Dibattito | Di centro, conservatore e liberale. Spunti per un…partito cattolico.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. L’autore è uno studioso del pensiero di Del Noce. Il suo punto di vista, non coincidente con quello dei cattolici democratici, offre motivi di riflessione per un confronto sempre più aperto.

Davvero suona così scandalosa l’idea di un partito cattolico? Davvero la nascita di un soggetto politico identitario di matrice cattolica rappresenterebbe un vulnus alla laicità e, allo stesso tempo, un tradimento dei principi della dottrina sociale della Chiesa? Davvero il destino dei cattolici in politica dopo la stagione della Dc (che, è bene ricordarlo, non era un partito cattolico, tutt’al più d’ispirazione e con un lascito in tal senso a ampiamente fallimentare) e suoi epigoni, è quello della “diaspora”, che si scrive diaspora ma si legge irrilevanza? Credo si tratti di domande, e molte altre ne se ne potrebbero aggiungere, dalle quali tanto dopo l’esito delle elezioni del 25 settembre scorso quanto, e soprattutto, dopo la violenta (ma non inattesa, chi ha orecchie intenda) torsione in senso radicale e massimalista del Pd targato Schlein non è più possibile sottrarsi. Né può essere un caso se da un recente sondaggio di YouTrend per SkyTg24, di cui molto si è già parlato e che giustamente continua a far discutere, sia emerso che un italiano su quattro è favorevole alla nascita, appunto, di un partito cattolico. Si tratta anzi di un risultato che, anche al netto del fatto che i sondaggi vanno sempre maneggiati con molta cura, rappresenta un segnale importante perché dice non solo dell’esigenza, per altro già manifestatasi a più riprese negli ultimi anni, di un rinnovato impegno dei cattolici in politica; ma, ed è questo l’aspetto di novità, dell’esigenza di un rinnovato impegno unitario dei cattolici in politica. Il che già di per sé connota una precisa scelta di campo. 

Sulle ragioni che stanno o che starebbero dietro una simile presa di posizione si è già detto e scritto molto, ma si tratta in fin dei conti di una questione secondaria. Il tema vero è che c’è voglia, si sente il bisogno di un partito cattolico. Dalla fine della Dc la questione della presenza dei cattolici in politica ha visto l’affermazione – oltre a sacche residuali a vario titolo eredi o che come tali si proponevano dello scudo crociato – del modello, lo si accennava poc’anzi, della “diaspora” cristallizzatosi nella stagione del cosiddetto ruinismo. Si trattava in sostanza di una presenza non organizzata in un (unico) partito di riferimento, ma articolata in più formazioni (quando non articolata affatto) che a vario titolo si rifacevano (o come tali si proponevano) all’esperienza del popolarismo sturziano, e il cui obiettivo era quello di trovare di volta in volta una convergenza su temi e contenuti precisi innervando, per così dire, dal di dentro i vari schieramenti in campo. E se va dato atto del fatto che quella stagione un qualche risultato l’ha ottenuto, è altrettanto vero che – parallelamente al venir meno (anche se non direttamente collegato ad esso) del ruolo della chiesa italiana nella società e nella politica – soprattutto gli ultimi anni sono stati contrassegnati da una crescente e sostanziale irrilevanza delle istanze ultimamente riconducibili all’alveo della dottrina sociale della chiesa. 

Anche un resoconto approssimativo dei provvedimenti e delle leggi varate dagli ultimi governi fa emergere con straordinaria evidenza quanto quelle istanze siano state per nulla recepite se non calpestate, al punto che l’Italia non solo non è più un paese cattolico, se non nominalmente; ma non è più neanche un paese per cattolici. La qual cosa è apparentemente paradossale se solo si pensi che alla guida dei succitati governi vi erano esponenti sedicenti cattolici. Ora dal momento che non si scorgono all’orizzonte segnali di un sostanziale cambio di rotta, risulta essere oltremodo velleitario, oltre che scarsamente lungimirante, insistere con quel modello. Se a ciò si aggiunge che da più parti si invoca il superamento dell’attuale legge elettorale per un ritorno ad un sistema proporzionale – ciò che indubbiamente rappresenterebbe un framework più favorevole di quello attuale – ecco la prospettiva di una formazione politica unitaria e identitaria di matrice cattolica non può non essere presa seriamente in considerazione. Tanto più, anche questo va detto, in un frangente come quello attuale in cui la Chiesa italiana, o quanto meno ampi settori di essa, nonostante gli appelli affinché i cattolici siano più presenti nel dibattito politico, sembra non voler più opporre alcuna resistenza alla deriva secolarista e laicista che solo un cieco potrebbe non vedere (e di cui l’attuale corso del Pd è esempio lampante), essendo altre le urgenze, altri i problemi che sembrano stare in cima all’agenda ecclesiale.

Da questo punto di vista è anzi quanto mai urgente che soprattutto il laicato cattolico maturi al più presto una rinnovata coscienza sia della gravità delle sfide e della posta in gioco, in primis a livello antropologico, sia dell’importanza del proprio ruolo, riaffermato con forza dal Concilio Vaticano II e dal magistero successivo fino alla definitiva archiviazione della figura del vescovo-pilota. La nascita di una nuova formazione politica cattolica avrebbe anche un doppio valore di natura, per così dire, extra politica. Da un lato fungerebbe da cartina di tornasole sullo stato di crisi in cui versa il cattolicesimo in Italia, posto che c’è da scommettere che una simile operazione verrebbe criticata, se non osteggiata, primariamente in seno al cattolicesimo in quanto giudicata “divisiva” e, quindi, eterodossa rispetto allo zeitgeist contemporaneo; dall’altro, sarebbe anche l’occasione per affrontare (e auspicabilmente risolvere) quello che a tutti gli effetti è un limite delle moderne democrazie liberali.

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