Gentile, quel ministro. Dialogo immaginario con il filosofo del Regime.

A 80 anni dalla morte, avvenuta il 15 aprile del 1944 per mano dei partigiani, l’autore parla in prima persona del suo immaginifico rapporto con Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione.

Ci si frequentava per quello che le convenzioni concedevano in tal senso. Lui, il Professore, sempre ben curato nell’aspetto e con i capelli fermi, così come ostinati erano i suoi pensieri. Un gran lavoratore, uno di quelli che non si fermano mai, non perché il tempo sia prezioso e pertanto non è bene se ne perda, quanto per il suo desiderio continuo di affermare il più delle volte possibile il valore delle sue idee.

Per due anni abbiamo avuto pressocché tutti i giorni un appuntamento fisso la mattina e la sera, al suo ingresso ed alla sua uscita dal Ministero della Pubblica Istruzione. Poche accurate deferenti parole da parte mia, pari alla ben stirata livrea di usciere a presidio della sua camera di Ministro. Io ero l’uomo di anticamera. Si doveva insomma per forza passare da me prima che si avesse accesso a lui!

La mattina gli dicevo di essere felice di rivederlo e la sera al commiato ci dicevamo soddisfatti del lavoro compiuto. Non era un fatto di ore straordinarie ben pagate. Mi piaceva tirare a tardi insieme a lui, fino a sera inoltrata, quando finalmente si era in solitudine, in una intimità senza parole, fatta solo di presenza. Ciascuno sapeva che al posto dell’altro c’era qualcuno su cui contare e questo ci era di consolazione e di amicizia.

Non divenni mai suo amico nel senso corrente del termine, tranne la sera prima che lincenziasse la sua Riforma in modo che diventasse legge. I conti non tornavano e qualcosa faceva a pugno con il suo cognome. Giovanni Gentile negli articoli della sua legge non ci andò di particolare cortesia con le donne.

Con la stessa risolutezza, fuori da quelle mura, c’era sempre chi volesse spiegarmi con chi avessi a che fare, ma non capivo un granché. C’è chi mi diceva che era un “neoidealista” e chi un “attualista”. Io sapevo soltanto che aveva un gran bella testa e che, per quanto si sforzasse, faticava a parlarmi in modo semplice, tornandogli scomoda ogni semplificazione.

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