno anche un feedback sensoriale limitato. Non forniscono infatti percezioni tattili quando si afferra un oggetto o si interagisce con un’altra persona e l’ambiente circostante, costringendo la persona a fare affidamento solo sulla vista mentre usa la protesi. Grazie agli elettrodi impiantati nei nervi, che servono a creare un collegamento diretto tra la protesi e il sistema nervoso, la donna potrà recupererare le sensazioni tattili perdute dopo l’amputazione attraverso dei sensori che guidano la stimolazione del nervo.

Uno degli elementi centrali di questo lavoro è che si tratta della prima tecnologia utilizzabile nella vita di tutti i giorni, non solo all’interno di un laboratorio di ricerca. La tecnica dell’osteointegrazione era già stata sperimentata con successo da Integrum e Chalmers University of Technology  su un paziente con amputazione transomerale (sopra il gomito), ma non era ancora possibile nelle amputazioni transradiali, dove il fissaggio deve essere effettuato su due piccole ossa invece che su un unico osso di dimensioni più grandi, come nella parte superiore del braccio. La protesi transradiale sviluppata all’interno del progetto DeTOP apre nuovi scenari nello sviluppo di un impianto di fissaggio scheletrico perché prevede non solo una maggiore stabilità a lungo termine, ma anche un sensibile miglioramento delle funzionalità motorie e percettive dell’amputato grazie alla presenza di molti più muscoli da cui estrarre i comandi neurali.
In questa fase la donna su cui è stato eseguito l’intervento sta seguendo un programma di riabilitazione per riacquistare forza nei muscoli dell’avambraccio, indebolite dopo l’amputazione. Parallelamente, in un ambiente di realtà virtuale , sta tornando ad imparare a controllare la mano robotica che, nelle prossime settimane, potrà portare a casa e usare quotidianamente .
Il prossimo obiettivo è impiantare il sistema protesico su altri due pazienti, uno in Italia e uno in Svezia.

“Grazie a questa interfaccia uomo-macchina così accurata – commenta Christian Cipriani, responsabile scientifico del progetto DeTOP – e grazie alla destrezza e al grado di sensibilità della mano artificiale, ci aspettiamo che nel giro dei prossimi mesi la donna riacquisisca funzionalità motorie e percettive molto simili a quelle di una mano naturale. Questo non sarà comunque l’unico impianto previsto: sono infatti partite in Italia le attività di ricerca per il reclutamento di un secondo paziente per un nuovo intervento chirurgico in programma all’Università Campus Bio-Medico di Roma che verrà effettuato da team clinici del Campus Bio-Medico e dell’Istituto Ortopedico Rizzoli”.

Riprendere il cammino: Il futuro del cattolicesimo popolare.. Intervista a Giorgio Merlo

Per affrontare i difficili tempi a venire, il nostro Paese dovrebbe avere il coraggio di un grande progetto. Questa consapevolezza dovrebbe animare lo sforzo dei cattolici, qualunque sia la loro collocazione. Non ci si può rassegnare alle logiche di frammentazione, che oggi sembrano prevalenti. Occorre costruire un’unità di intenti, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze, aperti alla casa comune europea. Servono nuovi spazi dove elaborare insieme un percorso condiviso. Ne parliamo con l’Onorevole Giorgio Merlo, che in un recente articolo ha suggerito la convocazione degli ‘Stati Generali’ dei Popolari da parte del Domani d’Italia.

 

1) Onorevole Merlo, il nostro giornale ha spesso cercato (per utilizzare un’espressione di Moro) di “escludere le cose mediocri per fare posto a cose più grandi”. Perché, a suo avviso, il Domani d’Italia dovrebbe farsi carico della convocazione degli ‘Stati Generali’ dei Popolari?

il Domani d’Italia e’ stato una pietra angolare nella storia del cattolicesimo politico italiano. Una testata autorevole che richiama cultura, impegno, politica, competenza e sopratutto coraggio.
Nell’attuale clima politico e tenendo conto del dibattito che sta attraversando l’area cattolica italiana, credo sia sempre più indispensabile lanciare segnali di unità, di ricomposizione e di impegno comune. Ovvero, si impone quasi la necessità di trovare punti di convergenza per rinnovare l’impegno politico e pubblico dei cattolici italiani. Del resto, l’area popolare e cattolico democratica non può più continuare ad assistere a bordo campo l’attuale contesa politica. Vanno superati, al contempo, tutte le incomprensioni e le pregiudiziali personali che fisiologicamente caratterizzano sempre le fasi che precedono la formazione di un soggetto politico. Al riguardo, credo che una testata come il Domani d’Italia, per il profilo che ha conservato in questi anni e per la permanente disponibilità al dialogo e al confronto, possa e debba essere lo strumento più congeniale per convocare gli “Stati generali” del popolarismo di ispirazione cristiana nelle sue multiformi espressioni.

2) Secondo Aristotele, la politica è la “scienza architettonica” che ha per scopo il bene comune. Nel suo ultimo libro (Cattolici senza partito, Edizioni Lavoro, 2018) si pone molto l’accento sul “bene comune” come principale eredità del cattolicesimo politico italiano…

Il raggiungimento del “bene comune” non è uno slogan o un richiamo retorico e burocratico. E’ la cifra che storicamente caratterizza l’esperienza del cattolicesimo politico italiano. Certo, il bene comune non basta evocarlo. Va inverato in un progetto politico concreto, come ricorda Sturzo in quell’ormai celebre confronto con don Primo Mazzolari che sottolineava la necessità di difendere le ragioni degli ultimi, dei poveri, degli esclusi con un programma di riforme incisive e mirate. “Bene – gli rispose Sturzo – condivido quello che dici. E allora traduci su questo foglio bianco i tuoi propositi in scelte di legge”. Ecco, il giusto richiamo al bene comune va tradotto, oggi più che mai, in un concreto programma politico. Per questo adesso occorre impegnarsi in politica

3) Negli ultimi tempi si nota un certo “attivismo” da parte delle gerarchie ecclesiastiche, riguardo al ruolo dei cattolici in politica. Perché, nel 2019, il laicato cattolico deve ancora “rivendicare” una propria autonomia nell’impegno politico?

