Che il trasformismo e l’opportunismo siano diventati, nell’era del populismo grillino, i cardini centrali del comportamento politico dei partiti e degli stessi politici è un fatto che non suscita alcuna notizia, talmente è nota la questione. Ma che il trasformismo e l’opportunismo debbano diventare i tasselli costitutivi e quasi dogmatici nella cittadella politica italiana non può diventare così scontato. Almeno per chi ritene che la coerenza e la trasparenza degli atteggiamenti e dei rispettivi comportamenti rappresentino ancora un valore da perseguire quotidianamente. Anche nel confronto politico.
Ho voluto ricordare questo aspetto perché, purtroppo, continuiamo ad assistere a giravolte improvvise e a cambiamenti altrettanto rapidi nelle scelte politiche di singoli esponenti che lasciano francamente basiti. Il caso di Letizia Moratti non è che l’ultimo esempio della serie ma credo che questi comportamenti proseguiranno in modo disinvolto in vista delle elezioni europee. Perché quello che impressiona e che sconvolge non è soltanto il passaggio da un partito all’altro – cosa, in sè, del tutto legittima perché il partito era e resta solo uno strumento della politica – ma, semmai, il cambio radicale della prospettiva politica che viene praticata nell’arco di pochi giorni o di poche settimane. Come si può essere credibili, per fare un solo esempio concreto, predicare pubblicamente la bontà di un partito di centro che pratica e declina una vera ‘politica di centro’ contro l’attuale bipolarismo e poi, nell’arco di pochi giorni, mutare radicalmente opinione e linea e sostenere che la radicalizzazione del conflitto politico è cosa buona e giusta e va perseguita sino in fondo? In gioco non c’è il legittimo e fisiologico cambiamento d’opinione ma, al contrario, la ridicolizzazione della politica, dei partiti e, soprattutto, dei politici stessi. Ed è poi perfettamente inutile lamentarsi della caduta di credibilità della politica e dei partiti, della scarsa partecipazione alla vita politica, del crescente astensionismo elettorale e del peso crescente di altri poteri: dalla magistratura al giornalismo, dalla burocrazia alla ceto tecnocratico.
Forse è arrivato il momento per denunciare pubblicamente, pur senza alcuna polemica personale, metodi e prassi che squalificano la politica perché la riducono esclusivamente a merce di scambio. Per obiettivi di chiara convenienza personale e di potere.
Ecco perché, per fermarsi al progetto politico di un Centro riformista, dinamico, di governo e democratico, diventa decisivo e quasi essenziale anche la “cultura del comportamento” di chi la sostiene e di chi la pubblicizza. Oltre alla “cultura del progetto”, per citare una bella definizione di Pietro Scoppola. Perché senza comportamenti credibili, trasparenti e credibili è lo stesso progetto politico che rischia di essere sacrificato e compromesso. E, in ultimo, per non far trionfare per l’ennesima volta la deriva trasformistica e la sub cultura opportunistica.