La guerra in Medio Oriente riduce la nostra politica interna ai minimi termini. Resta appena lo spazio per accapigliarsi sulla legge di bilancio e magari per predisporsi alle elezioni europee. Ma è del tutto evidente che il grande e feroce disordine mondiale fa apparire ogni altro argomento alla stregua di una cronaca minore. È giusto così, e semmai si può trarre un briciolo di consolazione dal fatto che i litigi di casa per una volta sembrano interpretati con qualche tratto in meno di animosità.
Vedremo se questa specie di tregua casalinga durerà oppure no. Per intanto vale la pena di apprezzarla (al netto di smentite). E tuttavia, se la politica estera diventa il motore di quella interna, è evidente che l’argomento esige un certo rigore per essere svolto fino in fondo. Già, perché quelle differenze di accenti che si intravedono dentro i due schieramenti non potranno restare a lungo avvolte nella nebbia.
Sull’Ucraina si coglieva già a vista d’occhio la differenza che corre tra Meloni e Salvini. Per non dire di quella ancor maggiore che separa il Pd, anche nella versione Schlein, e il M5S di Conte. Differenze che ora possono facilmente ingigantirsi man mano che le cose diventano più difficoltose. E che altrettanto facilmente possono allargarsi sulla intricata e drammatica questione mediorientale.
Una vecchia (e saggia) regola della prima repubblica imponeva di costruire le coalizioni di governo in funzione di una comune visione della politica estera. Tempi di guerra fredda e di opposte ideologie, si dirà. Eppure quella regola dovrebbe valere ancora oggi. A maggior ragione, semmai.
Fonte: La Voce del Popolo – 19 ottobre 2023
[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della Diocesi di Brescia]