Alcuni settori della gerarchia ecclesiastica, a cominciare dal Presidente della Cei cardinal Gualtiero Bassetti, da tempo insistono sulla necessità di un impegno rinnovato e più incisivo dei cattolici in politica. Nessuno parla, come ovvio, di un “partito dei vescovi” o di un “partito dei cattolici”, salvo i soliti retroscena giornalistici. Simpatici ma radicalmente inaffidabili. Del resto in Italia non è mai esistito il “partito dei cattolici”. Non lo era il Ppi di Sturzo, non lo era la Democrazia Cristiana, tanto meno il Ppi di Mino Martinazzoli. Ecco, credo che adesso sia altresì necessario garantire un rinnovato impegno del laicato organizzato. Senza derive clericali e confessionali ma con la consapevolezza che per poter incidere nella politica quotidiana serve anche e soprattutto una cultura maturata a livello prepolitico. Per questo ci vuole un salto di qualità del laicato cattolico organizzato.

4) Due economisti di rilievo, come Stefano Zamagni e Leonardo Becchetti, hanno dato vita al think tank Insieme, con la “benedizione” di don Giovanni Nicolini, allievo di Dossetti e compagno di università di Prodi. Come valuta questa iniziativa?

Tutte le iniziative che coltivano l’obiettivo di rafforzare il pensiero e affinare la cultura sono degne di nota e pertanto da valorizzare. E anche questo think tank può essere un utile strumento per qualificare l’auspicata presenza politica dei cattolici italiani.

5) In questi giorni le cronache parlano molto del sindacalista francese Laurent Berger, come modello di un leader sindacale che rifugge dalla demagogia e dal populismo. Potrebbe costituire un punto di riferimento, anche per la Cisl?

La Cisl, come si suol dire, dove decidere che ruolo vuole giocare nel futuro. Di fronte ad una Cgil che diventerà, sotto la guida di Landini, una grande FIOM – cioè un sindacato barricadero, fortemente politicizzato, di lotta e con una venatura indubbiamente populista e demagogica – è oltremodo necessario che la Cisl sia sempre di più un sindacato concreto, pragmatico, riformista e con un chiaro riferimento culturale. Cioè riattualizzare la miglior eredità della Cisl. E l’esperienza del sindacalista francese Laurent Berger rappresenta, oggi, un riferimento importante per un sindacato che non si limita solo ad essere filo governativo da un lato o che lavora per una smaccata alternativa politica e di sistema dall’altro.

6) L’Appello di don Luigi Sturzo ai Liberi e Forti, a 100 anni di distanza, contiene un messaggio innovativo ancora molto attuale. Cosa può dire a un giovane del 2019, anche rispetto all’impegno politico nel contesto attuale?

Il recupero della memoria storica, che non è la semplice regressione nostalgica, è sempre e comunque un valore. Nello specifico la “lezione” sturziana conserva una bruciante attualità perche’ si sostanzia di un pensiero che non tramonta. Dalla concezione del partito al ruolo delle autonomie locali, dal ruolo dello Stato al modello economico. Per non parlare del rapporto tra il partito e il suo retroterra culturale, cioè il mondo cattolico nella sua complessità. Senza dimenticare la concezione della laicità della politica e dello Stato. Insomma, anche per un giovane cattolico “l’appello ai liberi e ai forti”, scritto un secolo fa, può rappresentare un riferimento importante non solo per la chiarezza degli obiettivi ma anche, e soprattutto, per la semplicità dell’esposizione. Del resto, quando le finalità di un progetto sono chiare e vissute, lastesura non può che essere altrettanto chiara e trasparente. E questo perché le grandi intuizioni politiche che hanno segnato la storia democratica di un paese – e il magistero sturziano rientra a pieno titolo in questo filone – non possono essere archiviate banalmente. Oggi più che mai, senza un pensiero e una cultura, non puoi che rifugiarti nel populismo e nella demagogia. Disvalori che non rientrano nel nostro patrimonio culturale, ideale, politico e storico”.

Sulla TAV Marco Ponti conferma il suo scarso valore di tecnico

Devo confessare che io il prof. Marco Ponti, il luminare incaricato da Toninelli della valutazione della TAV Torino Lione, l’ho avuto in ferrovia come consulente.

Sarò molto buono nel dire che per tutto quel tempo proprio non capii quale fosse il valore da lui aggiunto ai progetti che con il mio bravissimo capo Cioffi stavamo cercando di elaborare.

Ora il prof. Ponti viene a dire che non solo TAV, ma addirittura la ferrovia è obsoleta e, di più, che comporta una rinuncia, per lo Stato, alle laute entrate conseguite con le accise sui carburanti.

Per non incorrere nella volgarità mi limito a cogliere l’insensatezza di una valutazione costi/benefici (che si fa tenendo conto delle variabili indotte – riduzione di inquinamento, di vittime autostradali, di manutenzioni stradali, o dei tempi di immobilizzo di risorse umane e materiali ecc., cioè di tutte le esternalità connesse al progetto, misurate quantitativamente col sistema dei prezzi ombra).

Insensatezza di una valutazione a costi/benefici, dicevo, affidata ad un “esperto” che si limita alla stretta analisi reddituale, senza tener conto del più generale interesse pubblico.

[Dal profilo Fb dell’autore]

La buona Politica

“La buona Politica è al servizio della pace” (Papa Francesco) sia interna che internazionale. In questo tempo, in Italia, sembra latitante sia la buona politica che la pace sociale. L’eco di alti magisteri purtroppo sparisce presto, invece i social rimango impressi in modo martellante. Raramente il Papa ha parlato con tanta chiarezza sulla politica con la p maiuscola; ma quando invita a scelte umanitarie nei confronti dei migranti, il ministro dell’Interno replica “i fedeli sono con me”. Preoccupante per i cristiani! Il cristianesimo non è una ideologia; Gesù Cristo non ha fondato una dottrina, ma ha agito. Il Vangelo non lo si esibisce, lo si deve vivere: ero straniero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito, ero affamato … ero assettato… percorrendo città e villaggi, guariva, sfamava, ammaestrava. Purtroppo forse ancora per qualche mese saremo costretti a vivere una campagna elettorale verso le elezioni europee imperniata sulla fissazione, che oramai ha conquistato gran parte degli Italiani, che è colpa dell’Europa che non si risolve la questione della migrazione. Il fenomeno è complesso, ma è sbagliato attribuire all’Europa compiti che non ha, perché gli Stati nazionali –soprattutto i sovranisti –hanno, e continuano ad impedire un’azione comune. L’attuale governo si è opposto a rivedere il trattato di Dublino per la redistribuzione dei migranti. L’Europa unita – una Federazione di Stati– avrebbe agito di conseguenza. Fino a quando non ci saranno gli Stati Uniti d’Europa, i nazionalismi faranno solo male ai propri popoli.

