Carcere e suicidi: Davigo disarmante sulla questione Gardini.

Lo scorso anno nelle carceri del nostro paese si sono registrati 85 suicidi. Togliersi la vita è un gesto estremo: Davigo, intervistato, è parso ricavarne fastidio o delusione, più che pietà.

La questione ogni tanto torna a galla dando la ribalta a chi ne resta indifferente e chi invece se ne fa un punto di tristezza. Ciò detto non sembra che i fatti possano neanche per il futuro prendere una piega diversa per la sua complessità.

La soluzione sarebbe forse in una rilettura radicale del sistema di giustizia e penitenziario nel nostro paese che attende ancora la piena attuazione dei principi propri della nostra carta costituzionale in materia.

Su una giustizia giusta e sulla necessità di recupero e reinserimento di un reo nel mondo di fuori si sono scritte pagine innumerevoli ma nei fatti poche incisive. A monte la condizione che abbia scontato la pena comminata e pagato il suo debito con la società.

Nel 2022 nelle carceri del nostro paese si sono registrati 85 suicidi. Parliamo di persone che hanno deciso di togliersi di mezzo non intravedendo un filo di speranza né dentro le mura di una casa di pena né oltre esse.

Sembra che il termine “suicidio” sia stato coniato da un certo abate Desfontaine  e rappresenta in certe condizioni il solo potere ancora in mano a chi sia sprovvisto di ogni restante altro.

Nella mitologia nordica in origine era considerato un gesto di qualificata rilevanza. I Maya Ixtab adoravano la dea dei sucidi ai quali era assicurato il Paradiso.

Nell’antica Grecia, diversamente, per dispregio, al cadavere del suicida era invece mozzata una mano ed il cadavere seppellito fuori dalla città.

Il suicida segna ancora la sua presenza in questo mondo con un gesto estremo che lasci non solo traccia di sé ma che gli consenta di tagliare i ponti con una realtà che non riconosce per costruirsene un’altra di rinascita.

A settembre del 2023, sono state 51 le persone che hanno detto basta al regime carcerario e di recente nell’ultimo mese nella casa circondariale di Montoro a Verona 3 detenuti hanno deciso di farla finita.

L’ultimo di questi, l’8 dicembre, Oussama Sadek: nel mese di Marzo pare che avrebbe conosciuto la libertà ma non ce l’ha fatta a resistere fino a quella data. Si dirà che soffriva di un disagio emotivo e per questo non ha atteso il fatidico giorno di porte finalmente aperte. Se fosse vero, avrebbe dovuto essere tanto più assistito e protetto.

In un recente podcast condotto da persona di spettacolo, un ex giudice protagonista della stagione di Mani Pulite, ha dato con sincerità una risposta alla domanda di come avesse vissuto umanamente la vicenda del suicidio di Raul Gardini.

Piercamillo Davigo, articolando la risposta ha premesso, una ovvietà. “Le conseguenze dei delitti ricadono su coloro che li commettono e non su coloro che li scoprono e li reprimono”. Le indagini non possono essere inibite dalla ipotesi che qualcuno possa decidere di ammazzarsi.

L’intervistatore ha poi incalzato l’ex magistrato chiedendo se avesse avvertito comunque del dispiacere per la morte di uno dei protagonisti della impresa economico finanziaria in Italia.  Il primo commento è stato di disarmante per quanto apprezzabile onestà: “Il fatto che uno decide di suicidarsi lo perdi come possibile fonte di informazione”. Subito dopo ha aggiunto un passaggio anche sulla pietà umana che non deve però condizionare l’andamento delle indagini.

La “fonte” non è solo una sorgente d’acqua a getto continuo. Nel mestiere tipografico e nella tecnica di fotocomposizione indica anche un insieme completo di caratteri contraddistinti da un particolare disegno e stile. Verrebbe in questo caso da pensare ad una fonte di parole, ammissioni e confessioni auspicabili per poter mandare ulteriormente avanti un’inchiesta.

Un po’ prima del podcast, Macchiavelli, insistendo sulla necessità di un giudice di essere determinato e indipendente, nella “Allocuzione fatta a un magistrato” diceva: “Dovete pertanto, prestantissimi cittadini, et voi altri che sete preposte ad giudicare, chiudervi gl’ochi, turarvi gl’orechi, legarvi le mani,  quando voi habbiate ad vedere nel iudicio o parenti, o a sentire preghi o persuasioni non ragionevoli,  o ad ricevere cosa alcuna, che vi corrompa l’animo, et vi devii da le pie et giuste operationi”.

Non per contrapposto ma ad integrazione, sembra anche opportuno rammentare quanto detto da Leonardo Sciascia, uno che di giustizia si era occupato, quando ricordava che un giudice non dovrebbe tanto godere del potere che ha, quanto soffrirlo.

Nel sistema delle immediate priorità espressive, Davigo si è imposto di prediligere quella professionale, mettendo in seconda battuta quelle di sentimenti di umana pietà. È prevalsa insomma al tempo la preoccupazione di un ramo reciso che non potesse dare più frutti. Ogni valutazione va contestualizzata come sempre all’epoca dei fatti.

Per la cronaca Gardini si tirò un colpo di pistola, non era in carcere e non intendeva andarci. Si uccise nella sua casa in Piazza Bel Gioioso, a Milano. Un domicilio come paradossale scherzo del destino.