Nessuna scorciatoia, lavorare per un centro unito non è una chimera.

Occorre fare del centro qualcosa di cui fidarsi rispetto alle questioni del nostro tempo, con la prospettiva di costituire un partito degli elettori e degli iscritti, aperto alle liste civiche.

Questo tempo di massimo caos nell’area di centro è forse anche il tempo più propizio per considerare le ragioni che ancora possono rendere possibile una qualche forma di rappresentanza unitaria di tale area per le elezioni del prossimo anno, europee, regionali e provinciali, se le province saranno rese di nuovo elettive, come auspichiamo.

L’intuizione di Matteo Renzi di una lista unitaria denominata “Il Centro” merita attenzione, nonostante l’esercizio da parte sua di una leadership per certi aspetti visionaria ma non accompagnata da altrettanto slancio in direzione della collegialità nella gestione.

Perché lo spazio politico del centro esiste e aspetta solo che qualcuno ne assuma una rappresentanza credibile e capace di superare una frammentazione che sembra andare oltre l’immaginabile.

Si guardi, in questo senso, come ad un modello virtuoso, al processo di riorganizzazione della sinistra radicale. Dopo le percentuali a due cifre della stagione di Rifondazione Comunista quell’area si era così divisa al punto da non riuscire a superare le soglie di sbarramento. La sinistra italiana però ha imparato dai suoi errori ed è stata in grado di proporsi come La Sinistra, riuscendo non solo quantomeno a dimezzare la frammentazione dei consensi nella galassia della sinistra alternativa ma addirittura a portare il Partito Democratico di Elly Schein sulle sue posizioni. E lo ha fatto esprimendo una politica, non solo sfoggiando un’etichetta.

Qualcosa di analogo può avvenire nell’area di centro. A patto che si smetta di evocare la parola “centro” come un feticcio o di intenderla nei fatti come una posizione di rendita per pochi, che esime dalla fatica dell’elaborazione politica e del radicamento organizzativo, territoriale e sociale.

Il centro, tanto più quello di derivazione popolare, è equilibrio nell’affrontare i cambiamenti epocali e non equidistanza; mediazione non fine a se stessa e anche determinazione, pur nella mitezza dei toni, a perseguire gli obiettivi considerati irrinunciabili in virtù di una visione e di una strategia di ampio respiro. Questo ci insegna Sturzo. In breve, occorre fare del centro qualcosa di cui gli elettori possano fidarsi rispetto alle questioni del nostro tempo. Alcune, quelle relative a una rapida e improcrastinabile riforma politica e fiscale dell’Unione Europea, ce le ha indicate Mario Draghi. Altre, come la transizione geopolitica che non si può pensare di risolvere con le guerre né verso l’Est né nel Medio Oriente, ma riconoscendo la necessità di un dialogo aperto anche all’ascolto delle ragioni degli altri, ce le impone l’attualità. Insieme ad una transizione ambientale, socialmente equa, graduale e tecnicamente neutra, improntata all’ecologia integrale, come ha ribadito papa Francesco nella Laudate Deum. E ad un utilizzo delle nuove possibilità dischiuse in ogni campo dalla scienza e dalla tecnica, illuminato da un nuovo umanesimo.

Serve un centro che sappia interpretare questo cambiamento d’epoca in cui nulla sarà più come prima, perché dopo circa cinque secoli è al tramonto l’egemonia occidentale sul mondo, vedendo questo processo come un’opportunità anziché come una sciagura, e fermando la pericolosa tendenza all’arroccamento dell’Occidente, sostenuta sia da destra che da sinistra. Serve un centro che sappia proporsi come guida affidabile nelle acque agitate del nostro tempo.

Un tale lavoro programmatico e strategico, e organizzativo, non si improvvisa, lo si deve costruire giorno per giorno, cambiando innanzitutto il nostro habitus mentale.

I modi per realizzarlo possono esser diversi, ciò che serve è la volontà politica. Ad esempio, forse potrebbe esser utile un organismo collegiale non decorativo, ma operativo, nel quale si possano definire i tratti della proposta politica del Centro e abbozzarne la fisionomia organizzativa.

Sullo sfondo, infatti, dopo la tornata elettorale del 2024 ci deve essere la prospettiva di organizzare il centro in un partito. Già solo riuscire a costituire un partito dotato di effettiva democrazia interna, un partito degli elettori e degli iscritti, aperto alle liste civiche e agli amministratori locali, e non nei fatti di proprietà privata di capi per diritto mediatico, e perciò in grado di garantire le diversità e le minoranze, senza che ogni dissenso debba risolversi in una fuoriuscita dal partito, sarebbe un risultato notevole, specialmente se accompagnato da meccanismi democratici per l’elezione degli organi interni e per la definizione delle candidature a ogni livello e a prescindere da quale sia la legge elettorale della competizione di turno.

E senza mai smarrire il senso dell’autonomia del centro. Perché il centro che guarda a sinistra non significa alleanza obbligatoria con qualsiasi programma sostenga la sinistra. Tant’è vero che lo stesso De Gasperi, fuori dal breve periodo di emergenza post-bellica, non governò con la sinistra socialcomunista del suo tempo ma fu lui a estrometterla dal governo nel 1947.

E sapendo che il centro nell’era bipolare è un po’ come la Corea. Una nazione unica divisa da fattori contingenti. E una tale aspirazione all’unità non potrebbe che esser più fondata ora, nella fase in cui Forza Italia, lungi dall’essere quel movimento dai connotati incerti e preoccupanti delle origini, si è trasformata con la guida di Antonio Tajani, il cui equilibrio da ministro degli esteri va senz’altro riconosciuto, nella sezione italiana del Ppe. E senza dimenticare che l’esito del voto europeo del 2024 potrebbe costringere Forza Italia a dover fare delle scelte, anche a costo di mettere a repentaglio l’attuale alleanza di governo. Come già successe nel 2019 a scapito del governo Conte 1, quando la nuova maggioranza di Bruxelles mise in crisi l’alleanza del governo di Roma.

L’importante credo, per noi Popolari è cercare di non imboccare scorciatoie, presentandosi o imbellettandosi per ciò che non si è. Il lavoro che ci attende è ostico. Meglio ripartire dalla coscienza delle nostre, e altrui, debolezze, per impostare insieme un valido percorso per superarle.