Nelle difficoltà sia economiche che di ordine sociale una classe politica lungimirante seguirebbe l‘esempio di De Gasperi che nell’Italia distrutta, invece di deprimere il popolo italiano suscitando incertezze e paure, invitava ad avere coraggio e incitava: ”combatteremo, ce la faremo”. Non è lo stile dell’attuale governo che finge unità addirittura per mostrare un inqualificabile disprezzo per le leggi, al punto da far credere che il ruolo politico possa superare – immunizzare – le norme di diritto sia interno che internazionale. Le denunce, come è noto, riguardano comportamenti personali; le leggi del mare sono antiche e da rispettare sempre. Il diritto internazionale umanitario che fonda le sue radici nella convenzione di Ginevra (che ha fondato la Croce Rossa Internazionale) ha avuto anche l’Italia tra i protagonisti. Ebbene tutte queste regole sono irrise da governanti che danno l’esempio agli Italiani che le leggi si possono aggirare, non rispettare, applicare ad personam! Come siamo tornati indietro!

Abbiamo esempi di respingimenti ottenuti con successo: 30mila albanesi sono stati rimpatriati con una efficiente operazione. Il pattugliamento davanti alle acque libiche, attuato da Prodi, ebbe risultati. Certamente è difficile ottenere risultati se la politica estera del governo suscita continue conflittualità con gli alleati che in Europa dovrebbero sostenere l’Italia. Con la Libia, probabilmente, sarebbe utile essere fiancheggiati dalla Francia per poter bloccare a sud di quel disastrato Paese i flussi migratori, perché quando ormai arrivano in Libia i migranti sono sottoposti a torture, raccolti in campi di concentramento, dove le violenze su donne e bambini sono certificate. E si vuole respingere anche le poche decine di vittime prigioniere della Sea Watch! E perché non accordarsi per distruggere le imbarcazioni degli scafisti e attivare operazioni di polizia per raggiungerli in diversi Stati e denunciarli alla Corte Internazionale per delitti contro l’umanità? Perché non attivare la Croce Rossa internazionale per campi di sfollati presso i confini di partenza e verificare la esistenza di condizioni meritevoli di asilo politico?

E la Cooperazione per “aiutarli a casa loro”? Trafficanti di armi e droga devono essere perseguiti con gli strumenti idonei. L’Africa, è noto a tutti, è depredata dai paesi del nord del mondo. E tutto è tremendamente complesso per cui serve una alta e buona Politica con alleanze globali. Tutto, tranne che scaramucce e incidenti diplomatici coi paesi naturalmente alleati. La politica estera di questo governo è deleteria e segnala le grandi differenze di visione, se il ministro della Difesa può fare dichiarazioni che il ministro degli Esteri non conosce ancora, come pure il Primo ministro e i suoi vice.

I vertici 5MS non conoscono certamente la storia dell’Unione Africana e della moneta CFA, che nei 14 Stati che la usano funge da moneta unica come è l’euro per noi Paesi della UE. Se, al tempo del mio impegno nella Croce Rossa Internazionale, avessi dovuto fare il cambio per i diversi progetti, di Paese in Paese, avrei perso, nelle diverse operazioni di cambio, il controvalore di qualche opera da costruire (un pozzo, un ambulatorio). Per fare politica alta e lungimirante, occorre conoscere la storia e la geografia.

L’Europa deve essere un sogno per tutti. Desidero ricordare una frase di De Gasperi: “Qualcuno ha detto che la federazione europea è un mito. È vero, è un mito nel senso soreliano. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma noi, allora, creeremmo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace; questa è la pace, questa è la strada che dobbiamo seguire”.

La buona Politica riguarda anche le opposizioni. Sembra all’opinione pubblica che queste siano piuttosto flebili e i sondaggi così favorevoli all’attuale governo sembrano intimidire coloro che devono alzare la voce in nome e per conto di quella parte del popolo italiano che non è rappresentato dalla maggioranza attuale. Il PD non ha saputo nemmeno spiegare e pubblicizzare la sua scelta del Rei, reddito per sconfiggere la povertà. Questo è il tema: non misure assistenzialistiche ma strutturali. Da un anno parla solo di sè e, in attesa delle primarie, discute dei sondaggi sui candidati. Non interessa nemmeno agli iscritti, figurarsi agli altri. È tempo di spiegare le scelte programmatiche con realismo e credibilità. Gli Italiani si sono un po’ accorti di come funzionano le promesse elettorali quando bisogna guidare lo Stato. L’Italia è povera di culle: politiche per le famiglie e in quella ‘culla’ della società si sconfigge la povertà. È una palestra di convivenza di bisogni sociali, scolastici, sanitari. La vita nelle città deve essere vivibile: pulite, ricche di cultura, sane. Imparare da Brescia, senza andare lontano, per verificare il ciclo positivo dei rifiuti con termovalorizzatori, che distribuiscono energia con grande risparmio. L’ambiente, casa di tutti, da proteggere, conservare e valorizzare. Le infrastrutture di base che creano occupazione e migliorano la qualità dell’ambiente e delle persone: scuole, ospedali, edifici pubblici. Infrastrutture immateriali, come l’istruzione e la formazione per nuovi lavori: informatica, cibernetica, nanotecnologie, spacethecnology, ecc. ecco perché non è facile sostituire un pensionato con un giovane, se non in professioni che denunciano molte necessità e poche risposte: ascoltare artigiani e commercianti.

