Candidature, l’inaffidabilità di molti capi partito.

Di fronte a un evidente malcostume, è sempre più indispensabile recuperare il vecchio monito di Pietro Scoppola di saper legare per i politici la “cultura del comportamento” con la “cultura del progetto”.

È una considerazione che ormai non fa neanche più notizia. E cioè, quello che un capo partito dice il giorno prima – o la settimana prima, al massimo – viene sistematicamente rinnegato il giorno dopo o la settimana successiva. E, per fermarsi all’ultimo capitolo, quello della composizione delle liste, questo assunto è stato persin platealmente confermato.

Dunque, c’è chi ha detto sin dall’inizio – senza la solita insopportabile ipocrisia – che si candidava per trainare il partito alle prossime elezioni europee. Anche perché, come tutti sanno, nei partiti personali o del capo l’elettorato si riconosce prevalentemente nel messaggio e nel progetto incarnato dal leader stesso. Un atteggiamento, questo, però onesto e trasparente perchè ci ha risparmiato quella grassa ipocrisia dei soliti moralisti da baraccone. E non possiamo, al riguardo, non ricordare invece la coerenza e la trasparenza di Giorgia Meloni, di Antonio Tajani e anche di Elly Schlein. Certo, non andranno a Strasburgo, se eletti, ma visto che la personalizzazione resta una costante della dialettica politica contemporanea la loro candidatura serve come traino elettorale per identificare con la loro persona il progetto e l’identità del rispettivo partito.

Altra cosa, tutt’altra cosa, sono quei capi partito che sbraitano contro Meloni, Tajani e Schlein e poi si comportano nello stesso modo. La solita “doppia morale” ormai collaudatissima nella politica italiana. E non possiamo non citare in questa ultima categoria quei capi partito che decidono all’ultimo la loro presenza nelle liste, dopo aver tutto e il contrario di tutto, facendo saltare equilibri e candidature di persone che avevano già dato la loro concreta disponibilità. Un atteggiamento, questo, disgustoso e che si commenta da solo senza ulteriori commenti.

Ora, non resta che prendere atto di un progressivo e consolidato malcostume della politica italiana. Un malcostume che è il frutto e la conseguenza di una crescente e sempre più insopportabile inaffidabilità di quei capi partito espressione di partiti personali dove qualsiasi scelta si può fare perchè avviene senza consultare nessuno. Men che meno gli organi di partito che, di fatto, sono semplici orpelli del tutto inutili e pertanto ininfluenti. E questo, purtroppo, è uno di quei tasselli che contribuiscono in modo potente ad allontanare i cittadini dai partiti e, soprattutto, dalle urne. Perché quando buona parte della politica si riduce ad essere espressione di realtà autoreferenziali legate esclusivamente al capo attraverso il criterio della fedeltà assoluta, è di tutta evidenza che saltano tutti i tasselli che qualificano e sorreggono la democrazia nel nostro paese. Mai come in questo caso la forma è sostanza. Perchè senza alcuna regola democratica interna ai partiti è gioco forza che poi questo meccanismo, e quindi questo costume, si trasferiscano meccanicamente anche nelle istituzioni. E, questo, forse, è l’aspetto che maggiormente squalifica la politica e la riduce ad un affare per pochi.

Per questi motivi, semplici ma essenziali, è sempre più indispensabile recuperare il vecchio monito di Pietro Scoppola di saper legare per i politici la “cultura del comportamento” con la “cultura del progetto”. Perchè, al di là di ogni deriva moralistica, senza il ritorno di un comportamento esemplare, trasparente e corretto, sarà la stessa politica ad essere sacrificata sull’altare della immoralità, della superficialità e della sola spregiudicatezza.