Il realismo di Draghi al Mit vale come stimolo all’Europa

Dagli Stati Uniti Draghi sembra aver lanciato un messaggio all'Occidente. Bisogna ponderare le implicazioni connesse all'adozione della strategia più adatta per collocarsi in un mondo che appare mutato e cresciuto.

Il recente discorso di Mario Draghi al MIT Golub Center for Finance and Policy, come è già successo per suoi precedenti interventi nel dibattito internazionale, individua dei punti di svolta destinati a incidere nelle politiche economiche e nelle strategie future degli Stati. Questo suo intervento ha il pregio, tra gli altri, di esplicitare alcuni processi (in particolare due, la guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione) che concorrono a determinare la nuova fase della storia globale, nelle loro concrete ripercussioni sull’Occidente, in particolare sull’Europa.

In questo suo ultimo intervento Draghi ha significativamente usato un paio di volte l’espressione “con il senno di poi”. Ora, solo ora, possiamo dire che negli ultimi 25 le cose non sono andate come ci si attendeva, che non vi è stata, nonostante la globalizzazione, una convergenza di valori e di modelli nel mondo. Piuttosto si è assistito a un cambio di paradigma che ha spostato silenziosamente la geopolitica globale dalla competizione al conflitto. Segnatamente al conflitto con l’Occidente, a fronte invece di contestuali e clamorosi riavvicinamenti, anche fra stati in conflitto, nel resto del mondo.

Un cambiamento che per l’ex presidente della BCE, ha rivelato anche la necessità di adeguare le istituzioni attuali, europee e internazionali, al nuovo contesto. Ma, si potrebbe osservare, se questo tarda ad avvenire, se il cuore dell’Occidente, gli Stati Uniti, indugia ad affrontare la questione dei nuovi equilibri globali, e a discuterla con gli altri partner della nostra epoca, i quali non fanno che rafforzare la loro cooperazione, allora lo scenario delineato da Draghi appare quello più realistico sebbene con delle pesanti incognite. 

Infatti, come dar torto a Draghi quando invita a realizzare che le conseguenze geopolitiche di un conflitto prolungato al confine orientale dell’Europa sono molto significative e che prima lo capiamo e meglio ci prepareremo? La stessa sua osservazione che non vi è alternativa per l’Occidente alla vittoria dell’Ucraina suona ad un tempo stimolante e impegnativa, considerando il prezzo che potrebbe avere per l’Europa una vittoria militare sulla seconda potenza nucleare al mondo. E non ottenerla, d’altra parte, potrebbe pregiudicare il futuro dell’Ue.

Un cul de sac dal quale sembra ormai impossibile uscire senza il ricorso a improbabili ma sempre possibili, come ci ricorda la missione dell’Inviato del Papa, il cardinal Zuppi, vie diplomatiche, in un quadro, però, di complessiva disponibilità a discutere dei nuovi assetti globali. E a ben vedere, il realismo a cui ci riporta la visione dell’ex premier non fa che aumentare la consapevolezza della necessità di scongiurare i rischi peggiori. Non escludendo gli scenari meno rosei per affrontare con più determinazione le nuove sfide che vengono dalla geopolitica come dall’innovazione tecnologica.

In questa prospettiva l’aumento della spesa militare in Europa per sostenere l’Ucraina in una guerra di lunga durata e l’implementazione di catene di approvvigionamento che siano resistenti agli shock geopolitici, a garanzia dell’indipendenza, avranno dei contraccolpi sull’inflazione, che Draghi invita a cogliere anche nei suoi aspetti sociali, salvando il sistema di welfare europeo e ribadendo la necessità di un ruolo dello stato in economia più marcato che nei decenni precedenti.

Ma soprattutto dagli Stati Uniti Draghi sembra aver lanciato un messaggio all’Occidente teso a ponderare le complesse implicazioni di ordine sociale, economico e geopolitico che comporta l’adozione della strategia che si ritiene più adatta per collocarsi in un mondo che in seguito alla globalizzazione è mutato e cresciuto. Un Resto del Mondo, in cui vive circa l’85% della popolazione mondiale, che si sta organizzando in un modo diverso da quello previsto, e che, se non si prendono iniziative adeguate ai tempi, potrebbe farlo addirittura a prescindere da un Occidente che per inerzia rischia ritrovarsi isolato dagli esiti di una strategia che avrebbe dovuto invece esaltarne la centralità.