Il Sud Globale, nuovo attore nella geopolitica mondiale, sfida l’Occidente.

I Paesi che ne fanno parte, sostenuti da Russia e Cina, accusano il sistema finanziario internazionale di essere ingiusto e di aver contribuito alla loro povertà. L’’Europa deve aprirsi a questo “nuovo mondo”.

L’attenzione che pure i media generalisti stanno ponendo alle possibili conseguenze del golpe in Niger e più in generale a quanto sta accadendo nel Sahel dimostra quanto la guerra in Ucraina abbia accresciuto l’interesse dell’opinione pubblica informata (ovvero quella che legge qualche quotidiano e ascolta i telegiornali) verso l’evoluzione degli assetti geopolitici globali.

Si è finalmente compreso che quell’area geografica a sud del Sahara – il cui nome arabo si traduce col nostro “costa” – è decisiva per la gestione delle migrazioni provenienti dal sud e dirette a nord. Una volta era intesa, in senso metaforico, come, appunto, la “costa” ove si trovavano i porti (ovvero i centri abitati) di approdo dopo aver attraversato da settentrione a meridione l’oceano di sabbia. Oggi al contrario è divenuta la fascia di passaggio, al contrario, da sud a nord, che conduce ad un calvario dall’esito incerto e spesso più orientato verso il buio della morte che verso la luce di una nuova vita.

Ma non si tratta solo di questo. È il possibile nuovo assetto geopolitico dell’area che interessa gli osservatori e gli analisti. Ne abbiamo già parlato qui. La torsione in direzione russa degli stati saheliani è parte di un più vasto movimento che pare voler unire o quanto meno avvicinare la più parte delle nazioni del sud del mondo in un composito fronte anti-occidentale o comunque alternativo all’Occidente e ai suoi organi istituzionali di guida dell’economa mondiale. Nazioni le più diverse che si unirebbero su una base quasi ideologica e non semplicemente geografica (anche se di esse ormai si parla in termini di Global South) guidate da Cina e Russia: ed è qui che sta il problema. È evidente che ciò non può essere accettabile dagli occidentali, che dunque proveranno a reagire. Vedremo in futuro come. Certo è che questi ultimi devono comprendere che i Paesi del Sud Globale considerano – non proprio a torto – il sistema finanziario internazionale imperniato su Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale ruotante introno ai dollari USA e quello commerciale della World Trade Organization responsabili primari della povertà e del mancato sviluppo proprio dei Paesi del Sud del mondo.

L’idea del “Sud Globale” è una derivata del fenomeno dei c.d. BRICS, acronimo del quale si parlò molto qualche anno fa, ai tempi del massimo fulgore della “globalizzazione”. Cinque stati (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) che, per quanto diversi e di diverso peso, simboleggiavano la crescita, innanzitutto e prioritariamente, economica che li aveva contraddistinti negli anni del nuovo millennio proiettandoli verso nuovi e più ambiziosi traguardi. Poi per qualche tempo, il tempo della crisi del concetto di globalizzazione (difeso a Davos, si ricorderà dal solo Xi Jinping l’anno precedente il Covid) non se ne è più parlato. Oggi invece è tutto un fiorire di articoli, saggi e quant’altro intesi a riprendere e sviluppare l’acronimo, che andrebbe aggiornato con un “+” omnicomprensivo dei tanti paesi che vi aderirebbero e che in un qualche modo sono identificabili nel voto di astensione all’ONU sulla condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Un evento che, come si vede, ogni volta ritorna e si pone al centro di ogni questione.

Il movimento del Sud Globale, in realtà, più che ai BRICS parrebbe rifarsi allo storico Movimento dei Paesi Non Allineati che ai tempi della Guerra Fredda tentò di costruire una Terza Via fra Ovest ed Est. E infatti il “Gruppo 77” (sorto in quegli anni con quel numero di nazioni aderenti) oggi è stato rianimato soprattutto in seguito all’iniziativa cinese, che ha coinvolto nella sua Belt & Road Initiative molti di questi paesi; che ha istituito un gruppo informale alle Nazioni Unite denominato G77+Cina; che tra questi (nel frattempo lievitati sino a 130 e a questo punto rappresentanti la maggioranza della popolazione mondiale) ne ha invitati alcuni fra i più rilevanti alle riunioni della Shangai Cooperation Organization (SCO), l’iniziativa antesignana di tutte le altre con la quale Pechino sin dal 2001 ha messo nello stesso Forum dapprima la Russia e le Repubbliche asiatiche nate dopo la fine dell’Unione Sovietica e successivamente paesi anche avversari fra loro quali India e Pakistan oppure Turchia e Arabia Saudita. Questo iperattivismo cinese ha prodotto in tempi recenti un clamoroso e inatteso accordo parziale fra due acerrimi rivali come Iran e Arabia su uno dei terreni di scontro degli ultimi anni, lo Yemen.

Non tutto, naturalmente, è così chiaro. Né lineare. Ad esempio, ed è più che un esempio visto che si parla della prima nazione al mondo per numero di abitanti, l’India è certo aderente al G77, è certo partecipante alla SCO, ma è al tempo stesso facente parte del QUAD, l’intesa strategica con Stati Uniti, Australia e Giappone il cui palese obiettivo è limitare le ambizioni marittime di Pechino nell’Oceano Pacifico oltre che rinsaldare la collaborazione delle due principali democrazie asiatiche con quelle occidentali e soprattutto con gli USA.

Molto dunque si sta muovendo nella geopolitica mondiale. Come abbiamo scritto in un precedente articolo citando il prof. Prodi, sarebbe bene che pure l’Unione Europea – ad oggi non pervenuta – fosse parte attiva di queste evoluzioni, prima di trovarsi di fronte a sgradite sorprese.