Farmaci, Agcp e Aifa auspicano più concorrenza per ridurre i prezzi.

La spesa farmaceutica continua a crescere. L’Italia è terzultima in Europa per l'incidenza dei farmaci equivalenti sulla spesa complessiva. Eppure, equivalenti e biosimilari, essi sono efficaci e sicuri quanto i farmaci di marca.

La mspesa farmaceutica nazionale totale (pubblica e privata) continua a crescere: nel 2022 è stata di 34,1 miliardi di euro, in aumento del 6,0% rispetto al 2021. È quanto emerge dal recente rapporto dell’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa), che rileva anche una bassa incidenza della spesa per i farmaci equivalenti rispetto agli altri paesi europei: l’Italia è terzultima in Europa con un’incidenza del 43,4%. In testa alla lista ci sono Polonia, Portogallo, Gran Bretagna, Francia, Svezia, Germania e Spagna. Queste informazioni fornite dall’Aifa sono utili per definire alcune importanti decisioni che il governo dovrà necessariamente prendere per finanziare adeguatamente il Servizio Sanitario Nazionale.

Per spiegare perché il tema del costo dei farmaci è strettamente connesso alla tutela del SSN, è necessaria qualche informazione preliminare. Esistono due tipi di farmaci: i tradizionali, prodotti per mezzo di processi di sintesi chimico-industriale e i biotecnologici, che vengono sintetizzati a partire da organismi viventi, mediante tecniche d’ingegneria genetica. Tutti i farmaci hanno un brevetto, ossia il marchio di esclusiva dell’azienda che dura 25 anni. Sviluppare un nuovo farmaco è un percorso lungo e costoso per gli investimenti nella ricerca: dal rilascio del brevetto alla commercializzazione occorrono mediamente 10-12 anni prima della commercializzazione perché occorrono apposite analisi cliniche. Alla scadenza del brevetto altre aziende potranno produrre lo stesso farmaco come ‘equivalente’ al farmaco tradizionale o ‘biosimilare’ nel caso di farmaco biotecnologico a un prezzo più basso perché i produttori non dovranno sostenere i costi della ricerca. Nel nostro Paese è credenza diffusa che i farmaci equivalenti, impropriamente definiti generici, siano meno efficaci di quelli di marca perché costano di meno: convinzione errata perché hanno la stessa composizione qualitativa e quantitativa in sostanze attive. I farmaci biosimilari sono invece ‘simili’ per qualità, efficacia e sicurezza ai farmaci biotecnologi di riferimento, per questo non sono automaticamente intercambiabili a meno che l’AIFA non dichiari per ogni singolo farmaco l’equivalenza terapeutica.

Ciò premesso, è evidente che un maggiore utilizzo di farmaci equivalenti e biosimilari riduce la spesa farmaceutica e quindi libera risorse da impegnare all’interno del SSN. Se inoltre le aziende farmaceutiche che producono farmaci equivalenti e biosimilari vengono messe in concorrenza tra di loro, sempre mettendo al centro le evidenze scientifiche a tutela del paziente, attraverso gare di appalto organizzate da regioni singole e associate si ottengono considerevoli risparmi.  È  ciò che ha chiesto il 10 luglio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) al governo sul disegno di legge della concorrenza, evidenziando che non contiene nessuna norma rivolta a promuovere la concorrenza tra le imprese farmaceutiche. Identica sollecitazione al governo è stata fatta il 3 luglio dall’Aifa sostenendo che “l’introduzione di farmaci a brevetto scaduto rappresenta un’importante occasione di efficientamento economico della spesa sanitaria senza compromettere le garanzie di efficacia e sicurezza che rimangono il cardine dell’assistenza farmaceutica”.

Di quanto si ridurrebbe in questo modo la spesa farmaceutica? È difficile quantificarlo, posso soltanto riportare qualche informazione utile a dimostrare che i risparmi sarebbero notevoli. Sulla base della mia esperienza di assessore alla sanità in Piemonte (2014-2019) posso dire che nel 2018 sono stati risparmiati 41 milioni di euro con una riduzione media del prezzo dei farmaci del 67%:  in alcuni casi sono state ottenute riduzioni del prezzo fino al 99%,  come nel caso del Bosental e dell’Imatinib il cui costo unitario è sceso rispettivamente da 2.210 a 27 euro e da 1.907 a 24 euro. Per avere un’idea più complessiva è sufficiente l’esame del ‘Monitoraggio dei farmaci non biologici a brevetto scaduto’, pubblicato recentemente da Aifa, del quale consiglio la lettura se ancora non lo hanno fatto, al ministro D’Urso (imprese) e Schillaci (sanità). Emerge che sono numerosi i farmaci a brevetto scaduto negli ultimi 3-4 anni, dove gli equivalenti hanno un’incidenza di consumo inferiore al 50%;  gran parte ha addirittura un’incidenza intorno al 15/20% mentre il restante  consumo continua a essere coperto dai costosi farmaci originator.  Sarebbe necessaria a questo proposito una norma che vincoli le Regioni a procedere alle gare d’appalto in concomitanza delle scadenze dei brevetti. Sarebbe anche utile che le Regioni si coordinassero tra di loro riducendo il numero delle stazioni appaltanti per una migliore contrattazione basata su un principio  classico della concorrenza:  volume/prezzo.

Non resta che aspettare per vedere se le indicazioni dell’Agcm e dell’Aifa per garantire  la promozione della concorrenza nel settore farmaceutico  saranno accolte o considerate, come è già successo in questi mesi su altri temi, soltanto fastidiose opinioni che disturbano il manovratore. Purtroppo non c’è da essere fiduciosi considerata l’allergia dimostrata finora dal governo verso la concorrenza, a partire dalle concessioni balneari.