Mi chiedo perché i nostri governanti attuali non ambiscano ad essere propositivi, non acrimoniosi con gli avversari, non volgari nel linguaggio, non elusivi di risposte franche, in una parola non ambiziosi di “buona Politica”? Per accompagnare il popolo in una elevazione morale e politica a giovamento di tutti.  Raccomandazione anche per gli oppositori

Se il Vangelo non diventa politica cessa di essere una bella notizia

Predicare il Vangelo sono parole. Testimoniare il Vangelo sono fatti. Adriano Olivetti non
dimenticò mai un consiglio di suo padre Camillo: “Ricordati che la luce della verità risplende
soltanto nei fatti, non nelle parole”. Lo slogan preferito da don Sturzo era: “Res non verba”. E non faceva mai prediche politiche dall’altare; agiva nel concreto della vita testimoniando con i suoi fatti la “Bella Notizia” del Vangelo. Per lui la prima regola del buon politico è SERVIRE NON SERVIRSI.

A tal fine la ragione morale non deve mai essere calpestata dalla ragione
politica e dalla ragione economica. Se queste due ragioni la calpestano, prima o poi si rivelano prive di ragione, ossia prive di razionalità, prive di moralità e “cadono”, perché si dimostrano non ragionevoli. Questa verità non è una teoria astratta o utopistica, ma è un fatto confermato dalla Storia, che ha visto tanti Icaro salire sempre più in alto per poi precipitare. Quanti leader politici hanno creduto che la regola machiavellica del fine che giustifica i mezzi (privi di razionalità e quindi di moralità) potesse funzionare…

Il Prof. Luca Ricolfi, noto sociologo, insegna “Analisi dei dati” all’Università di Torino. Ieri
è stato intervistato da Pietro Senaldi, Direttore Responsabile di Libero, che gli ha fatto anche la seguente domanda: “Crede possibile la nascita di un movimento o partito cattolico, come auspicato dalla Cei? E cosa pensa dell’invito ai fedeli a impegnarsi in politica per contrastaresovranisti e populisti?”.

Ecco la sua risposta: “Secondo il mio modesto parere, la Chiesa farebbe meglio a occuparsi
delle anime, lasciando in pace gli elettori. Anche perché una delle fonti dei nostri guai è
precisamente l’eticizzazione dei problemi politici, ovvero l’incapacità di distinguere il piano dellescelte morali e il piano delle scelte di governo”.

Con queste parole il Prof. Ridolfi non fa una corretta analisi dei dati di fatto. Il Vangelo (la
“Bella Notizia”) e la Dottrina Sociale della Chiesa costituiscono un prezioso “patrimonio”, chesi occupa delle anime per farle stare bene innanzitutto qui e per farle stare molto meglio
nell’aldilà. Al mondo politico spetta il compito di non separare le scelte morali dalle scelte di
governo, di fare fatti seguendo la “retta ragione”, ossia agendo con razionalità. La vera fonte dei guai per i governanti e per i governati, in Italia e nel mondo, è sempre stata questa separazione. Gli ideali di giustizia sociale e di libertà responsabile non sono stati né mai saranno conseguiti con la ricetta di Machiavelli.

Ovviamente non spetta alla Chiesa fare politica; questo compito spetta ai laici; ma nessuno
può proibirle di promuovere la “Bella Notizia”, di promuovere la diffusione di una preziosa
“bussola”, che se non è seguita porta tutti fuori strada, governanti e governati. Se il popolarismo sturziano non fosse stato sconfitto prima dal fascismo e poi dallo statalismo, oggi il Bel Paese sarebbe davvero bello, perché gestito con criteri razionali. Sono passati 100 anni e noi di SERVIRE L’ITALIA ci impegniamo a riportare quella “bussola” sturziana, con le dovute integrazioni, nelle mani degli italiani. Tenendo ben separato il ruolo della
Chiesa dal ruolo dello Stato, come sempre sosteneva don Sturzo.

 

(Fonte Servire l’Italia)

UK: migliaia di militari tornano alla vita civile

Il primo ministro britannico, Theresa May, ha ordinato un’indagine per capire come mai ogni anno siano migliaia i militari del Regno Unito che decidono di tornare alla vita civile. Lo riferisce oggi il quotidiano britannico “The Times”.

Il governo ha affidato il compito a Mark Francois, un ex sottosegretario che attualmente è membro della commissione Difesa della Camera dei comuni. L’indagine è stata decisa dopo la pubblicazione degli ultimi dati sul personale delle Forze armate britanniche. Nel 2017, l’ultimo anno per il quale si hanno dati ufficiali completi, ben 7.500 militari hanno scelto di congedarsi Si tratta del 5,6 per cento del totale, con un netto incremento rispetto al 3,8 per cento del 2010.

Questa tendenza, sostiene il “Times”, è correlata alla diminuzione del numero dei militari che dicono di essere soddisfatti della vita militare. Secondo la rilevazione che le stesse Forze armate britanniche conducono ogni anno, la percentuale di soddisfazione per la vita militare del personale è scesa dal 60 per cento del 2010 al 41 per cento dello scorso anno.

Intanto, anche per quest’anno, l’esercito britannico non è riuscito a raggiungere l’obiettivo di reclutamento prefissato, mancando cinquemila reclute per raggiungere gli 82 mila effettivi previsti.

Fine vita: firmato a Roma un manifesto interreligioso

Un manifesto in nove punti che definisce i diritti e garantisce, oltre alle cure, il rispetto della dignità e il supporto religioso e spirituale per chi si trova nella fase finale della vita in strutture sanitarie.

È il manifesto interreligioso dei diritti nei percorsi di fine vita presentato e firmato ieri mattina a Roma, nel Complesso monumentale del Santo Spirito a Roma, frutto di particolare sensibilità nei confronti del dialogo interreligioso in ambito sanitario e volto a creare un percorso che porti ad impegni concreti. Diritto di disporre del tempo residuo; al rispetto della propria religione; a servizi orientati al rispetto della sfera religiosa, spirituale e culturale; alla presenza del referente religioso o assistente spirituale; all’assistenza di un mediatore interculturale; a ricevere assistenza spirituale anche da parte di referenti di altre fedi.

