Recentemente, alla presentazione del mio ultimo libro sul “Centro. Dopo il populismo” a Torino, Lorenzo Pregliasco – autorevole e qualificato sondaggista – ci ha spiegato in modo molto semplice ma schietto che esiste un elettorato centrista nel nostro paese. Soprattutto dopo la ripartenza di una forte e massiccia radicalizzazione della lotta politica, frutto e conseguenza del voto del 25 settembre scorso ma, soprattutto, grazie alla vittoria della Schlein alle primarie del Partito democratico. Una radicalizzazione che va di pari passo con una altrettanto nociva e pericolosa polarizzazione ideologica. Il tutto, come ovvio ed evidente, crea una miscela esplosiva che può mettere in discussione la stessa tenuta della nostra democrazia e la qualità del sistema democratico.
Ma, per tornare a Pregliasco, è interessante la tesi che ha presentato a Torino. E cioè, esiste 1 elettore su 10 che oggi in Italia si riconosce in un’area centrista. Un 10% di elettorato che potrebbe, però, anche crescere ulteriormente purchè, ecco la novità, si tratti di una offerta politica credibile da un lato e che, soprattutto, sia rappresentata in modo credibile da chi la guida dall’altro. Insomma, torniamo all’antico. Non quello usato e nostalgico ma, al contrario, quello serio e collaudato. Ovvero, con un progetto politico coerente e aderente alla società contemporanea e con una classe dirigente altrettanto credibile, quello spazio politico può riavere un ruolo decisivo e determinante per gli stessi equilibri politici complessivi. Sin qui Pregliasco, pur senza esercitarsi, come ovvio, nello stilare nomi e cognomi.
Ora, è di tutta evidenza che – e lo dico senza alcuna polemica politica e men che meno di carattere personale – difficilmente un esponente con il profilo politico di Calenda può interpretare quel ruolo o farsi carico di quella domanda politica, culturale e sociale che attraversa la nostra società. Non può essere un politico aggressivo, divisivo, strutturalmente impulsivo e poco incline, per non dire nulla, alla cultura della mediazione, del confronto, del rispetto dell’avversario e della composizione degli inevitabili contrasti che nascono nella lotta politica quotidiana, la figura più idonea per interpretare e tradurre concretamente la “politica di centro” nel nostro paese. Oltre, ma questo è ancora un altro aspetto, essere radicalmente estraneo ed esterno alla cultura cattolico popolare, democratica e sociale che, come tuti sanno, è stata nel nostro paese decisiva per dare forma e sostanza al Centro e alla “politica di centro”.
E l’elemento decisivo, quindi, per rilanciare e soprattutto per rappresentare il Centro oggi nel nostro paese risiede proprio in questa sfida. E cioè, senza rincorrere la più spietata personalizzazione della politica – un tassello, questo, storicamente estraneo alla cultura e alla politica di un Centro democratico, dinamico, riformista e di governo – è indispensabile avere una leadership credibile che incarni anche “fisicamente” quel profilo. Che è sì di natura politica, culturale e programmatica ma che, soprattutto, lo confermi anche e soprattutto nella cosiddetta “cultura del comportamento”, come amava definirla il grande storico cattolico Pietro Scoppola quindi parlava di autorevolezza e di credibilità della classe dirigente politica.
Ecco perchè l’osservazione di Lorenzo Pregliasco, ancora una volta, coglie nel segno.