Attaccare simbolicamente Remo Gaspari – se oggi l’Abruzzo è una ragione sviluppata gran parte del merito spetta a lui – significa non solo spregiare ad arte e senza ragione un’intera esperienza politica, ma anche e soprattutto detestare un modo d’essere in politica.
Stefania Parisi
Le recenti parole di Carlo Calenda contro Remo Gaspari, uomo altamente rappresentativo della complessa vicenda democristiana, non solo hanno offeso ciò che egli ha rappresentato nella sua lunga e feconda attività politica ma, soprattutto, hanno inferto un colpo ingiustificato alla stessa narrazione attorno allo Scudo crociato. Insomma, potremmo dire che si è trattato di un’uscita inconsulta per chi si vuole inimicare un mondo politico, culturale, sociale – fortemente stratificato nella dimensione popolare – che continua ad individuare in figure come quelle di Remo Gaspari un esempio di coerenza e capacità politica, con esiti positivi nell’azione di governo.
Ora, si tratta semplicemente di capire se le parole di Calenda siano state studiate e pianificate a tavolino – come purtroppo noi crediamo – o se, invece, sono solo il frutto della compulsione da tweet e da post. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di un grave e squallido infortunio che evidenzia come le leadership politiche contemporanee continuano ad essere legate più all’improvvisazione che a una seria e organica visione di futuro. Ma, per andare oltre le parole pronunciate da Calenda, pur senza dimenticarle, il punto che merita di essere sottolineato è che permane in alcuni circoli intellettuali, spesso sotto traccia, la volontà di continuare a demolire e a ridicolizzare l’esperienza cinquantennale della Democrazia cristiana. E ciò nonostante la consapevolezza che il personale politico di questi nostri anni non è paragonabile, neanche lontanamente, con quello del passato. E poi, diciamocelo con franchezza, permane anche la sottile perfidia – se non una vera e propria invidia – per il fatto di non poter imitare proprio l’esperienza della Dc, un partito capace perseguire nello stesso tempo un disegno politico, una visione di società e una straordinaria capacità di governo.
E ciò accadeva grazie ad uomini e donne dotati di grande levatura politica, di uno specifico spessore culturale e con una dirittura morale non indifferente. Senza dimenticare mai, per altro, l’attitudicne a rappresentare i vari territori, interpretando bisogni e istanze che da essi provenivano. Ed è proprio qui che incrociamo l’esempio e il magistero di uomini come Remo Gaspari. Un leader politico, e uno statista, che sapeva conciliare senza supponenza e senza alcuna arroganza, il duro lavoro quotidiano – politico e, spesso e a lungo, governativo – con una spiccata vocazione a “sentire” gli umori della base. E sempre in virtù di un atteggiamento che rivelava profonda sensibilità umana, unitamente a grande semplicità. Certo, Gaspari era anche un politico che rispondeva al telefono, parlava con le persone – con tutte le persone -, organizzava il consenso in base alle istanze e ai bisogni della società.
Elementi che oggi, come ovvio, sono del tutto estranei e sconosciuti ai cosiddetti leader politici. Ecco perchè attaccare simbolicamente Remo Gaspari – se oggi l’Abruzzo è una ragione sviluppata gran parte del merito spetta a lui – significa semplicemente non solo spregiare ad arte e senza ragione un’intera esperienza politica, ma anche e soprattutto detestare un modo d’essere in politica e nella stessa società. Per questo Calenda ha sbagliato profondamente bersaglio. E forse anche per questo si è scusato, seppur un po’ tardivamente, per affermazioni a dir poco esorbitanti.