Riportiamo il testo integrale dell’omelia di Mons. Paglia alla messa di suffragio, officiata a Roma nella Chiesa del Gesù mercoledì 31 maggio, a un anno dalla scomparsa del leader irpino.
Ci ritroviamo qui, in questa chiesa del Gesù, familiari ed amici, per ricordare – ad un anno dalla morte – Ciriaco De Mita. La fede ci suggerisce di pensarlo in quella casa del Padre, dalle molte dimore, di cui Gesù parlò ai discepoli, prima della Pasqua: “perché dove sono io siate anche voi”, consapevoli che i legami che stringiamo sulla terra sono stretti anche nei cieli. Oggi la Chiesa celebra la festa della Visitazione della beata vergine Maria a Elisabetta. E a me pare una coincidenza ricca di significato ricordare Ciriaco De Mita dopo aver ascoltato il Magnificat. Da quasi duemila anni, questo canto risuona nelle più diverse circostanze storiche. Di generazione in generazione, i credenti lo hanno cantato, sia quando la loro vita scorreva tranquilla sia durante le persecuzioni, sia quando ad essi le società hanno affidato la loro guida sia quando sono stati ai margini o poco rilevanti.
Tutti abbiamo ascoltato o cantato il Magnificat molte volte. Eppure, ogni volta le sue parole ci sorprendono. È un canto che rovescia le apparenze della storia secondo cui i superbi e i potenti sembrano sempre prevalere. Perché, come capiamo dalle parole di Elisabetta ricolma di Spirito Santo davanti alla “madre del mio Signore”, la vittoria dei superbi e dei potenti è davvero apparenza. Il vero protagonista della storia – che tuttavia si serve delle mani degli uomini e delle donne – è infatti Colui che innalza gli umili, che ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi. È la potenza della misericordia che compie quest’opera straordinaria.
Certo, solo Dio può compiere l’opera straordinaria cantata dal Magnificat. Eppure siamo chiamati tutti, in qualche modo, ad imitarlo. Per certi versi è proprio questo il compito che anche la politica può realizzare, seguendo anzitutto la strada indicata dalla lettera ai Romani: non essere pigri nel fare il bene, ma ferventi nello spirito; lieti nella speranza e costanti nelle tribolazioni; perseveranti nella preghiera; pronti a sostenere le necessità dei santi e premutosi nell’ospitalità. Capaci – ed è qui che siamo chiamati ad imitare la perfezione del Padre – di benedire quelli che ci perseguitano.
Anche Ciriaco lo ha sicuramente ascoltato più volte. Non so che cosa abbia pensato ascoltandolo, anche perché non amava parlare della sua fede e non ci ha lasciato molte testimonianze pubbliche a questo proposito. Ha espresso tante volte le sue visioni e le sue idee, ma la fede era per lui “una dimensione intima e discreta di cui preferiva non parlare”. La fede per lui non coincideva con quel clima “sacrale” che egli percepiva a Nusco quando era bambino e adolescente. La fede per lui era piuttosto “una libera adesione personale” e una “radice profonda” cui continuare sempre a tornare. Ha avuto un senso molto forte in lui il senso della della laicità e cioè della necessità di mantenere non solo distinte ma anche separate fede e politica: questa convinzione ha ispirato l’azione della Base alla cui fondazione e al cui sviluppo ha dato un contributo molto importante. Eppure, la politica è stata per lui sicuramente un modo per portare lo straordinario nell’ordinario: c’è stata sicuramente questa spinta profonda – direi spirituale – alla radice di una passione non comune che ha segnato il suo eccezionale impegno politico.
Ciriaco De Mita ha detto una volta che l’attività politica non è gratificante per il “senso di superiorità rispetto agli altri che il potere spesso induce in chi lo ha; la vera, sana, gratificazione del politico consiste nel raggiungere risultati positivi per la comunità”. E ha aggiunto: “questa attività somiglia, per il forte impegno e per lo spirito di sacrificio che spesso richiede, al gesto con cui si fa un dono”. Insomma, in sintesi affermava che la politica ha bisogno di “generosità”. Chi lo ha conosciuto sa che credeva in queste cose e le ha anche vissute. La tenacia con cui legava qualsiasi scelta ad un “ragionamento” – le radici culturali della Cattolica e dei suoi maestri non lo hanno mai abbandonato – esprimeva la forza con cui ha sempre mantenuto queste convinzioni. Non doveva essere il potere l’obiettivo della politica: quest’ultimo rappresentava uno strumento e dunque l’opportunità di perseguirlo o di lottare per conservarlo dipendeva dalla qualità del fine che si perseguiva. O meglio del disegno che si intendeva realizzare.
