La transizione in corso, di portata storica, verso una nuova architettura politica, economica e finanziaria globale adeguata ai nuovi equilibri del mondo attuale, più equa e rappresentativa, è un processo che appare inarrestabile. Nello stesso tempo potrà essere un percorso lineare e pacifico solo se prevarrà il senso di responsabilità in tutti i maggiori soggetti coinvolti. Cominciando dal reciproco riconoscimento, sul quale è fondato il modello multipolare, e dalla cui mancanza, o insufficienza, dipendono le maggiori tensioni in corso tra Occidente e Resto del Mondo.
Questa transizione verso un nuovo ordine globale pone sfide specifiche a ciascun “polo”. Ai Paesi BRICS – che fra una settimana a Johannesburg terranno il vertice più importante della loro pur breve storia, inaugurando la fase del loro allargamento nella forma BRICS Plus, divenendo in tal modo rappresentativi della maggioranza della popolazione mondiale – è richiesto di dare prova di moderazione, apertura al dialogo, gradualità nei mutamenti da loro auspicati.
Agli Stati Uniti i tempi richiedono di riaffermare la loro indiscussa forza economica e militare, mostrando saggezza e lungimiranza nel saper rimodellare le loro relazioni internazionali nel nuovo quadro globale, a cominciare da quelle con una Europa destinata a ritrovare una propria autonomia su cui costruire dei legami transatlantici ancora più saldi.
L’Unione Europea e i Paesi membri costituiscono il soggetto che sembra dover cambiare maggiormente il suo approccio per restare al passo con i tempi. Al suo interno interagiscono visioni geopolitiche nazionali diverse e nei fatti contrastanti, come si vede sul tema dell’immigrazione, come si è visto per lo sciagurato intervento in Libia del 2011, come si vede tutt’ora nelle politiche verso l’Africa. Serve un cambiamento di categorie: la parità con gli interlocutori extraeuropei, un sano pragmatismo rispondente allo stato reale delle cose al posto di un metodo regolatorio che tutto pretende di valutare, uniformare e inglobare secondo parametri unilaterali. Un ritorno alla sussidiarietà, da cui l’integrazione europea mosse i suoi primi passi. Il ritmo dei cambiamenti nel mondo è così accelerato che la prossima Commissione Europea non potrà attendere. O le decisioni che decretano l’autonomia decisionale dell’Europa in ambito economico, geopolitico, di sicurezza vengono prese nel tempo in cui servono oppure un lento ma inesorabile logoramento e declino attende il nostro continente nel quale uno sviluppo di massa arrivato relativamente da poco, nell’arco di qualche decennio, rischia di intraprendere un percorso uguale e inverso.
Il nostro Paese per vocazione culturale e per collocazione geografica è molto avanti in questa transizione geopolitica. L’Italia agisce di fatto già in un’ottica multipolare, rafforzando i legami con gli Stati Uniti e dando un fondamentale contributo all’Europa nell’aprirsi al cambiamento mentre intensifica le relazioni con i Paesi del Sud Globale, a cominciare da quelli africani, improntate a parità, equità e reciprocità.
Ciò che manca, a mio parere, alla classe politica e in particolare al campo riformatore è la capacità di avvertire che questo passaggio al multipolarismo comporterà un mutamento degli equilibri anche nelle società occidentali. Questa è anche la ragione per cui gli Stati Uniti dispongono di sorprendenti energie per rovesciare il tavolo, e collocarsi non tra coloro che il multipolarismo lo subiscono ma tra coloro che lo guidano, nonostante le incognite che pesano su di loro per il tramonto del Dollaro come valuta di riserva globale e per il riemergere di un sistema finanziario globale basato sull’economia reale.
Processi che arrecheranno sicuri benefici alla classe media, svenata dall’economia speculativa e da catene di approvvigionamento inique quando non selvagge. Ecco perché appare fondamentale porre al centro del dibattito politico interno il nesso che intercorre tra cambiamento geopolitico e ripresa dei ceti lavoratori e intermedi. In particolare credo che un tale nesso non dovrebbe sfuggire né alla forze di centro, a cominciare da quelle di ispirazione popolare e cattolico sociale e democratica, né a un Pd che solo volesse tornare a essere un partito di popolo anziché rimanere passivamente tra i nostalgici di un mondo che sta inesorabilmente tramontando.