Corro qualche rischio di essere frainteso. Capisco. Anche perché dopo il caso romano di De Angelis, con tutte le feroci polemiche registrate, i distinguo, gli inviti alle dimissioni, mi sembrava inopportuno affrontare un argomento che seguo da molti anni, e che ho collocato fra le questioni centrali per gli anni che ci attendono.
L’ultimo cross con un buon passaggio laterale me lo ha però fatto in questi ultimi giorni la stessa maggioranza (di destra) che ci sta governando, e che ha suggerito al De Angelis (di destra) di correggere il suo disinvolto giudizio sulla strage di Bologna. A questa presa di distanza fra uguali, ha fatto seguito anche se una tantum, un decreto approvato dal Consiglio dei ministri (di destra: la tassa sugli extraprofitti delle banche. Un palese stop alla totale libertà del capitalismo finanziario bancario che è sempre stato un punto forte e centrale della sinistra storica, operaia e proletaria, ma che in questo particolare caso è gestito e portato avanti proprio dalla destra.
Entro nel merito perché è ormai da tempo che giro attorno alla utilità o inutilità delle categorie politiche orizzontali – sinistra e destra. Su cui, per chi avesse tempo da perdere, rimando agli archivi digitali di questo blog (Il Domani d’Italia). Al netto dei giganti Bobbio e Sartori, ho avuto però il piacere di incrociare nel tempo diversi studiosi e studiose, politici ed editorialisti, opinionisti, che si sono interessati e hanno approfondito e trattato l’argomento della validità od obsolescenza della diade, con le loro più pazienti lenti di ingrandimento conoscitive. Il che, devo dire la verità, mi confortava, e spesso rinforzava le mie intuizioni.
Nel solitario cantuccio dove spesso mi ritrovavo, avevo infatti da molto tempo iniziato a dubitare di queste categorie orizzontali. Per il modo in cui le avevamo adoperate per circa 200 anni e sino ai nostri giorni, solo perché Clero, Nobiltà e Terzo Stato si sono seduti diversamente nella ‘Sala della Pallacorda’. Categorie che mi sembravano obsolete e forse addirittura inutili, pur se ripetutamente utilizzate dalla stampa quotidiana e dai media. Cominciavo insomma a maturare l’idea che confondevano e distraevano il cittadino, anziché aiutarlo. E lo bloccavano sul passato invece di spingerlo verso le analisi sui segni dei tempi, e a chiarirgli le idee sul presente. In particolare sul futuro che ci attende. Questo superamento andava naturalmente accompagnato da una robusta formazione attorno a una realistica coscienza critica della storia, che non bisogna mai rimuovere e dimenticare, tesa a non demonizzare per niente la distinzione storica tra destra e sinistra, pur nelle sue contraddizioni e paradossi; ma che con gli occhi sempre fissi sulla sfida dell’uguaglianza che ci attende, convincesse che programmi e proposte – welfare, salario minimo garantito o universale, fisco e tasse, scuola, Mezzogiorno, salute e Servizio sanitario nazionale, etc. per non parlare delle sfide ecologiche, delle immigrazioni, e della rivoluzione digitale compreso lo stop alla fornitura di armi alla Ucraina – possono oggi trovare spazi di disponibile comprensione e difesa sia nella (nuova) destra, quanto nella (nuova) sinistra.
E questo non dovrebbe (più) scandalizzare. Anche quando Giorgia Meloni dice di voler fare di FdI un partito conservatore (di destra), e anche quando alcuni suoi tifosi, estremisti nostalgici del fascismo, smentiscono le origini e tutte le indagini sulla strage di Bologna e vanno a Predappio non per deporre un fiore e fare una preghiera, ma con altre intenzioni; ecco noi, come dicevo, dobbiamo fare lo sforzo di collocare storicamente le forti differenze tra la destra (storica), e la sinistra (storica) che indicavano altre, ma davvero altre cose, e che oggi neanche una distinzione tra conservatori e progressisti riesce a chiarire bene.
Per questo continuo a sostenere che agli albori del Terzo millennio, le vecchie categorie destra e sinistra, ci distolgano dal responsabile compito sociologico di interpretare e definire bene la struttura sociale, culturale e antropologica che viviamo, a partire dalla disparità fra ricchi e poveri, tra paesi ricchi e paesi poveri – come pure dal multiculturalismo che ci attende. E accantonano la necessità di capire le persone nei loro (nuovi) mondi vitali e comunitari, perfino nella loro stessa democrazia politica partecipativa, pronta da un momento all’altro ad essere partecipata “a distanza” grazie agli sviluppi dell’informatica.
In ogni caso, non ho mai scartato una polarizzazione di vedute, pur con l’idea che occorresse urgentemente abbandonare destra e sinistra, ri-definendole totalmente alla luce dei “…cambiamenti d’epoca, e delle metamorfosi” strutturali (Bergoglio) in corso da tempo.
