Diciamocelo sottovoce ma diciamolo. Anche il Centro, la sua tradizione, il suo pensiero e soprattutto la sua cultura politica hanno una dignità. Politica, culturale e programmatica. E questo non solo perchè il Centro è strettamente intrecciato con la storia democratica del nostro paese ma per la semplice ragione che il Centro – come del resto, anche se in minor misura, la destra e la sinistra – ha accompagnato il cammino e il percorso della democrazia italiana nel corso dei decenni.
Ora, e al di là della legittimità e della diversità di chi vuole declinare il Centro e la “politica di centro” nel contesto pubblico contemporaneo, è indubbio che ci provoca anche un turbamento – politico, come ovvio – assistere come viene giudicato e strattonato il Centro nel cosiddetto “campo largo” o nella riedizione di un fantomatico e singolare “Fronte popolare”. Detto con altre parole, fa male a tutti i centristi, perlomeno credo, registrare l’ostilità, lo sberleffo e anche la sostanziale denigrazione di chi si candida a rappresentare quell’area politica nel “campo largo”.
Cioè i partiti personali di Matteo Renzi e di Carlo Calenda. Soprattutto del primo, però, per ragioni su cui non vale neanche la pena soffermarsi. Ma, al di là delle pregiudiziali personali o tardo ideologiche, non si può non prendere atto che da quelle parti il Centro e tutto ciò che lo connota è visto come un corpo estraneo, nella migliore delle ipotesi. Perché quello che emerge, in tutta la sue evidenza, è una precisa, dettagliata, minuziosa e radicata ostilità politica, culturale e programmatica. E questo malgrado l’azione encomiabile di Goffredo Bettini e di altri post comunisti di panificare a tavolino la composizione, i confini, i contenuti e anche i protagonisti che dovrebbe costruire una gamba centrista e moderata nel “campo largo”. Un’azione, però, ci
permetta l’amico Bettini, che ci ricorda molto l’esperienza dei “partiti contadini” di comunista memoria quando l’azionista di maggioranza della coalizione si inventava a tavolino la presenza di partiti diversi da quello principale per confermare la natura plurale dell’alleanza stessa.
Ora, chi assiste alla reazione della base delle tre sinistre – quella radicale a massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 Stelle e quella estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis – e non solo attraverso ciò che dicono tutti i sondaggi al riguardo, prende atto che ogniqualvolta vengono citati i capi partito o i partiti cosiddetti centristi che dovrebbero far parte del cosiddetto “campo largo”, piovono fischi, urla, dissensi se non addirittura insulti. Il motivo è persin troppo semplice da spiegare, al di là – lo ripeto – delle pregiudiziali e dei pregiudizi di natura personale. Il motivo è squisitamente politico. E cioè, il “campo largo” è un blocco politico, sociale, culturale, ideale e anche etico. Nulla a che vedere con il vecchio e tradizionale centro sinistra, quello di Marini e di D’Alema per intenderci. Un blocco, di conseguenza e comprensibilmente, che non prevede aggiunte, se non del tutto ininfluenti e pleonastiche. E il ruolo pubblico esercitato da Renzi e da Calenda in quel campo – al di là della loro indubbia capacità politica – conferma, come dicevo all’inizio, che da quelle parti il Centro semplicemente non ha dignità politica.
Ecco perché avere un diritto di tribuna nel “campo largo” con qualche gentile concessione di seggi parlamentari, ovviamente esigui e ben circoscritti, non può essere scambiata con una autorevole e qualificata presenza politica centrista, riformista e moderata. Perchè, appunto, storicamente il Centro e la “politica di centro” nel nostro paese sono altra cosa rispetto ad una mera e quasi singola sistemazione personale. Quello si chiama tatticismo ed opportunismo.
Mentre declinare il Centro e la “politica di centro” si chiama progetto e prospettiva. Sono due strategie che non si incrociano. Da sempre.