La Meloni con il premierato mostra i muscoli, anche verso Bruxelles.

Giocare la carta del premierato significa per la Meloni un di più di determinazione da esibire davanti alla nazione. Con piglio autarchico intende contrastare le supponenze europee sul rispetto degli equilibri finanziari.

Eccoli i Soloni di turno, pronti a denunciare l’ennesima anomalia italiana: “Che figuraccia facciamo in Europa? Ci accingiamo ad eleggere personalità che non possono o non vogliono lasciare il Parlamento, luogo di continuità e sopravvivenza politica per eccellenza”. È una polemica artefatta, anche un po’ strumentale, dal momento che sorvola su un problema ben presente nella testa di ogni leader di partito, vale a dire l’esigenza di consolidare attorno al proprio nome il rapporto con l’elettorato.

In questa rincorsa all’investitura, la più giustificata di tutti è la Meloni perché ha in mano l’asso pigliatutto per l’oggi e per il domani: il premierato, formula che agli occhi degli avversari diventa polemicamente il “premierato assoluto”. Con tutti i rischi che sappiamo. La Meloni si bene che col proporzionale puro viene a mancare il premio di maggioranza ed è necessario fare incursione in altri campi, tra i suoi alleati, rilanciando l’immagine di chi possiede gli strumenti per valorizzare il proprio ruolo, del resto già fortificato nello scontro (nascosto?) con Mattarella.

Giocare la carta del premierato significa per la Meloni un di più di coraggio e determinazione da esibire davanti alla nazione. Un vero e proprio salto triplo per essere percepita come la leader più impegnata, con piglio autarchico, a contrastare le supponenze europee in ordine ai parametri di bilancio da rispettare. Per questo ha bisogno di irrompere anche nel campo dei suoi alleati, per fare il pieno di voti e presentarsi forte al confronto con Bruxelles. Non solo destra, dunque, ma anche centro. se con questo s’intende aprire ai tanti elettori che attendono il governo alla prova della concretezza.

Il disegno può riuscire, specie con la Lega, visto che Salvini danza con l’estrema destra europea ed alleva quella interna con l’impronta doc del Generalissimo Vannacci. Il capo della Lega teme l’emoraggia di voti verso la Meloni ed in piccola parte verso Forza Italia, anche se gli Azzurri hanno perso un’occasione storica per non vivere più delle glorie del passato. In effetti, perché non è venuta da Tajani la proposta in grado di spiazzare la Meloni, quella cioè di elezione diretta sì, ma sul modello francese? Avrebbe dato dimostrazione di saggezza. La democrazia è più forte, e al tempo stesso più matura, se si adotta un sistema che altrove funziona. La tendenza a umiliare il Parlamento è profondamente sbagliata, dato che rappresenta l’altra fonte autonoma del potere e quindi il pilastro di un ordinamento flessibile ed equilibrato.

Questa prospettiva è mancata anche al Pd e alla sua segretaria che, per inciso, avrebbe dovuto insistere a candidarsi in tutte le circoscrizioni. I Soloni che affollano il Pd dimenticano che la competizione elettorale si gioca molto sulla riconoscibilità delle leadership. Sarebbe stato un colpo fortunato se Elly Schlein avesse tirato dritto, ponendosi alla guida delle liste, alzando la bandiera dell’alternativa, ma di un’alternativa credibile, come quella di una riforma ricalcata sul semipresidenzialismo alla francese.

Infine, un pensiero proprio sull’Europa: dovrebbe essere in testa ai discorsi di questa campagna elettorale che con il deposito delle liste prende formalmente il via. Chi potrà assumere le vesti di nuovo Delors nel contesto di trasformazioni ineludibili, a partire dalla difesa comune? Almeno su questo dovremmo avere le idee chiare. Inutile dire che l’indicazione più appetibile dentro e fuori Italia sarebbe quella di Draghi. Ebbene, cari Soloni, m’aspetto che all’ultimo la Meloni se ne voglia appropriare…pur di non avere Super Mario contro in Italia.