Giacomo Matteotti ai fascisti: “Noi siamo per il Parlamento”.

Filippo Meda, già ministro delle Finanze nel governo Boselli (1916), nonché parlamentare del Ppi nel primo dopoguerra, ripubblicava sulla sua rivista (“Civitas”- 1 luglio 1924) questo articolo del leader dei socialisti riformisti.

 

L’ultimo articolo di concetto che l’on. Matteotti pubblicò prima di cadere vittima del ferro assassino, è il seguente da lui inserito sotto il titolo Parlamento e governo nella rivista “Echi e commenti” del 5 giugno scorso.

 

Vi è un contrasto tra Parlamento e Governo.

La maggioranza è veramente pronta a obliterare sé stessa di fronte al Governo; ma poiché esiste una minoranza la quale rivendica i diritti del Parlamento, il dissidio è profondo.

Il Governo fascista intende che la Camera serva soltanto ad approvare quel ch’esso fa. Anzi, ritiene esso, così come ritiene il nuovo Presidente della Camera, che il Parlamento può vivere solo a condizione di non mettersi mai contro il Governo. E come i fascisti hanno dichiarato che il Governo è al disopra del responso elettorale, così esso si ritiene al disopra di ogni voto della Camera.

D’altra parte nessuna dichiarazione fascista concepisce o riconosce una funzione di controllo da parte della Camera sul potere esecutivo. Questo sta troppo in alto e al disopra dell’Assemblea legislativa, per potere neppure ammettere di essere controllato e criticato. La maggioranza è a disposizione del Governo; essa non può riunirsi in Gruppo nè in sottogruppi; accetta da esso il Comitato che la dirige; e non potrebbe ammettere che la minoranza — composta, secondo il comune linguaggio fascista, di antinazionali — eserciti essa il controllo.

Le prime manifestazioni pratiche di tali concetti, oltrechè nei discorsi delle alte personalità fasciste, si sono già avute nelle annunciate modifiche al Regolamento; nell’impedimento delle costituzioni di gruppi, anche materiale con la negata concessione di locali; nella scheda girante per sottrarre posti alla minoranza nella Giunta del Bilancio; nella dichiarazione del Direttorio fascista che «non potrebbero essere tollerati nè disconoscimenti dell’opera del Governo» nè obiezioni alla legittimità dei risultati elettorali; e nella presentazione dei decreti legge da approvare in blocco, fatta eccezione per i due o tre, di cui la mentalità giornalistica del Presidente del Consiglio ha ricordato l’ultima eco scandalosa (petroli, bische).

Quale rimarrebbe quindi la funzione del Parlamento? Probabilmente una funzione puramente decorativa. Nelle forme esteriori una funzione simile a quella che compivano certi Consigli di Stato del vecchio regime. Ma nella essenza ancor meno di tanto, poiché almeno quei Consigli, nel loro piccolo numero e nella loro specifica competenza, curavano la forma e i particolari tecnici delle leggi, mentre a questo assai meno si presta una Camera numerosa ed eterogeneamente composta.

Il Parlamento, così ridotto, dovrebbe espiare alcune colpe del passato: la sua scarsa attitudine a legiferare su tante materie, gli eccessi nella spesa, gli intrighi di corridoio, ecc.

Sulla scarsa attitudine del Parlamento a legiferare perfino sulle piccole cose, e fino agli ultimi articoli e dettagli delle numerosissime leggi emanate nei tempi moderni, si può essere tutti d’accordo. Ma il rimedio non è né il decreto-legge, né la soppressione della preminente funzione legislativa. In tal modo si sostituisce la burocrazia o quegli altri organi, che proprio dal 1914 in qua hanno dato prova della altrettanto loro scarsa attitudine, con tutta quella congerie di decreti, spesso contradittori, confusi, mal fatti, che ci è venuta deliziando negli ultimi anni.

Il problema può essere qui appena accennato; ma certo la soluzione non può essere quella di un ritorno all’antico, già superato e dimostrato dannoso; sebbene in una progressione che affidi al Parlamento la deliberazione sulle grandi linee direttive delle leggi, e a speciali Commissioni o corpi tecnici la loro perfezione e redazione, da ritenersi senz’altro approvata quando non vi sia espressa e specifica obiezione.

La seconda accusa fatta al Parlamento di non avere freno nelle spese, è una favola. In Italia, negli ultimi dieci anni, le spese votate di iniziativa del Parlamento, si possono ridurre a pochissime decine di milioni. Ricordo le pensioni ai mutilati di guerra o ai maestri, votate sotto l’incubo di specialissime situazioni. Tutti i Governi invece, compreso quello fascista, hanno decretato maggiori spese a centinaia e a migliaia di milioni; impegnando non solo il bilancio in corso, ma anche i futuri, fino al 1924. La Commissione parlamentare del Bilancio o delle Finanze, sola, ha resistito a molte proposte di spesa che i Governi presentavano.

La terza accusa non riflette che lo stato di timore dei beati possidentes del potere, i quali, in ogni colloquio di due uomini politici, vedono il complotto per abbatterli e sostituirli.

In verità il Parlamento sembra avere molti difetti solamente perché tutti i suoi difetti sono manifesti, pubblici e controllabili; anzi ingranditi dalla stampa, che è più pronta a raccogliere l’epiteto ingiurioso di un deputato, che non una argomentazione, o meno ancora una cifra. Se un deputato alla Camera propone una piccola spesa, esso si espone sicuramente ai dubbi e al controllo di tutti: mentre i Governi depositano tacitamente sulle colonne della Gazzetta Ufficiale i loro decreti che investono enormi interessi della Nazione, e che non raramente furono preparati nei Gabinetti dietro la richiesta o sotto la pressione, mai pubblicamente controllata, dei gruppi o delle persone interessate, anche a danno della collettività.

Perciò noi siamo per il Parlamento; e ne difendiamo la funzione legislativa e di controllo.

La maggioranza sembra poco disposta a consentirlo; organi estranei all’assemblea aggiungono minacce alla opposizione che esercita o rivendica il suo diritto; il Capo del Governo parla di «ultimo esperimento parlamentare» che esso permette, come se la Costituzione fosse mutata, e non più il Ministero uscisse o dipendesse dalla Camera, ma l’esistenza di un Parlamento fosse la concessione graziosa e condizionata del Governo.

Gli italiani guardano esterrefatti a tale contrasto fondamentale, di cui la risoluzione sembra affidata all’arbitrio di un uomo o di un Partito, che solo dispone di una forza armata al proprio servizio.

 

 

Fonte: Civitas, Antologia degli scritti più significativi apparsi dal 1919 al 1925 sulla rivista «Civitas» fondata e diretta da Filippo Meda, a cura di Bruno Malinvern, Edizioni Cinque Lune s.r.l., 1963, pp. 487-491.

Titolo originale: Parlamento e governo. L’ultimo articolo dell’on. Matteotti, “Civitas”, n.13, 1 luglio 1924.