E ancora: diritto al sostegno spirituale e al supporto relazionale per sé e per i propri familiari; al rispetto delle pratiche pre e post mortem; al rispetto reciproco. A presentare il documento, dopo i saluti istituzionali di Angelo Tanese, direttore generale Asl Roma 1; Pier Francesco Meneghini, presidente Gmc – Università Cattolica del Sacro Cuore; Maria Angela Falà, presidente del Tavolo interreligioso di Roma, la giornalista di Tv2000 Monica Mondo. A leggerlo l’attore Sebastiano Somma. Si tratta, è stato spiegato, di “un importante punto di arrivo di un percorso condiviso con le confessioni religiose che rende possibile la trasformazione dei nove diritti sottoscritti in procedure operative”.

Il Gruppo promotore, costituito da Asl Roma 1, Gmc – Università Cattolica del Sacro Cuore e Tavolo interreligioso di Roma, vuole essere anche un punto di riferimento per realizzare e sostenere nuove iniziative volte a promuovere il percorso quale modello di accoglienza, sostegno e rispetto della fede di tutti replicabile in altre realtà sanitarie.

Per entrare a Venezia occorrerà il ticket d’ingresso

Il Comune di Venezia ha dato il placet alla delibera sul Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla città e alle altre isole minori della Laguna. La delibera verrà ora inviata alle commissioni competenti e, in seguito, al Consiglio comunale per la sua discussione e votazione. Il ticket riguarderà solo i visitatori giornalieri e sarà alternativo all’attuale imposta di soggiorno pagata da chi pernotta in hotel. La disposizione prevede un importo di 3 euro per tutto il 2019. Dal prossimo anno invece entrerà in vigore il tariffario definitivo, che comprende un pagamento base di 6 euro, per salire a 8 euro nelle giornate da bollino rosso e a 10 in quelle da bollino nero, ridiscendendo poi a 3 euro nei giorni di scarso afflusso turistico.

Sono esonerati dal pagamento i cittadini residenti, quelli della città metropolitana e dell’intera regione, nonché lavoratori, studenti e familiari dei residenti, oltre naturalmente ai turisti che alloggiano in città e che quindi pagano la relativa tassa di soggiorno. Per i trasgressori sono previste multe da 100 a 450 euro. Per limitare l’afflusso delle auto private, inoltre, che non sono considerate “vettori” e quindi non contemplate dal testo di legge, entra altresì in funzione la zona a traffico limitato compresa tra il Ponte della Libertà e Piazzale Roma.

Il contributo servirà a ridurre gli extra costi ordinari di Venezia per la sua specificità, come, ad esempio, le operazioni di pulizia e asporto rifiuti, le manutenzioni tipiche, come quelle dei masegni (pavimentazione), delle rive, dei ponti, del proprio patrimonio. Per definire le modalità operative del Regolamento è prevista la costituzione di un “Osservatorio”, per avviare un confronto continuo e diretto con tutte le categorie economiche e sociali e monitorare gli effetti a breve e medio termine, in un’ottica di coinvolgimento di tutti gli stakeholder.

Il presidente della Regione, Luca Zaia, ha avuto parole di apprezzamento per quanto annunciato dal Sindaco, Luigi Brugnaro, in merito alle tipologie di esenzione dalla cosiddetta tassa di sbarco per entrare a Venezia, tra cui quella per chi risiede in Veneto, come aveva sollecitato lo stesso governatore. “Ringrazio il sindaco Luigi Brugnaro per aver confermato ancora una volta la volontà e l’attenzione per i veneti, come avevo richiesto – ha dichiarato Zaia -. Noi siamo a disposizione. E’ una partita che assolutamente mi vede al fianco del sindaco di Venezia per quella che è una nuova sfida”. “Per me – ha aggiunto il governatore – era fondamentale che i veneti, come ha ora ribadito anche Brugnaro, fossero esonerati da questa tassa, perché visitare Venezia non è solo visitare la città che è patrimonio dell’umanità, un museo a cielo aperto e un valore mondiale, ma è anche il capoluogo della nostra regione. Quando i veneti pensano a Venezia pensano a questo, alla città che il simbolo della storia regionale”.

Roma: Lo stadio si farà parola di Virginia Raggi

La sindaca di Roma Virginia Raggi presentando la relazione del Politecnico sulla mobilità relativa all’impianto previsto a Tor di Valle annuncia che “lo stadio della Roma si fa e i proponenti se vogliono potranno aprire i cantieri già entro l’anno”.

Sui flussi di traffico nell’area Di Tor di Valle dove è previsto il nuovo stadio della Roma Bruno Dalla Chiara, referente del gruppo di lavoro per il Politecnico di Torino ha indicato le soluzioni: “Il problema c’è e rimane, ma si risolve con un’offerta plurimodale. Ci sono piani d’investimento che abbiamo chiesto che porteranno a essere la Roma Lido competitiva. Dalle nostre analisi si può arrivare a coprire un 58% degli spostamenti. Poi l’utenza va indirizzata ovviamente sul ferro. Questo permette di risolvere il problema. Sul Ponte Traiano? Non fa parte del progetto che ci è stato chiesto di visionare, asseconderebbe la viabilità stradale ma poi andrebbe ad intaccare il resto dell’area”

Il vicepresidente della Roma, Mauro Baldissoni, presente all’evento.dichiara che: “In realtà questo è solo un passaggio, che ha valore più che altro mediatico e politico, non giuridico. E’ stato anche giusto che l’amministrazione abbia voluto fare ulteriori controlli sulla mobilità del progetto, non siamo sorpresi dal risultato perché gli studi sul traffico erano stati fatti in modo professionale, criticità erano state riscontrate sulla ricaduta sulla città, non sull’impianto in sé. Parlavamo di un problema di Roma più che dello stadio in sé, la scelta di favorire il trasporto pubblico e su rotaia ci vede d’accordo. Avete visto cos’è successo con l’apertura della fermata “San Siro” a Milano, portando un aumento consistente delle presenze allo stadio negli ultimi due anni. Abbiamo in mente un’offerta sul servizio che possa favorire una presenza sul sito non solo in occasione dell’evento e questo anche dovrebbe favorire l’afflusso e il deflusso dallo Stadio. E’ interesse della Roma, non solo della città, che tutti coloro che debbano venire a vedere le partite lo possano fare nel miglior modo possibile”.

