Giuseppe Fioroni
A lanciare un bengala nel cielo della sera, che in questa metafora è il cielo del cosiddetto terzo polo, è stato uno dei più apprezzati giornalisti economici, firma storica del Corriere della Sera: Federico Fubini. Ha scritto nei giorni scorsi che “i liberali progressisti, i riformisti – chiamateli come vi pare – sono nel deserto. Lo sono in tutta Europa, in tutto il mondo occidentale: coloro che cercano una “terza via“ tra destra e sinistra dal profilo sempre più netto e polarizzato faticano a trovare un ancoraggio solido nella società. Sono in cerca d’autore”.
In realtà, è la “terza via” in quanto tale a scontare la disillusione, se non l’avversione, del ceto medio in crisi. Quella che doveva rappresentare una risposta alla decadenza economica, con la promessa di un benessere ritrovato nelle pieghe di un riformismo coraggioso e intraprendente, non ha corrisposto alle attese suscitate in abbondanza. Anzi, proprio il ceto medio registra maggiormente gli effetti perversi di una ridistribuzione verso l’alto della ricchezza, con vistosi processi di accentramento in poche mani, così da mettere in discussione quel blocco popolare che fu a lungo il beneficiario delle politiche di welfare.
Ecco allora le conclusioni di Fubini: “Così una scuola che si considerava (ed era) all’avanguardia ha perso la sua voce. Bisogna che la ritrovi, adattata a tempi nuovi in cui vanno governate transizioni industriali strategiche e dalla società civile una grande domanda di protezione. Questo silenzio al centro non sta aiutando certo i radicali alle estreme a pensare meglio”.
È un’analisi che invita a riflettere. Certo, identificare la “terza via” come espressione del riformismo liberale vale per le esperienze degli ultimi decenni, in particolare per il “new labour” di Tony Blair in Gran Bretagna. Tuttavia, almeno in Italia, questa visione riformatrice ha conosciuto nel passato la forte innervatura del pensiero democratico di matrice cristiana. Dal Codice di Camaldoli (1943-45) in avanti, i cattolici democratici hanno dato forma a un disegno di rinnovamento e di progresso che gli storici non possono non equiparare a una “terza via” tipicamente italiana, con un centro afferente alla mediazione della Democrazia cristiana.
Di questo, allora, dobbiamo tener conto. Evocare il silenzio del centro come grave emergenza democratica del nostro Paese, e conseguentemente auspicare la ripresa di una idonea iniziativa per rompere l’assedio di tale penosa afonia, significa comprendere che una risposta in chiave prettamente liberale, senza il decisivo contributo dell’anima cristiano sociale del riformismo, rimanda ai limiti e alle difficoltà di una visione storicamente minoritaria. In sostanza, si percepisce come una proposta che non riesce, a dispetto di ambizioni e desideri, a superare la barriera di un posizionamento subalterno. Da questa dialettica di buoni propositi e deboli riscontri si esce solo a patto di una autentica e organica ricomposizione della politica di centro, con una pluralità di attori compartecipi di uno sforzo di rigenerazione democratica.
P.S. Moderati persi. Non c’è più la “terza via“. Questo il titolo dell’articolo di Federico Fubini apparso il 10 maggio scorso sul Corriere della Sera.