Cattolici e Pd, è cambiata una fase

Il Pd doveva valorizzare la pluralità culturale interna e, nello specifico, l'importanza "dell'umanesimo cristiano

Quando si parla di cattolici e Pd, di partito plurale e di rispetto tra le varie culture riformiste all’interno di questo contenitore, occorre dare atto che Livia Turco e’ tra quegli esponenti nazionali che ha sempre creduto nel principio della “contaminazione culturale”. Ovvero, ha sempre sostenuto che il Pd doveva valorizzare la pluralità culturale interna e, nello specifico, l’importanza “dell’umanesimo cristiano”, per usare le sue parole. Ma, al di là di questo importante e non burocratico riconoscimento, è altrettanto indubbio che dopo il voto del 4 marzo scorso è cambiata profondamente la geografia politica del nostro paese.

E questo non solo per il successo dei 5 stelle e soprattutto della Lega – che continua a crescere nei sondaggi – ma perché sono venuti al pettine le contraddizioni e le difficoltà oggettive che aleggiavano da tempo sulla testa del Pd. Certo, dopo la lunga stagione renziana e la sostanziale identificazione del partito con la sua forte e prorompente personalita’, – al punto che si è parlato sostanzialmente e ripetutamente di “Pdr”, cioè del partito di Renzi – sono ritornate con forza le identità politiche e culturali. È tornata , forse per la prima volta con questa chiarezza, la destra.

È presente, seppur in forma altalenante, un populismo antisistema; riprende fiato una sinistra massimalista ed estremista . Come può mancare, comprensibilmente e giustamente, in un quadro del genere chi si pone il problema e la priorità di “rifondare”, “ricostruire” e “rideclinare” la cultura, il pensiero, la tradizione e il progetto politico della “sinistra riformista e democratica”? Come dar torto a chi, dopo la sfortunata gestione renziana, si pone questo tema come la vera se non esclusiva “mission” del Pd dopo le primarie del prossimo 3 marzo? Sarebbe ingeneroso nonché irresponsabile respingere quella giusta e sacrosanta esigenza.

Ma, e torno al capitolo del ritorno delle identità, e’ pensabile che nella nuova fase politica che si è aperta dopo le recenti elezioni, l’unica cultura politica – oltretutto decisiva in tutte le fasi storiche del nostro paese – che rimane a bordo campo o, al massimo, partecipi come “lievito” rispetto ad altri progetti politici sia la tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale? Qui, com’è ovvio, non si tratta di contrapporre il “messaggio cristiano alla sinistra” ma, al contrario, si tratta di capire se “quell’amalgama mal riuscito – per citare una riflessione intelligente di Massimo D’Alema e coniugata in tempi non sospetti quando si parlava della contaminazione tra le varie culture nel contenitore Pd – oggi possa essere semplicisticamente riproposto . Come se non fosse cambiato nulla dall’origine del Pd nel lontano 2007 ad oggi.

Come se, dopo la sostanziale sconfessione – da parte dei cittadini elettori e non a causa dei sermoni arroganti e presuntuosi dei soliti intellettuali da salotto – politica ed elettorale il Pd possa ripartire dal celebre detto “dov’eravamo rimasti”? Ecco perché, e senza alcun pregiudizio ideologico e men che meno personale, si tratta di verificare concretamente se l’ormai famosa “contaminazione” fra le varie culture fondative che oltre 10 anni diede vita al Pd, possa ancora essere oggi la parola d’ordine per dare una prospettiva politica riformista e democratica a quella casa oppure se, al contrario, non sia politicamente più credibile la strada di costruire una alleanza tra soggetti diversi ma che perseguono il comune obiettivo politico. Il tutto per evitare che “quell’amalgama mal riuscito” alcuni anni fa non diventi, domani, un esperimento non più riproponibile.