Il centro
Dal momento che appartiene al mio passato, e che ho cari e stimati amici che lo attendono, ho anche sostenuto che sulla base della crisi della diade storica destra e sinistra, bisognava essere molto cauti e attenti nel reclamare (oggi) l’urgenza di un nuovo centro politico, assieme alla sua indispensabile importanza sociale e culturale.
Il libriccino “Centrismo vocazione o condanna”, pubblicato da Reset circa 30 anni fa, ripropone un dialogo a distanza tra Norberto Bobbio e Augusto Del Noce, con quest’ultimo che in un suo articolo del lontano 1945, chiariva molto bene per quali contingenti e particolari motivi sono nati il centrismo e la “politica di centro” della Dc. Un centro, a ben vedere, oggi fotocopiato sino alla moltiplicazione di centrini irrilevanti e personalizzati. E che, da quello che si legge, sembra tornato d’attualità solo perché si è man mano alzato il tasso di assenteismo, fenomeno non solo italiano; solo perché siamo di fronte ad una legge elettorale che non rispetta in pieno le proporzioni dei voti presi in quanto sbilanciata sul maggioritario che guarda più alla governabilità che alla rappresentatività; e solo perché avanza sempre più un tragico e pericoloso bipolarismo.
Ho fatto spesso presente a chi è alla ricerca di questo centro che tutto appare superfluo per molti italiani e specialmente per l’elettore in carne e ossa, con le sue nuove attese, e le sue volatili e sorprendenti scelte elettorali, variabili da un anno all’altro; un elettore stracolmo di antipolitica e di ingiustificata perdita di fiducia nella classe politica e nel luogo più sacro della democrazia, che è il Parlamento. In questo disinteresse centrista, è sorprendemente compreso anche quell’elettore che andando a votare dichiara nei sondaggi di essere un cattolico praticante, e di cui nelle ultime elezioni politiche il 26% ha votato per FdI, il 14% per la Lega e il 10% per FI; il rimanente 50% ha diviso le sue preferenza a metà fra Pd (25%) e M5s (25%).
Ma sembra di capire che il centro è ora necessario in quanto è per definizione moderato. E in giro non c’è più moderazione, proprio quando i comportamenti moderati e le proposte moderate li possiamo trovare da tutte le parti. Ma il centro è oggi indispensabile, in quanto deve recuperare una borghesia moderata trascurata (da tempo tuttavia scomparsa dalla scena sociale!), e un ceto medio moderato (da tempo salito sul discensore!). Perché opera una mediazione tra una sinistra massimalista, radicale e populista – questi sono gli aggettivi che spesso si leggono – nonché forse atea e proletaria; contro la proprietà privata pronta a pianificare tutto, con in testa una rivoluzione di “Novembre”, togliendo la libertà del mercato e le sovrastrutture etiche e religiose. E una destra clerico fascista, che difende la sovranità della Patria, che ama le dittature, che rivuole le colonie, che odia l’Europa e il libero mercato senza Stato di mezzo. Che desidera insomma ridurre il Parlamento in un…bivacco, e tutta legata alla proprietà privata dei vecchi nobili latifondisti.
E amenità varie su destra e sinistra proseguendo. Sono certo che i miei amici centristi non credono a queste banalità. Ed
ho sempre considerata politicamente legittima la loro ricerca verso cui ho sempre fatto i miei auguri. Raccomandando solo di essere attenti alle nuove stratificazioni sociali, culturali e religiose, e di tenere gli occhi ben aperti sulla società concreta – come raccomandava don Luigi Sturzo vestito da sociologo – sulle chiese e i seminari vuoti, sull’associazionismo storico cattolico in forte crisi di iscritti, e sulla sottile guerra interna alla chiesa contro quel Bergoglio…teologo della liberazione, anch’egli con la tessera del Pci in tasca e cattocomunista, così come sono stati recentemente definiti con la massima superficialità Prodi e Delrio. Ai quali non è azzardato pensare che si sarebbero affiancati, Dossetti e La Pira, tutti i cattolici democratici, tutta la sinistra Dc, il cattolico Pietro Scoppola quando assieme al “comunista” Alfredo Reichlin preparò il Manifesto dei Valori del Pd, sino al nostro attuale Presidente della Repubblica Mattarella, tifoso di Greta.
Concludo ricordando che sul centro politico ho da sempre sostenuto che non vedo (oggi) le premesse sociologiche e culturali, necessarie e disponibili, per queste “paludi” (i marais), come sono stati definiti i centristi politici nel corso della rivoluzione francese. Coloro i quali cioè, non stavano né da una parte né dall’altra, senza mai prendere posizione. E che, come succedeva una volta, cercavano una mediazione tra posizioni divergenti, anche estreme. Una riposante poltrona dove oggi accomodarsi insomma, che se non studiata per bene, avrebbe addirittura suggerito la via di mezzo tra i negazionisti no vax e i favorevoli al vaccino, tra i complottisti e i realisti. E forse suggerirebbe l’equidistanza anche nei confronti dell’Ucraina e della Russia, con la loro tragica guerra imperialista e neozarista.