Il centro esiste se non è subalterno alla destra o alla sinistra

Poiché il problema odierno è rifare in senso opposto quella che fu la “rivoluzione del 1994”, riproponiamo un editoriale (“Corsa al centro”) scritto da Bodrato per “Il Popolo” subito dopo le  elezioni.

 

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Per mesi, l’opinione pubblica è stato ossessionata da una propaganda concentrata sulla necessità di “polarizzare” la scelta politica. Secondo i media, solo uno scontro tra destra e sinistra interpreta, in modo efficace, l’obiettivo di modernizzare il sistema, di favorire la democrazia dell’alternanza, di dare stabilità al governo.

A questo fine sia i conservatori che i progressisti hanno usato in modo truffaldino la legge maggioritaria, dando vita a coalizioni eterogenee, senza confini a destra e sinistra, con l’unico scopo di schiacciare il centro rendendo inutile il voto dato al Patto per l’Italia.

In questa spregiudicata operazione, le principali responsabilità si debbono attribuire alla cultura di sinistra, che pur di sgombrare il campo dal cattolicesimo democratico (storicamente espresso nella Democrazia cristiana), ha favorito il costituirsi della grande destra che infine ha travolto il polo progressista. Quando ormai le carte erano state distribuite, questi apprendisti stregoni si sono retoricamente interrogati sul senso della svolta in atto nel paese: “Stiamo realizzando la democrazie dell’alternanza, o un nuovo regime dispotico?”.

Da qualche giorno, la propaganda di regime ha cambiato spartito. Ora tutti corrono al centro. Questo appare il luogo della politica, e non soltanto per le forze che si apprestano a governare e che sono tenute insieme dalla colla del potere, ma anche per chi è stato confinato all’opposizione degli elettori.

Era facile prevedere che per Berlusconi la questione principale sarebbe diventata quel che riguarda la formula politica del governo. Non è facile entrare in Europa, ed aggregarsi alla coalizione dei conservatori, rivendicando radici liberiste ma senza avere segnato una chiara frontiera sull’estrema destra. Il programma di destra è stato rapidamente riscritto, per adattarlo alla cultura riformista europea. Ora si riconosce che la situazione italiana non è sull’orlo dello sfascio ma alla vigilia di una ripresa; che non è possibile tagliare le tasse senza provocare l’esplosione del deficit ed una disastrosa ondata inflazionistica; per produrre nuovi posti di lavoro, la strada è quella di una forte ripresa di competitività sul mercato estero e non quella del miracolo televisivo. Tutto questo affannarsi, svela l’inganno elettorale ma non accredita a livello internazionale.

Per definirsi di “centro-destra”, è necessario avere alleati al centro; ma per avere alleati al centro – che non siano burattini – è necessario liberarsi della scomoda presenza di una destra che si presenta ancora come erede del fascismo. Bastano le acclamazione di un’assemblea di giacobini, risvegliatisi bonapartisti, per assegnare al “polo della libertà“ la qualificazione politica di “riformisti“?

 

 

Se stiamo alle scelte che sono state annunciate, Pannella suggerisce a Berlusconi la strada della ulteriore radicalizzazione della lotta politica, con la cancellazione della quota di rappresentanza proporzionale che garantisce la voce alle minoranze, e con la forzata e definitiva imposizione dello scontro tra destra e sinistra come regola aurea della seconda Repubblica.  Non è difficile prevedere il passo successivo, con l’elezione plebiscitaria del “capo”.

Se questo è “centro“, qual è la “destra“?  Altrettanto rapida è stata la convergenza al centro della sinistra. Ma altrettanto strumentale, almeno per chi era affannato a demonizzare la strategia moderata dei popolari, considerandoli un’area politica da processare e da indicare come responsabile della corruzione della democrazie dei partiti.

Ora questa sinistra ha compreso che il massimalismo allontana in modo irrimediabile dalle responsabilità di governo; che il moralismo esprime un’idea perversa e settaria della politica e non ha nulla a che fare con la moralità della politica, che senza recuperare un positivo rapporto con la espressione politica del centro, il polo progressista è condannato ad avere un ruolo minoritario specie nella società contemporanea.

 

 

Cosa assai diversa dal ruolo di una opposizione parlamentare che si proponga di costruire l’alternativa di governo.

È dunque chiaro, per chi voglia guardare alla concreta realtà del paese, e quindi anche ad una posizione di centro che – per quanto umiliata dal sistema elettorale ed imbavagliata dai mass-media – non sia disponibile a diventare ruota di scorta della destra e della sinistra.

In un sistema democratico, vi è un grande potere di condizionamento riservato ad una minoranza che rappresenta un’area sociale viva, un’area sociale che sui valori e sui problemi è assai più vasta di quella che ha votato “partito popolare”. Questo è, realisticamente, il centro che vuole essere rappresentato con coerenza in parlamento; solo in questo modo potremmo contribuire, a testa alta, alla rinascita dell’Italia

 

 

[Il Popolo, 12 aprile 1994]