De Mita conosceva bene la politica e sapeva bene quanto male può fare. “La politica disumanizza” disse un giorno ed era addirittura convinto che “più la si riduce meglio è”. Possiamo chiederci come si conciliano queste parole con un impegno politico vissuto sin da giovanissimo e fino all’ultimo giorno. A me pare illuminante l’attenzione con cui ha sempre guardato alle istituzioni e alla loro riforma. È come se avesse sempre voluto immettere nella politica un di più: la politica insomma non solo e non tanto come lotta o anche compromesso tra forze diverse per il potere ma come strumento per costruire la casa comune e cioè come mezzo per limitare, regolare, orientare l’uso del potere. E lo si fa in modo esemplare proprio prendendosi cura delle istituzioni, ma non facendo prevalere in tale cura una posizione di parte, bensì favorendo una convergenza e una collaborazione tra partiti diversi più ampia possibile. Si deve proprio a Ciriaco De Mita il primo e più importante tentativo di riforma istituzionale della “Repubblica dei partiti”, condotto negli anni Ottanta dalla Commissione Bozzi. E fu suo – in collaborazione con Nilde Iotti- anche l’ultimo serio tentativo di salvare la politica italiana riformandola profondamente prima del collasso del 1993-94. E, al di là dei diversi giudizi nel merito, ai suoi tentativi tutti hanno riconosciuto onestà di intenti, serietà di metodi e validità di fini.
È una lezione di particolare attualità perché oggi non sappiamo bene che cosa pensare e come regolarci riguardo al potere. Spesso lo giudichiamo un male in sé, che non dovrebbe esistere, che dove si manifesta debba essere sempre contestato e mai approvato. Proprio l’altro giorno – ed è una felice coincidenza con questa memoria – papa Francesco, diceva: “Per il cristiano, grandezza è sinonimo di servizio. Amo dire che ‘Non serve per vivere chi non vive per servire’. E credo che oggi il conferimento del premio Paolo VI al presidente Mattarella sia proprio una bella occasione per celebrare il valore e la dignità del servizio, lo stile più alto del vivere, che pone gli altri prima delle proprie aspettative”. Il Magnificat ci insegna che non è certo un male un potere che disperde i superbi e rovescia i potenti, che innalza gli umili e ricolma di beni gli affamati. Indubbiamente, sappiamo che gli uomini e le donne esercitano il potere con ben altri scopi, esaltando la forza dei ricchi e dei potenti. Ma rifiutando per principio qualunque potere si rischia involontariamente di aprire la strada al potere autoreferenziale dei più forti. È questo li motivo profondo dei tentativi di regolare la politica, compresi quelli di Ciriaco De Mita: obbligarla il più possibile ad adempiere alla sua vera funzione, quella – sono parole sue – “di aiutare le persone perché progrediscano e siano poste nelle condizioni di esprimere la loro libertà edi tutelare la loro dignità”. Si riecheggia qui l’art. 3 della Costituzione italiana secondo cui “tutti i cittadini hanno p a r i dignità” senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questo stesso articolo 3 impegna la Repubblica – e cioè non solo lo Stato ma anche tutti noi – a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Don Milani – un altro testimone alto del Novecento – amava molto questo articolo della Costituzione, sino a farne il centro del suo insegnamento ai ragazzi di Barbiana.
Ricordiamo con affetto oggi Ciriaco De Mita e mentre preghiamo per lui gli chiediamo di pregare per noi, per quella comunione di fede e di affezioni che la morte non recide. E il senso profondo della santa Liturgia che rende presente il cielo sulla terra. E che ci permette perciò di ricordare i nostri amici che ci hanno preceduto non semplicemente con nostalgia, ma come compagni di viaggio traendo dal loro bagaglio tutto ciò che può aiutarci a servire con generosità e intelligenza questo nostro paese e il mondo intero.
Per saperne di più
Omelia tenuta il 27 maggio 2022, nella Chiesa del Gesù a Roma, nel Trigesimo della morte di De Mita.
https://www.vincenzopaglia.it/index.php/funerale-di-ciriaco-de-mita.htm