Con Forlani scompare l’interprete più raffinato della Dc come partito della nazione

Si è spento a 97 anni nella sua casa dell’Eur. Pesarese, seguì giovanissimo le orme di Dossetti. Due volte segretario del partito, ricoprì l’incarico di ministro in più governi e fu Presidente del Consiglio.

Chi era Forlani? Un moderato atipico. Nella Dc esercitò un ruolo fondamentale senza mai allontanarsi da una linea di equilibrio e compostezza. Uomo di grande intelligenza politica, nascondeva dietro l’inclinazione al dialogo una scelta interiore di piena e rigorosa aderenza ai valori della Dc. Difficile non riconoscere la sua originalità di visione. In genere, stando al sentimento comune, la moderazione si confonde con la mancanza di profondi convincimenti. In lui era vero il contrario: la fermezza su alcuni principi si traduceva in responsabilità di parole e di gesti, per un “dover essere” naturalmente centrista che rispondeva alla necessità di tenere insieme interessi e aspirazioni di natura democratica e popolare.

Aveva maturato le scelte di vita politica seguendo da giovane, nella sua Pesaro, l’esperienza pur breve e tormentata di Giuseppe Dossetti. Qui sta, in effetti, la radice profonda del suo carattere atipico di moderato. L’inclinazione della maturità, per la quale valeva il servizio  al concetto della Dc come partito della nazione, non cancellava il debito verso il discorso sul metodo – in opposizione al pragmatismo – veicolato dal dossettismo come cifra della “reformatio” cristiana. Forlani non avrà cura di spiegare la continuità di un un percorso ideale e politico, dovendo semmai misurarsi nel tempo con l’interpretazione che Fanfani avrebbe imposto a riguardo della lezione di Dossetti, cadendo nell’integralismo. Un pericolo estraneo alla parabola forlaniana.

Giova ricordare che al congresso di Firenze del 1959, schierato con Fanfani nella battaglia contro i dorotei e quindi, in quel passaggio, contro la segreteria Moro voluta da Segni, il capo dei dorotei, Forlani avrebbe rivendicato la forza modernizzatrice della Dc. Toni e contenuti stridono con l’abituale descrizione di leader democristiano da sempre consegnato al ruolo di pompiere. “La Democrazia Cristiana – diceva in quel congresso – è un partito di cattolici, ma questo non è un elemento esclusivo della sua unità in quanto essa è un partito moderno, democratico, interclassista, ispirato ai principi della dottrina sociale cristiana. […] A tal fine l’impegno del Partito, ammaestrato anche dalle dure esperienze del passato, deve essere diretto a salvaguardare le proprie genuine caratteristiche contenute nella formula prospettata da De Gasperi secondo cui la Dc è un partito di centro che marcia verso sinistra”. 

Si dirà che Forlani ha poi deviato da questa posizione di apertura al centro di tipo degasperiano. E lo si dirà perché questa storia imbevuta di attualità non lascia spazio a una ricerca più serena, lontana da turbolenze e passioni ancora non spente. In fondo, anche nel farsi tutore dell’equilibrio con Craxi negli anni del pentapartito, doveva operare nel suo pensiero l’ancoraggio all’alleanza strategica tra cattolici e socialisti costruita con il primo centro-sinistra. Il retaggio del forlanismo, se così possiamo dire, non sta nel cursus honorum in cui si rispecchia la fisionomia del servitore delle istituzioni, chiamato a un certo punto anche alla guida del governo; ma sta nella fiducia riposta nella politica di convergenza tra democratici di diversa ispirazione, dentro la logica che incontra, guarda caso, l’esempio fondamentale di De Gasperi. A Forlani, in conclusione, si deve riconoscere la fedeltà a un criterio direttivo per il quale il centro non è un ingombro, ma un elemento propulsivo della vita democratica del Paese. Oggi non meno di ieri.