Guardiamo al futuro dell’Europa difendendone i valori fondamentali

La complessità dei problemi c’impone di recuperare il valore della mediazione. A lungo andare, infatti, un certo clima divisivo toglie l’ossigeno alla buona pianta della democrazia e della libertà.

La storia dell’Europa è una sequela infinita di guerre. Il lungo cammino verso il consolidamento democratico è stato tortuoso ma solido, assicurando condizioni di pace e democrazia.

Possiamo apprezzare i benefici di un mercato unico finalizzato alla libera circolazione delle merci e all’integrazione delle diverse economie; gli  elevati standard di sviluppo tecnologico, come pure di istruzione e formazione; la robusta tutela dei diritti di cittadinanza; in parole povere abbiamo come orizzonte lo Stato di diritto come valore sottostante al patto tra le nostre 27 nazioni. Tutto questo ha trasformato l’Europa in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. 

Abbiamo vissuto pensando e immaginando un mondo largo, globalizzato, persino armonico, ma ora qualcosa è cambiato. Ci ritroviamo a gestire uno spazio più piccolo e complicato. Questo tempo – il nostro tempo! – si mostra compresso da turbolenze e difficoltà inaspettate, con le quali anche i più ferventi sostenitori del progetto europeista sono chiamati a confrontarsi.

In sostanza, viviamo in un mondo multipolare in cui il richiamo al valore della laicità non può ridursi a uno sterile esercizio mnemonico, costituendo bensì un impegno vero, sempre più dettato dalla necessità di rispondere all’esigenza di inverare antichi principi, oggi potenzialmente a rischio, e a rilanciare il sogno caro a Maritain – ma non solo a lui – di un’Europa che immaginava unita, democratica e solidale.

Questa spinta a ripensare l’agire politico ci sollecita anche ad accogliere una nuova forma di responsabilità. Di fronte a noi si presenta un’Europa segnata da una crescente disomogeneità religiosa e culturale, esposta come non mai ai rischi di un’interminabile flusso di immigrati e a quelli, non meno rilevanti, della polarizzazione del dibattito politico. Ora, la complessità dei problemi c’impone di recuperare il valore della mediazione, ovvero quello spazio libero che utilmente generiamo, capace di portare il conflitto a risoluzione in virtù di un sentimento di “amicizia civile”.  

Invece siamo di fronte al deterioramento dei rapporti tra opposti schieramenti politici. Ciò provoca una situazione di stallo e quindi un inevitabile calo di fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Certo, solo i regimi autoritari sono perfetti, a modo loro; invece la democrazia no, richiede pazienza e tolleranza. Questo spiega perché molti Stati sono democratici solo formalmente in quanto più simili a Stati monocratici, votati cioè a radicarsi in un potere accentrato. 

Cerchiamo di guardare nella giusta direzione. Sorprende vedere come oggi i valori della democrazia liberale risultino più difesi in Ucraina e in Georgia che non altrove in Europa. Siamo vittime dell’indifferenza. Se il dialogo, la mediazione e il compromesso si tramutano in disvalori, a soffrirne è l’ordinamento istituzionale nel suo complesso. A lungo andare un certo clima divisivo toglie l’ossigeno alla buona pianta della democrazia e della libertà. È questo il futuro che dobbiamo attenderci?