Il Centro deve unire i democratici di tradizione laica e di matrice cristiana.

Con il suo progetto, Calenda non può essere il referente per un Centro moderno, riformista, plurale e di governo. Riesce al più a organizzare un ‘centrino’ alto borghese e salottiero.

Noi stimiamo Carlo Calenda per la sua tenacia e per la sua determinazione. Meno per la sua altalenante coerenza e pochissimo, ma questo appartiene al campo della politica, per il suo progetto. E qui dobbiamo dirlo con chiarezza e con franchezza e senza alcun spirito polemico. E cioè, lo spazio politico di Centro nel nostro paese esiste e può crescere e consolidarsi solo se non si riduce ad essere una sorta di banale riedizione, seppur in forma aggiornata e rivista, dell’esperienza del PRI o del PLI. Intendiamoci, rispetto per la storia di quei due partiti laici e democratici ma la costruzione di un luogo politico centrista, riformista e di governo non può ridursi, oggi, alla replica ammodernata di quella esperienza. E questo almeno per due motivazioni di fondo.

Innanzitutto perché una ‘politica di centro’ oggi nel nostro paese non può giocare un ruolo marginale e del tutto periferico. Perché prendere atto che l’unico ruolo politico che si può avere è drasticamente minoritario equivale a dire che ci si condanna anticipatamente all’irrilevanza politica, culturale e programmatica.

In secondo luogo un partito che ambisce a declinare una ‘politica di centro’ e a rappresentare un’area centrista e democratica dev’essere necessariamente plurale. E in questa pluralità, al contrario di ciò che dice Calenda, l’area cattolico democratica, cattolico popolare e cattolico sociale non può essere meramente aggiuntiva e pertanto ininfluente. Perché Calenda, che del tutto legittimamente è esterno ed estraneo a quella cultura, forse non si rende conto che la tradizione e la storia del cattolicesimo popolare sono stati il cuore pulsante del centro e della ‘politica di centro’ nel nostro paese. Salvo alcune parentesi populiste che, non a caso, hanno segnato il punto più basso e più squallido della storia democratica e costituzionale del nostro paese.

Ecco perché il Centro autoreferenziale di Calenda non è destinato ad avere un futuro florido e vincente. Perché quando mancano le radici culturali decisive e qualificanti, costruire uno spazio politico in quell’area politica si riduce ad essere una operazione del tutto marginale rispetto agli equilibri politici complessivi. Soprattutto in una fase come questa dove il Centro rischia di essere progressivamente egemonizzato e rappresentato da Giorgia Meloni e dalla sua concreta azione di governo. Il buon Calenda, cioè, si deve rassegnare. Senza la presenza, attiva e feconda, della cultura cattolico popolare e sociale non può decollare nessun Centro. Al massimo, un ‘centrino’ laicista, radicale e alto borghese. Il che, come ovvio, è tutta un’altra storia.