Cravatta e sneakers a Montecitorio: una storia tutta da scrivere.

L'Ufficio di Presidenza e il Collegio dei Questori dovranno stabilire un codice di abbigliamento che sia sia appropriato e accettabile per tutti i deputati, nonché per i collaboratori e i visitatori.

L’impressione è che la politica d’estate sia caduta sconsideratamente in un ginepraio. Per uscirne fuori resteranno segni di graffi e cicatrici per un tempo indefinito. Il caldo di questi tempi gioca brutti scherzi annebbiando la lucidità delle cose da fare e soprattutto di come farle.  Da certe situazioni si crede se ne possa venire sempre fuori con quella quota di autorità che può essere decisiva per rimettere il giusto ordine. Parliamo dell’outfit che deve essere osservato per essere frequentatori del Parlamento ed in particolare della Camera dei Deputati. Non è questione che si può risolvere in camera caritatis e così ne sono stati incaricati della questione l’Ufficio di Presidenza ed il Collegio dei Questori.

Tutta colpa di un ordine del giorno che impegna la Camera dei Deputati a valutare l’opportunità di introdurre puntuali disposizioni volte a prevedere che l’abbigliamento dei deputati sia “consono alle esigenze di rispetto della dignità e del decoro dell’istituzione”. Occorrerebbe quindi una consonanza di voci che stimino in modo univoco ciò che è conveniente o meno indossare quando si va da quelle parti. In quell’organo costituzionale, talvolta e soprattutto in un recente passato, luogo di risse, non sarà facile. Il pantano ha qualcosa a che fare con il tragico tranello di quando si voglia disciplinare cosa sia morale o meno dovendosi indicare tutti i casi per cui se ne possa trasgredire l’osservanza.

Quale saranno i colori ammessi o meno ad un giusto dress code? Quanto potrà essere corta una gonna o slacciata e trasparente una camicia per le donne? Quali disegni a fantasia saranno ammessi e quanto sbottonata la camicia degli uomini? Saranno ammesse mantelle bisex e cappelli dalle forme singolari? E così via più si proverà a disciplinare la casistica e più si cadrà in inciampi continui e continue contestazioni. Per adesso si è evitato sia l’impegnativo obbligo della cravatta che il divieto delle calzature sneakers rimandando la palla in tribuna o meglio ai due uffici costretti da oggi ad un lavoraccio infame. Essendo la questione di alta politica è bene saper mantenere un punto di equilibrio strizzando, ci risiamo, un occhio all’elettorato. Pertanto non è mancato il commento di quel deputato che sembra abbia detto che possa accettarsi la cravatta ma escludendosi “scelte anacronistiche” senza specificare nel dettaglio quale possano essere.

La cravatta è affar serio. In Senato, ad esempio, come fosse tutt’altra cosa, è richiesta senza sconti di sorta. Non così alla Camera dei Deputati che singolarmente ne prevede però l’obbligo solo per tutti i visitatori ammessi in tribuna nel mentre assistono alle sedute parlamentari. Un cappio o meglio ancora una diffidenza, un triste pregiudizio per il gusto solo verso gli estranei al palazzo. Cravatta deriva dal francese “cravate” che a sua volta rimanda al croato “hrvat”. Croata era la sciarpa che nel sec. 17° portavano al collo i cavalieri croati. Nella Guerra dei Trent’anni, qualche secolo fa, i mercenari croati in servizio in Francia, usavano dei foulard annodati, che richiamarono appunto l’attenzione degli uomini parigini. È bene rassegnarsi, anche i mercenari possono dettare una moda lì dove si conta. L’importante è non essere troppo azzimati e farsi passare per “Don Ciccillo incravattato”, di quando cioè un fagiolo resta imprigionato in un tubetto di pasta. Prima ancora dei croati, i legionari romani usavano invece il focale, o sudario, una stoffa che serviva a salvaguardare le vie respiratorie durante le marce o il collo dallo sfregamento della corazza. Oggi in Parlamento si guerreggia ma senza eccedere fino a compromettersi la salute.

Quanto alle sneakers la faccenda è tremendamente seria. C’è chi le inquadra in una calzatura assimilabile, ma non identica ad una scarpa da ginnastica, da indossare per il tempo libero. Dunque si aprirebbe la discussione se sia libero il tempo passato durante il gravoso impegno parlamentare. Altra scuola di pensiero tende ad affermare che le scarpe da ginnastica siano un’evoluzione delle sneakers. La storia della contesa se sia nato prima l’uovo e la gallina ha evidentemente dei suoi emuli. Si presti attenzione: le sneakers propongono uno stile casual, ma non sportivo. Hanno colorazioni e rifiniture diverse dalle scarpe da ginnastica che vantano però sistemi di ammortizzazione decisamente superiori. 

Non è chiaro però se lo stile casual, quello cioè comodo e disinvolto che si indossa nel tempo libero, sia ammissibile alla Camera dei Deputati posto che non è quella la sede di una scampagnata. Diversamente il verbo “sneak” si traduce in muoversi in silenzio, furtivamente, intrufolandosi non dandolo a vedere, procedendo in modo felpato, senza che un eventuale nemico se ne accorga, nulla di più adatto per l’agone politico. Gli Uffici della Camera dei Deputati si rassegnino. Risolta questa bega dovranno affrontare se siano ammissibili lo streetwear, il normocore e il grind -shoes e quant’altro ancora. Buona fortuna!