Il Signore se ne ride – I cristiani non piangano

Tonino Lasconi cinquanta anni di sacerdozio: tempo propizio per fermarsi e fare il punto… su un’epoca.

Così nasce il libro edito dalle edizioni Paoline. Un libro che parte dagli anni ’60 sino oggi dipingendo come la società e la Chiesa sono state attraversate da piccole e grandi rivoluzioni, alcune ancora in atto: la Vespa, la Seicento, la televisione, la pillola anticoncezionale, la lavatrice, lo scaldabagno, il supermercato, il telefono a gettoni, il pc, l’iPhone, lo Smartphone, Internet, i social network…

E poi ancora la contestazione del ’68; l’emancipazione femminile, la liberalizzazione sessuale, il divorzio, l’aborto, il movimento LGBT, la caduta della cortina di ferro, il terrorismo, le guerre mediorientali, le crisi economiche e delle ideologie, le mutazioni climatiche, le migrazioni dei popoli, il navigatore… In tempi in cui «i popoli insorgono e le genti congiurano» sarebbe logico immaginare la Chiesa vigile, agile, coraggiosa, pronta a rinnovare il suo annuncio, nella certezza che delle congiure «il Signore se ne ride» (Sal 2). Ma è davvero così?

Un parroco si racconta e ci racconta…

Il cervello femminile invecchia più lentamente

Il tempo che passa non concede pari opportunità a uomini e donne, metabolicamente parlando.  Lo ha dimostrato un gruppo di scienziati della Washington University School of Medicine di St. Louis, negli Usa, in uno studio pubblicato online su ‘Pnas’. Secondo gli autori, il dato potrebbe spiegare perché, invecchiando, lei rimane mentalmente più attiva di lui.

Il cervello consuma zuccheri, ma il modo in cui lo fa cambia con la crescita. Bambini e adolescenti impiegano parte di queste riserve energetiche in un processo chiamato glicolisi aerobica, che sostiene lo sviluppo e la maturazione cerebrale. La percentuale del glucosio investito in questo compito cala progressivamente con il passare degli anni. Se questa parabola era nota, pochissimo si sapeva sulle differenze nel metabolismo degli zuccheri tra uomo e donna.

Così gli scienziati della Scuola di Medicina dell’Università di Washington a St. Louis hanno usato la tomografia a emissione di positroni (PET) per misurare il flusso di sangue e glucosio nel cervello di 205 volontari, 121 donne e 84 uomini, tra i 20 e gli 82 anni di età. Per ciascuno è stata valutata la percentuale di zuccheri impegnata nella glicolisi aerobica in varie aree cerebrali. Questi dati, insieme a quelli relativi all’età anagrafica dei partecipanti maschi, sono stati dati in pasto a uno speciale software, per cercare una relazione tra i due fattori.

Un dato importante evidenziato dal lavoro americano è che la maggiore ‘giovinezza metabolicà del cervello femminile era rilevabile anche tra i partecipanti più giovani, all’incirca ventenni. Resta ora da capire cosa ciò significhi.

Un nuovo partito. Ma con le precauzioni di Panebianco e P. Spadaro

Si potrebbe fare il punto sulla situazione politica attuale utilizzando gli stralci, anche se lunghi, di due significativi interventi, rispettivamente di Angelo Panebianco (sul Corriere della Sera) e P. Antonio Spadaro (sull’Espresso). Il primo fa riferimento alla crisi del Pd e al vuoto che si è aperto al centro; l’altro, invece, precisa il senso di un nuovo impegno dei cattolici, forse i più adatti a coprire l’area di centro.

“Qualcuno può eccepire – scriveva ieri l’editorialista del Corriere – di fronte all’idea che una formazione neo-centrista sia in grado di incontrare il favore di molti elettori. Ma è nei sistemi maggioritari, dominati dal bipolarismo (sinistra contro destra), che i partiti centristi, distinti sia dalla sinistra che dalla destra, non hanno chance di successo. Non è più il nostro caso. Ora abbiamo di nuovo la proporzionale e ove vige la proporzionale lo spazio per formazioni di centro, almeno in teoria, c’è”.

In parallelo, domenica scorsa, rispondeva così il direttore di Civiltà Cattolica: “In un tempo in cui il bisogno di partecipazione si sta esprimendo in forme e modi nuovi, non è possibile tornare all’”usato garantito” o alle retoriche già sentite. Non basta più neanche un’unica tradizione politica a risolvere i problemi del Paese. Se dal Vangelo non si possono dedurre ricette politico-sociali, è chiaro però che il Vangelo stesso giudica queste ricette. E svela l’”idolatria” di chi lo strumentalizza”.

Sembra, in sostanza, che la ricerca o la costruzione di un nuovo assetto politico, implicante la ripresa d’iniziativa “al centro” e la mobilitazione di “mondi vitali” di matrice cattolica, porti alla identificazione di un vasto campo di manovra, tanto nelle istituzioni democratiche quanto nella società civile. La convergenza, in questo caso, si potrebbe registrare nella esclusione di formule valide nel passato ma oggi non più riproponibili. Panebianco e P. Spadaro, muovendo da presupposti diversi, arrivano tuttavia alla medesima conclusione: l’ipotesi di un partito di ispirazione cristiana, nel solco e nella tradizione di quella che fu la Dc, non è da prendere in considerazione.

Si tratta allora di capire quale possa essere la piattaforma di un “nuovo centro”, democratico e progressista, capace di erodere le basi di consenso del blocco sovranista e populista. E, a maggior ragione, si tratta di spiegare i termini della ripresa di iniziativa dei cattolici democratici e popolari. Il loro apporto, se non si vuole prolungare lo stato di evidente astenia, dovrà pur essere organizzato e promosso in un quadro di visibilità e concretezza, e nondimeno di rispetto del dato necessario di autonomia funzionale a garantire l’efficacia di una rinnovata presenza politica.

Il dibattito assume dunque connotati più precisi, lasciando cadere opportunamente ogni richiamo a una perniciosa e inammissibile sovrapposizione di fede e politica, per altro già esclusa da Sturzo nel suo Appello di cento anni fa. Bisogna lavorare su una traccia che offra ai “liberi e forti” degli anni Duemila la possibilità di cooperare per il bene dell’Italia. I tempi stringono, monta l’urgenza di un segnale di partenza, senza aspettare che un arbitro immaginifico si disponga a dar fiato al suo fischietto. La partita in qualche modo è già cominciata.

