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sabato, 8 Novembre, 2025
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Essere nuovi italiani oltre le paure identitarie

Vincenzo Mamoli, Segretario generale di Confartigianto, ha scritto il saggio su “Le difficili integrazioni degli stranieri nelle dis-integrazioni delle società occidentali” inserito nel volume “Rapporto annuale 2025 sull’economia dell’immigrazione” a cura della Fondazione Leone Moressa.

È un merito non secondario del “Rapporto annuale 2025 sull’economia dell’immigrazione” della Fondazione Leone Moressa quello di riportare la discussione sulla cittadinanza dentro una cornice culturale più larga, non puramente statistica o securitaria.

Migrante come corpo estraneo

Il capitolo, qui scaricabile, è stato scritto da Vincenzo Mamoli in collaborazione con Antonio Payar. Si tratta di un saggio che parte da un dato elementare: nonostante sia dimostrato il contributo crescente degli stranieri alla ricchezza dei Paesi ospitanti, l’Occidente continua a vivere il migrante come corpo estraneo e fattore di destabilizzazione.

Il problema è il senso di precarietà

Il punto di svolta proposto da questo testo è nel riconoscere la radice del problema là dove non la si vuole vedere: non nel migrante, ma nel senso di precarietà esistenziale che attraversa le società occidentali nella modernità liquida descritta da Bauman. Se l’uomo contemporaneo è modulare, senza legami e senza un domani prevedibile, l’estraneità viene proiettata sull’altro come difesa identitaria. E l’identità si irrigidisce fino a diventare mito tribale, purezza immobile, negazione di qualsiasi permeabilità.

Mamoli e Payar chiedono di rovesciare la logica.

Ridurre i tempi per ottenere la cittadinanza

La cittadinanza non è concessione magnanima: è processo che conviene a tutti. Ridurre i tempi per ottenerla, sostengono, accelera integrazione reale, più qualità del lavoro, più contributi, più crescita, soprattutto nelle aree del Paese che soffrono il crollo demografico. E la cultura dell’uniformità non va confusa con l’universale: la storia europea ha generato universalismo come fraternità, non come standard imposto.

Identità in cammino, non statica

Il saggio apre dunque una domanda politica vera: non “chi siamo noi”, ma “chi vogliamo essere insieme agli altri”. L’Italia – ricordano – per molti figli di migranti è già madre “di cuore”. Se l’identità è in cammino e non statica, allora la sfida non è difendere una presunta purezza ma costruire legami e fiducia. Con più informalità, più apertura, più collaborazione. In una parola: più spirito artigiano.