Quali sono i rischi, le vulnerabilità, i sogni e i bisogni dei minori stranieri non accompagnati (Msna) ospiti dei centri di prima e seconda accoglienza in Italia? La risposta arriva dal rapporto L’ascolto e la partecipazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia frutto di un lavoro congiunto dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Il dossier è stato presentato oggi al Museo dell’Ara Pacis a Roma dalla Garante Filomena Albano e dalla Portavoce UNHCR per il Sud Europa Carlotta Sami.

Ventidue le strutture visitate in 11 regioni per un totale di 203 minorenni coinvolti (età media 17 anni) di 21 nazionalità diverse. Nell’ambito delle visite sono stati realizzati focus group e attività di partecipazione e ascolto. Al termine sono state adottate dall’Autorità garante raccomandazioni che rappresentano la sintesi e la voce dei ragazzi che hanno preso parte all’attività.

Tra le problematiche più segnalate, nell’80% dei centri vitati sono state rilevate diffuse e sostanziali carenze nelle informazioni e nelle attività di orientamento destinate ai ragazzi. Nel 53% è stata denunciata la mancanza di attività di socializzazione e nel 47% dei casi è risultato che la permanenza nei centri di prima accoglienza o emergenziali si è protratta ben oltre i 30 giorni massimi fissati dalla legge. I gestori dei centri hanno lamentato tempi lunghi per la nomina dei tutori. Insieme ai ragazzi hanno inoltre segnalato l’impossibilità di far giocare i giovani in squadre di calcio iscritte alla Figc, poiché per il tesseramento è richiesta la firma di autorizzazione da parte di un genitore.

L’80% dei minorenni coinvolti poi nelle attività di partecipazione ha chiesto approfondimenti e chiarimenti sulla procedura di richiesta di protezione internazionale e il 60% li ha chiesti sul funzionamento della Commissione territoriale, competente sulla valutazione delle richieste. Il 70% ha dichiarato di aver percepito ostilità o pregiudizi, mentre il 50% ha manifestato l’esigenza di condividere tempo e spazi con i coetanei italiani. Il 40% ha dichiarato di non essersi sentito coinvolto nelle scelte al proprio percorso legale in Italia.