Ormai il divario tra Lega e M5S è quasi al 10%

La rilevazione effettuata da Demos & Pi alla fine di gennaio mette in evidenza qualche cambiamento rispetto a dicembre. In poco più di un mese, infatti, il Carroccio è salito dal 32,2% al 33,7%: un punto e mezzo percentuale in più.

Arranca invece il Movimento 5 Stelle. che passa dal 25,7% al 24,9%. In costante calo, arrivando oggi a quasi otto punti di distanza da 32,7% del 4 marzo.

Chi è tornato a crescere, seppur in misura quasi impercettibile, è il Partito Democratico. Che sta tornando vicino ai livelli, comunque ben poco soddisfacenti, delle elezioni politiche. Il Pd si attesta al 18,2%, guadagnando lo 0,7% in poco più di un mese.

Mentre Forza Italia passa dal 9,1% al 9,4%. Valori su cui si trova più o meno da settembre. Ben al di sotto, inoltre, del 14% fatto registrare alle elezioni politiche.

Consumi: Istat, cambia il paniere

Ogni anno l’Istat rivede l’elenco dei prodotti che compongono il paniere di riferimento della rilevazione dei prezzi al consumo e aggiornando contestualmente le tecniche d’indagine e i pesi con i quali i diversi prodotti contribuiscono alla misura dell’inflazione.

Nel paniere del 2019 utilizzato per il calcolo degli indici NIC (per l’intera collettività nazionale) e FOI (per le famiglie di operai e impiegati) figurano 1.507 prodotti elementari (1.489 nel 2018), raggruppati in 922 prodotti, a loro volta raccolti in 407 aggregati.

Per il calcolo dell’indice IPCA (armonizzato a livello europeo) si adotta un paniere di 1.524 prodotti elementari (in lieve ampliamento rispetto ai 1.506 nel 2018), raggruppati in 914 prodotti e 411 aggregati.

L’aggiornamento del paniere tiene conto dei cambiamenti emersi nelle abitudini di spesa delle famiglie, dell’evoluzione di norme e classificazioni e in alcuni casi arricchisce la gamma dei prodotti che rappresentano consumi consolidati.

Per quanto riguarda l’ingresso di prodotti che hanno acquisito maggiore rilevanza nella spesa delle famiglie, sono da segnalare: tra i beni alimentari, Frutti di bosco e Zenzero; nei trasporti, Bicicletta elettrica e Scooter sharing. Entra inoltre nel paniere la Cuffia con microfono (tra gli apparecchi audiovisivi, fotografici e informatici), l’Hoverboard (tra gli articoli sportivi) e la web TV (nell’ambito degli abbonamenti alla pay tv).

Ad arricchire la gamma dei prodotti che rappresentano consumi consolidati, entrano nel paniere Tavolo, Sedia e Mobile da esterno (tra i mobili da giardino), Pannoloni e Traversa salvaletto (tra gli altri prodotti medicali) e i prezzi dell’Energia elettrica del mercato libero, affiancano quelli del regime di maggior tutela nel contribuire alla stima dell’inflazione.

Escono dal paniere il Supporto digitale da registrare e la Lampadina a risparmio energetico.

Nel complesso, le quotazioni di prezzo usate ogni mese per stimare l’inflazione sono circa 6.000.000 e hanno una pluralità di fonti: 458.000 sono raccolte sul territorio dagli Uffici comunali di statistica e 238.000 direttamente dall’Istat; oltre 5.200.000 tramite scanner data; più di 86.000 arrivano dalla base dati dei prezzi dei carburanti del Ministero dello Sviluppo economico.

Italia: il Paese con più aree a rischio smog

L’Italia è il Paese dell’Ue col più alto numero di aree a rischio a causa dello smog e delle ondate di caldo. E’ quanto emerge da un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente, che confronta indicatori su salute, ambiente e demografia. Lo studio sottolinea che le diseguaglianze socio-economiche aumentano l’impatto di inquinamento atmosferico e acustico e delle temperature estreme, con gli Stati di Sud ed Est Europa tra i più vulnerabili.

Il rapporto rileva che i rischi maggiori per la salute da inquinamento e cambiamenti climatici si registrano in aree dove i redditi e il livello di istruzione sono inferiori alla media europea, e i tassi di disoccupazione a lungo termine e di anzianità della popolazione sono invece superiori. Tra le città più a rischio sono citate Torino, Stara Zagora (Bulgaria) e Nicosia (Cipro).

L’Italia, inoltre, è uno dei tre Paesi Ue (gli altri sono Grecia e Slovacchia) che presenta più territori in cui i rischi ambientali si sovrappongono fattori sociali. Nella Penisola si trova il maggior numero di aree in Europa esposte a tre tipi di inquinamento atmosferico – da particolato, biossido di azoto e ozono – e alle ondate di calore, con la presenza simultanea dei problemi di smog tipici delle aree urbane con reddito pro-capite inferiore alla media europea (Pm10 e ozono) e quelli delle regioni sviluppate (biossido di azoto).

Piemonte, approvata la Carta etica della montagna

Come avvicinarsi alla montagna e viverne le bellezze senza depauperare il suo significato? Ne sa qualcosa la Regione Piemonte che, su indicazione dell’assessore Alberto Valmaggia e dell’assessore Augusto Ferrari, ha approvato la Carta etica della montagna. L’obiettivo del documento è quello di promuovere una cultura ne che valorizzi l’economia locale, legata a una frequentazione turistica sostenibile e socialmente inclusiva, nell’ottica di accogliere anche le fasce più fragili della popolazione.

I comportamenti da ricercare e da perseguire devono essere improntati secondo i principi di uno sviluppo ecocompatibile e sostenibile che uniscano, in un rapporto di interdipendenza, la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali alla dimensione economica, sociale ed istituzionale, al fine di soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, evitando di compromettere quelle future.

In questo senso la continua crescita di esperienze positive di montagnaterapia hanno stimolato la volontà di implementare iniziative a contatto con la montagna, per persone affette da patologie psichiatriche, fisiche, emotive e cognitive proprio a carattere terapeutico-riabilitativo o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione, alla cura ed alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche.

