Chi tesse dietro le quinte la tela di ragno del politicamente corretto?

Il pensiero unico nasconde una volontà di egemonia, innanzi tutto culturale e poi politica. Dovrebbe essere la democrazia l'antidoto al fenomeno, per evitare che il politicamente corretto diventi il regno dei falsi moralisti.

C’è una domanda che, come tante del resto, resta ad oggi del tutto inevasa: e cioè, chi è a capo del cosiddetto “politicamente corretto”? Detto in altri termini, chi è legittimato a distribuire pagelle su che cosa si può dire pubblicamente e su quello che viene immediatamente rispedito al mittente appena viene detto o pronunciato? E ancora, chi può ergersi a giudice morale ed etico per distribuire pagelle a destra e a manca – per la verità solo a destra e al centro – e decidere e selezionare i temi e gli argomenti che possono essere dibattuti e quelli che meritano invece solo disprezzo e sdegno?

Sono, queste, domande legittime quando si parla di “politicamente corretto”, che però hanno quasi sempre una precisa e pertinente risposta. Ovvero, il “tribunale moralistico” e “l’autorità etica” che si auto attribuiscono questo ruolo sono gli interpreti del cosiddetto “pensiero unico”. Detto in termini ancora più semplici e comprensibili, sono coloro che pensano di avere una egemonia culturale, ed etica, nella società e come tale la dispiegano e la declinano quotidianamente. Di norma, sono opinion leader, “guru” dell’informazione e dello spettacolo – la regola è che sono quasi tutti milionari, e sino a ieri miliardari -, alcuni organi di informazione dalla Tv alla carta stampata di proprietà di mastodontici gruppi industriali e finanziari e, in ultimo, i moralisti che allignano storicamente nel campo cosiddetto progressista.

Questo aggregato, plurale e composito, è però accomunato da un filo rosso: dettare l’agenda del “politicamente corretto”. O, detto con altre parole, come si declina il “pensiero unico”. Entrambe queste derive sono riconducibili ad un preambolo di fondo: e cioè, queste categorie di persone, espressione di veri e propri “poteri forti”, pensano tranquillamente – e lo dicono anche apertamente senza tema di essere smentiti – che il mondo contemporaneo è semplicemente diviso in due categorie: da un lato c’è il progresso, la civiltà, lo sviluppo e il bene; dall’altro, con altrettanta semplicità, il male, la barbarie, l’inciviltà e il precipizio. Da qui la conclusione, semplice e inappellabile: tutto ciò che è espressione del male e della inciviltà è semplicemente da buttare e da cestinare. Con disprezzo e anche con una inusitata violenza e spietatezza verbale. Punto.

Ecco perchè, di fronte ad uno scenario del genere, che peraltro è una costante del sistema politico italiano sin dal secondo dopoguerra anche se si è particolarmente affinato con l’avvento del populismo e dopo la scomparsa dei partiti, delle culture politiche e, purtroppo, anche della politica, l’unico antidoto vero e potente risiede ancora nella democrazia e nei principi costituzionali. Ovvero, e sino a prova contraria, se in Italia continuano ancora a decidere i cittadini attraverso il voto popolare i sacerdoti del “politicamente corretto” stentano ad avere il sopravvento. E questo perchè il voto popolare e i principi democratici, di norma, sono quasi sempre alternativi alla “democrazia dei moralisti” e alla fustigazione dei “prìncipi del sapere”. Con tanti e cari saluti al “politicamente corretto”, ai moralisti da strapazzo, ai milionari imbonitori della carta stampata e dei talk televisivi e ai detentori del “pensiero unico”