Dunque, siamo di fronte ad una palese contraddizione. Da un lato alcuni autorevoli commentatori e politologi continuano a sostenere la tesi che la crisi del sistema politico italiano è sostanzialmente riconducibile all’assenza di un “partito di centro” che possa garantire la stabilità in un contesto che ormai, di fatto, è sempre più proporzionale. Un “partito di centro” che, sostengono sempre gli opinionisti e i cattedratici di questo filone, si rende anche necessario perché rappresenta una costante storico e politica del sistema democratico vigente nel nostro paese dal secondo dopoguerra. Al contempo, però, una seconda corrente di commentatori e di opinionisti – cioè quelli che rappresentano l’ormai nota intelligentia italiana, anche se prevalentemente salottiera e aristocratica – sostiene all’unisono che i presunti quattro partiti che puntano oggi ad occupare quello spazio politico, e cioè Renzi, Calenda, Carfagna e Toti, sono destinati a giocare un ruolo del tutto marginale perché si tratta di uno spazio politico virtualmente richiesto ma elettoralmente incapace di sfondare. Appunto, una contraddizione in se’.
Ora, senza neanche prendere in considerazione i vari partiti cattolici, o di cattolici, o dei cattolici o di ispirazione cristiana spuntati in questi ultimi tempi – che del resto non vengono mai citati o ripresi da nessun commentatore laico o cattolico che sia – è indubbio che si tratta di un nodo che prima o poi dovrà essere politicamente sciolto. Perché se è vero che una “politica di centro” – e non un “partito di centro”, quindi – si rende più necessaria nel nostro paese per la specificità e la profondità che storicamente rappresenta in un sistema politico come quello italiano, forse è giunto anche il momento di dire che questa politica non si traduce con un nuovo partito ma all’interno di partiti già esistenti. Perché ci sarà pure un motivo se le decine di esperienze e di tentativi messi in campo in questi lunghi 25 anni dopo la fine della Dc sono miseramente ed irreversibilmente falliti. E questo, quindi, resta il vero nodo da sciogliere. Un nodo che chiama in causa anche e soprattutto i cattolici democratici e i cattolici popolari. La vera sfida, dunque, seppur in un contesto politico, sociale, e culturale fortemente trasformistico e quindi destinato a cambiare rapidamente e rocambolescamente, resta quella di far sì che la “politica di centro” tanto decantata ricominci ad avere una cittadinanza attiva all’interno della dialettica politica italiana. Una politica che, come tutti sanno, significa molte cose contemporaneamente: dal senso della moderazione alla cultura di governo; dalla capacita’ di ricomporre gli interessi contrapposti attraverso una sintesi feconda e costruttiva al senso delle istituzioni; da una cultura riformista alla qualità della democrazia alla volontà stessa di battere la radicalizzazione della lotta politica italiana. Altroché il “linguaggio dell’odio” e la riproposizione del semplice – seppur sempre utile – “buon senso ed educazione”.
Un patrimonio e un giacimento culturale, politico, sociale, di governo, etico e intellettuale che non possono più essere sacrificati sull’altare della povertà e della mediocrità del dibattito politico contemporaneo. E il doppio, anche se opposto e alternativo, richiamo dei nostri commentatori, opinionisti e politologi sulla necessità della “politica di centro” e, al contempo, sulla inconsistenza “dei partiti di centro”, alla fine ci aiuta a riflettere e a ritrovare una via d’uscita da uno stallo ormai sempre più insopportabile e nocivo per la stessa democrazia italiana e per le nostre istituzioni democratiche.