La Carta etica della montagna promuove l’impegno alla corresponsabilità di tutti i soggetti che, a vario titolo hanno a che fare con l’ambiente montano, dalle istituzione ai residenti con il coinvolgimento dei professionisti della montagna, dei servizi sportivi, dei servizi socio-educativi e sanitari, delle associazioni, delle imprese e del Club alpino italiano.

La Regione Piemonte da tempo è sensibile al tema ed è per questo motivo che con la Carta etica ha voluto sottolineare l’importanza di una politica pubblica per la montagna tale da contribuire alla coesione sociale e allo sviluppo economico sostenibile. Soddisfazione è stata espressa dall’assessore regionale alle Politiche sociali, Augusto Ferrari, che ha detto: “Dopo aver vissuto negli scorsi mesi l’esperienza della montagna terapia ho acquisito ancor più la consapevolezza del valore terapeutico del camminare in montagna e di come, a fini terapeutici, possa migliorare la qualità della vita anche delle persone più fragili o problematiche. Ma non solo, ha un significato più profondamente umano: aiuta a conoscere meglio se stessi e a condividere positivamente il punto di vista degli altri, opportunità che dobbiamo mettere al servizio di tutte le nostre comunità”.

“La montagna, per le sue caratteristiche di innata bellezza, può e deve diventare un patrimonio di tutti, in modo particolare nella nostra regione, per gran parte ricoperta di alture e scenari diversissimi tra loro – ha spiegato l’assessore allo Sviluppo della montagna, Alberto Valmaggia . Anche grazie alla Carta etica e agli importanti investimenti fatti in questi anni, soprattutto sul turismo outdoor, intendiamo operare a vantaggio delle attività sociali ed economiche del territorio montano, con lo scopo di sostenere chi vive in montagna, ma anche promuovere le terre alte quale principale meta del Piemonte”.

 

“Il primo Re” di Matteo Rovere

Il regista del film Matteo Rovere, insieme agli sceneggiatori Filippo Gravino e Francesca Manieri, ha scelto di portare le origini di Roma sul grande schermo riproducendo nel modo più fedele possibile quella che era la realtà dell’ottavo secolo avanti Cristo.

Per questo Rovere e il suo team hanno interpellato gli studiosi dell’Università La Sapienza di Roma che hanno spiegato loro come chi abitava i villaggi laziali al tempo di Romolo e Remo parlasse una lingua piena di contaminazioni: è il latino arcaico che risale al terzo secolo avanti Cristo.

E quindi, proprio questa lingua viene usata, per tutto il film, per far parlare i due personaggi.

Ma il merito di Matteo Rovere è nella fotografia eseguita con una luce naturale, dove i raggi del sole filtrano tra le fronde della foresta e solo i fuochi tengono a bada le tenebre della notte.

Una regia che cerca di ricostruire un’atmosfera da racconto eroico e tragico, dando eguale spazio ai più piccoli dettagli di riti magici e religiosi, dei costumi, delle primitive capanne e dell’ambiente naturale. Senza dimenticare lo spettacolo, presente fin dall’apertura con l’onda che travolge i due fratelli in un momento altamente drammatico e visivamente impressionante, dove il lavoro in computer graphic non ha cedimenti.

Allo stesso modo i numerosi scontri all’arma bianca e corpo a corpo non vanno per il sottile, gli stunt men non trattengono i colpi e la violenza è spaventosa e credibile, senza mai il bisogno di ricorrere al sangue digitale.

 

Roma: tridente, da aprile arrivano i varchi elettronici

Via del Corso, via del Babuino, via di Ripetta con annesse vie interne, da aprile diventeranno, off limits per il traffico. Dall’1 aprile infatti inizierà la fase di pre-esercizio per rilevare l’accesso degli autoveicoli, ciclomotori e motoveicoli non autorizzati ai varchi elettronici della zona a traffico limitato del Tridente Ztl A1.

In questa fase, ogni ingresso sarà comunque presidiato da pattuglie della Polizia locale di Roma Capitale per un periodo di 30 giorni. Al termine di questa prima fase, il sistema di controllo per il rilevamento automatico degli accessi entrerà in effettivo esercizio. I varchi elettronici saranno attivi dal lunedì al venerdì (esclusi i festivi) dalle 6.30 alle 19 e il sabato (esclusi i festivi) dalle 10 alle 19.

L’accesso e la sosta saranno consentiti ai soli titolari di permesso/autorizzazione ztl A1 e a tutte le categorie speciali, come ad esempio, lavoratori notturni, auto a servizio di portatori di handicap, trasporto pubblico (taxi, bus, ncc), veicoli per cerimonie religiose diretti ai luoghi di culto interni alla ztl A1, forze di polizia e altre categorie.

Bambini: Chi ha subito punizioni fisiche può sviluppare comportamenti asociali

Uno studio statunitense sostiene che i bambini che vengono sculacciati, schiaffeggiati, o puniti in altro modo, abbiano maggiori probabilità di sviluppare un comportamento asociale da adulti. I ricercatori hanno esaminato i dati relativi a 36.309 adulti , età media 47 anni. Ai partecipanti sono state poste domande sulle punizioni ricevute da piccoli, come spinte, strattoni schiaffi e maltrattamenti più gravi, come violenza sessuale, abuso fisico o emotivo o abbandono.

I risultati
. Nel complesso, il 18% dei partecipanti aveva subito un qualche tipo di dura punizione fisica durante l’infanzia e il 48% maltrattamenti.
Sculacciate e abusi erano entrambi associati a un rischio più elevato di comportamento asociale nell’età adulta. Inoltre, i bimbi che aveva subito sia dure punizioni fisiche che una qualche forma di abuso o abbandono presentavano ancora probabilità ancora maggiori di sviluppare comportamenti asociali da adulti rispetto a quelli che avevano sperimentato solo un tipo di maltrattamento.

“Decenni di dati hanno indicato che sculacciate e punizioni fisiche rigide aumentano la probabilità di molti esiti negativi in termini di salute, sviluppo e socialità per i bambini e, cosa importante, nessuno studio ha mai dimostrato che la sculacciata è benefica per il bambino”.