Dobbiamo interrogarci e avere fiducia: ce la possiamo fare.

Quanti perché, impegnativi, si propongono riguardo il viver civile. La nostra esistenza, grande dono, è essa stessa un mistero che ha suscitato le domande radicali e ultime, che la filosofia ha indagato.

C’è un’età chiamata dei perché. La primissima infanzia. Ma se non si continuasse, anche in seguito, a porsi domande, la intelligenza potrebbe appannarsi. Perciò: perché le guerre? Perché le diseguaglianze, le malattie? Ci si pongono domande che acuiscono una angoscia già insopportabile: perché proprio a me un figlio disabile, una patologia inguaribile e dolorosa? Perché non potermi sottrarre a un destino avverso?

Anche questioni meno drammatiche: perché buttiamo i rifiuti lungo le strade invece che negli appositi cassonetti; sporchiamo i marciapiedi; roviniamo beni comuni come le panchine nei parchi o i banchi a scuola; parcheggiamo in seconda fila e cerchiamo di fare i furbi se dobbiamo sopportare una coda? ecc. ecc. ecc. Il bello è che tutti coloro che fanno esperienze all’estero per vacanza o per lavoro, tornati in patria, ricordano con ammirazione quanto sono pulite le strade di Barcellona, quanto ordinati e disciplinati i tedeschi, come sono rispettosi del codice stradale in Paesi nordici o quanto salate le multe a Shanghai, se sporchi per terra… Quanti perché, impegnativi, si propongono riguardo il viver civile.

Perché i genitori picchiano gli insegnanti, e i pazienti aggrediscono medici e infermieri o, ancora, perché arriva dopo cinquanta anni una sentenza di condanna a carico di brigatisti? Perché costa troppo fare un figlio quando è un guadagno per la società?

Non sono quesiti retorici, è evidente e del resto la nostra esistenza, grande dono, è essa stessa un mistero che ha suscitato le domande radicali e ultime, che la filosofia ha indagato. Le risposte, a loro volta, non possono sfuggirci: morali, retoriche, ideologiche: tutte profilano il nostro sentire come singoli e membri della comunità. Ma è questa parola ‘comunità ‘ che decifra il senso delle risposte. Se ci si sente parte della comunità si percepisce il comune destino: bisogni, desideri, dolori e soddisfazioni, successi e sconfitte: in una parola ci si specchia nel prossimo e diventa vero il rispettare il prossimo come vorremmo essere

rispettati anche noi e ogni bene pubblico sarebbe sentito come proprio e non di nessuno, per cui ne avremmo cura. Sono le tasse dei cittadini che consentono di allestire le scuole, gli ospedali, le strade… vorremmo vedere funzionare bene i servizi che soddisfano le necessità del vivere quotidiano.

Se la scuola forma i cittadini (non bambocci difesi da genitori sindacalisti); se la competenza emergesse in ciascuno per il ruolo o il mestiere che esercita; se fare politica significa essere investito del più alto onore nel rappresentare i cittadini; se per portare a termine una infrastruttura non servono decenni e continue revisione dei costi (con le conseguenti azioni giudiziarie). L’autostrada del Sole, Milano Napoli, fu costruita in 8 anni! Il ponte Morandi in 1 anno! Se i tribunali operassero con maggior agilità; se, se… Perché considerare diritto civile il suicidio assistito, invece che il sistema sanitario che garantisca protezione nelle situazioni estreme e garantisca le cure palliative? Perché proteggere di più i lupi o i cinghiali invece dei campi e delle culture dei contadini? 

La prima riforma civile riguarda l’educazione del singolo e della società. Se non c’è comunità e partecipazione, la politica non guida le risposte ma insegue la demagogia, accarezza il pensiero debole del momento. Ognuno di noi ha a cuore e in mente i tanti perché e i tanti se; come mai non siamo in grado di liberarci di tante pesantezze organizzative e normative? La prima riforma istituzionale riguarda la burocrazia. Dal basso in alto la forma più alta di autorità è l’esempio. 

Perché festeggiare l’8 marzo, quando le donne, in tutto il mondo, hanno poco da festeggiare? Non mi rassegno a pensare che non sappiamo, ma temo che non vogliamo, lasciare il pezzettino di mondo su cui regniamo, migliore di

come l’abbiamo trovato. La risurrezione è una resilienza senza fine. Avanti tutta! Ce la possiamo fare…

 

[Il testo appare nella newsletter diffusa a marzo dell’autrice]