Vorrei in primo luogo proporre una riflessione sul tema della memoria e del contesto storico-politico di una vita, una lunga vita al “servizio”: servizio, sì, è il caso di dire, senza quella retorica, che ha svuotato il migliore significato di questo termine.
1-Un servizio alla politica, quando era una questione molto seria (“Forlani ne è stato servitore e non se ne è servito” per esprimermi con la definizione utilizzata da Pier Ferdinando Casini in occasione della sua scomparsa)
2-Un servizio al partito, quando i partiti erano comunità di reali mediazioni con la società. Uomo di Partito prima che di corrente.
3-Un servizio alla società intesa come persone, istituzioni, realtà economiche produttive e di rappresentanza.
4- Infine – ed è la sintesi di questi tre aspetti – un servizio in primo luogo al Paese (definizione ancora più negletta e irrisa dalla polemica succeduta al crollo di tutti questi mondi). Identificazione della dc come “partito della nazione”, era l’identificazione con l’Italia.
“Preparazione, competenza e radicamento sul territorio” di questa politica ci sarebbe bisogno, lo facevano i grandi partiti di una volta, lo faceva la miglior Dc.
E questo giudizio è tanto più significativo se detto da chi, come me, non è mai stata democristiana e, anzi, ha simpatizzato per la sinistra.
Come storica però vorrei mettere in guardia dalle facili idealizzazioni. Noi – e non mi riferisco solo agli storici, e ai politici – ma proprio agli italiani, allo spirito del nostro genio nazionale oscilliamo spesso tra una idealizzazione del passato e delle figure che lo hanno attraversato da una parte e una rimozione dall’altra.
E questo lo facciamo nelle sue diverse varianti, spesso opposte alla idealizzazione, come la demonizzazione o l’insignificanza.
Dovremmo riflettere molto sull’uso della memoria, sul suo uso politico. Spesso deformante e deformato.
Perché dobbiamo imparare a “fare memoria”, un esercizio di discernimento su ciò che rimane vivo e cosa no.
Ora lasciando a chi lo ha conosciuto o studiato una disamina ben più puntuale e più pertinente di quella che potrei fare io: mi chiedo chi era Arnaldo Forlani nel senso che dicevo prima?
Mi aveva colpito, una definizione di se stesso quando all’intervistatore (mi sembra di ricordare a Minoli) che gli chiedeva che tipo di uomo fosse rispose: “Mah io sono un uomo normale”. Il che oggi suonerebbe come una risposta ammiccante ma che in quel caso suonava sincera e approssimativamente persino reale.
Eppure Forlani fu un uomo di grande potere. Rivestendo le più alte cariche, eccetto la Presidenza ella Repubblica.
Il Potere. Ecco un altro termine che da quella stagione ad oggi è cambiato profondamente. Assumendo via via accezioni sempre e solo negative.
Fu lui a coniare l’espressione “il potere discreto”, per una “consuetudine alla prudenza e alla collegialità”. E in che senso lo intendesse lo può spiegare meglio Agostino Giovagnoli.
Lungimiranza nelle questioni internazionali, sempre cartina di tornasole di visione e solidità storico-politica, di cui solo nei tornanti fondamentali della storia ci si rende conto: e lo vediamo ora. Primo governante europeo a visitare la Cina dopo la scomparsa di Mao. Il suo atlantismo volto ad una attenzione alle relazioni multilaterali, alla cooperazione e all’europeismo era animato alla pace e allo sviluppo.
Autentico ammiratore di La Pira di cui diceva che “era sempre presente il disegno biblico finalizzato alla pace e un nuovo ordine: le spade convertite in vomeri”. Ne parlò con intensità l’Arcivescovo Vincenzo Paglia nell’omelia ai suoi funerali. Testimonianza di rigore e abnegazione personale quando, come disse, volle “bere la cicuta fino in fondo” e accettò tra i pochi di scontare la gogna di tangentopoli, non sottraendosi all’azione della magistratura. Il senso del dovere, ecco un’altra parola dopo servizio, e potere, negletta e misconosciuta oggi eppure sempre più fondamentale. Che oggi manca molto.
Per finire solo alcune considerazioni sulle radici etiche che affondavano nella formazione di quella classe dirigente, avvenuta nell’Azione cattolica e nella Fuci costruita sul connubio inscindibile tra laicità e testimonianza cristiana nella storia.
È questa la sorgente di una politica che ha gli attributi che ricordavo prima: temperanza insieme alla passione, diritti mai disgiunti dai doveri, fede vissuta sempre nella laicità, identità senza mai integralismi.
Come dicevo, io non ho mai conosciuto e neppure frequentato Arnaldo Forlani: lo ricordo quando nel suo risoluto e rigoroso riserbo dopo la sua definitiva uscita dalla scena politica veniva a qualche convegno all’Istituito Sturzo: e mi capitava di osservarlo, colpita dall’intensità della sua attenzione anche e soprattutto quando si parlava di temi lontani dalla politica, temi etici: ricordo come ascoltava interventi sulle nuove questioni aperte dalla biopolitica e dalla bioetica.
E in quei momenti mi venivano in mente gli studi di Pietro Scoppola sulla fine della Repubblica dei partiti.
Ebbene di tante analisi sulla fine della Dc, come le acute osservazioni sul rapimento Moro, come data periodizzante, ricordo quanto spesso soleva dire che nella fine di quel partito pesò maggiormente il Referendum sul divorzio e tutte le questioni legate alla svolta antropologica che non tangentopoli.
Occorreva, diceva, uscire dagli schemi politicistici, ritrovare le ragioni etiche della politica perché la politica finisce quando cominciava il suo distacco dalle persone, la sua estraneità dalla vita reale.
Prof.ssa Emma Fattorini, Docente Ordinaria di Storia Contemporanea (Sapienza – Università di Roma)