Il mare e la culla

Il Mediterraneo è la culla di tragedie. Una mamma è stata trovata abbracciata al suo bambino, tutt’e due incastrati in un oblò. “Ma” come mare, “ma” come martiri della speranza. E la Meloni - aggiungiamo - parla di…traghetti, tanto per non essere da meno di Salvini quando parla di migranti.

La notizia è stata data, per dovere di cronaca, al telegiornale in una manciata di secondi. A seguire, assai più tempo dedicato al lavoro di un’ultima novità musicale presto sul mercato. Non tutti i giornali nazionali ne hanno fatto cenno, comunque non certo in prima pagina. Solo Avvenire ha dato risalto al fatto ma, si sa, “un giornale cattolico, non poteva farne a meno”, potrebbe essere il commento di qualche ben pensante. In un album di Mina, c’è un brano dal titolo evocativo, “È la solita storia”. Ha parole eloquenti, che sembrano adattarsi alla nostra circostanza: “C’è nel sonno l’oblio / Come l’invidio / Anch’io vorrei dormir così / Nel sonno almeno l’oblio trovar/ La pace sot cercando io vò / Vorrei poter tutto scordar”. 

Sfax è la seconda città della Tunisia che prenderebbe il nome dal re Siface o meno nobilmente da un ortaggio, il faksus equivalente del nostro cetriolo, che dalle nostre parti indica nella vulgata corrente un problema che incombe ai nostri danni. Da lì è partita una imbarcazione con circa una cinquantina di persone a bordo, che prima ancora erano state richiuse in una così detta safehouse a Mhadia. Quest’ultima città, al tempo dei Romani con il suggestivo nome di Aphrodisium, è nota agli archeologi per un suo relitto, una ricca galea affondata nel I secolo a.C. zeppa di oggetti d’arte attici. Oggi non parliamo di una barca di prestigio ma un po’ di chiasso si sta facendo lo stesso. Ad essere meticolosi a 42 miglia dalla costa di Lampedusa l’imbarcazione è stata recuperata da unità di Marina. A bordo anche 8 morti di fame e di freddo. Tra questi una donna in avanzato stato di gravidanza, un avanzo di umanità che non ha più nulla da dire. Il gelo, giocando a ruba bandiera con il mare, ha vinto il confronto, afferrando per primo il drappo della morte. Il mare, intirizzito dall’avversario, ha avuto uno scatto impacciato ed ha ceduto il passo. 

Le cronache si dividono. C’è chi dice che sulla imbarcazione una mamma disperata abbia gettato in acqua il suo infante di pochi mesi. Forse per liberarlo dal gelo che opprimeva; le onde sarebbero state clementi, regalare una fine migliore, una sorte di liquido amniotico di nuovo alla ribalta. Altri dicono che la donna, poi morta, sia svenuta ed il piccolo gli sia scivolato dalle braccia, cadendo in mare. “C’è nel sonno l’oblio…”  sarà stato il maligno richiamo di qualche sirena. L’oblio per certo è quello che quotidianamente ci attraversa alle notizie del genere. Come tutti i veri eroi, un uomo che resterà ignoto, si è tuffato per salvare la creatura ed è invece, a sua volta, annegato. Sembra appena un dettaglio mentre meriterebbe una storia a parte. La vicenda ricorda un fatto simile accaduto a settembre che torna utile ricordare.

Il Libano è una gran bel paese con il vizio di fondo degli opposti. Ha due catene montuose. Il Libano e l’Antilibano, un conflitto in casa fin dalla sua nascita. È una terra inquieta, come stanca del benessere di un tempo, affezionata alle turbolenze della sua nuova stagione. C’è chi ne scappa prima di annoiarsi della solita storia. Per quanto di successo, un film, dopo qualche replica, tende a stancare. Una mamma sogna per un figlio una felicità all’infinito. Non si lascia ingannare dall’iniziale incasso del botteghino. Prevedendo la fiacca della fila, dopo i giorni di primo entusiasmo, passa subito ad altri copioni. “Légami” è il titolo di un film che racconta di un amore caparbio e indomito. Si chiama sapientia cordis la sapienza del cuore di una mamma verso il figlio. Libano è anche una corda di fibre intrecciata usata in marina. Se la terra di quel paese si era avvinghiata fino a non saper più sciogliere i nodi del suo male, la sua corda non avrebbe però mancato il mestiere, almeno ora che, su un barcone, una mamma ne stava prendendo il largo. 

I barconi, soprattutto quando sono stracarichi di passeggeri e di speranze, tendono ad affondare, per liberarsi del peso più delle seconde, che dei primi. Stavano precipitando sul fondo insieme ad altri; ma a lei del prossimo non interessava. In alcuni momenti è stupefacente stringere a sé la libertà di essere egoisti e sguazzarci dentro senza alcun impaccio e vergogna! Mentre l’acqua era quasi alla gola, un oblò ha dato il suo obolo di salvezza, offrendosi alla mamma ed a suo figlio per indicare una via di uscita, malgrado stava lestamente facendosi buio sulla scena. Un oblò è un berretto che una barca porta sempre all’altezza del suo fianco, salutando per rispetto ogni onda del mare. Ha spazio solo per uno alla volta. La mamma avrebbe dovuto intanto lasciare suo figlio correre per il mare aperto, nella speranza di raggiungerlo immediatamente dopo, seguendolo subito da presso, congiunta alla cima tenace dell’amore. Suo figlio sarebbe passato per primo. La decisione era presa. Poi un ripensamento, un dubbio, che rovina il piano presto congegnato. Se lei non ce l’avesse fatta a leggerne le flebili tracce nell’acqua, come abbandonarlo al largo del destino? 

Neanche a parlarne di far lei da apri strada, nella speranza che poi il figlio, districandosi, sul fondo della barca, nel panico dei futuri morti, potesse riagguantarla. Ha deciso per un abbraccio forte, facendo scoppiare di invidia la corda che presuntuosamente andava in giro a dire che solo lei poteva tenere insieme le parti. Delle volte delle semplici consonanti fanno la differenza. Brachium è il braccio in latino, mentre le branchie sono quelle che sarebbero servite per sopravvivere. Hanno provato a passare attraverso l’oblò, insieme abbracciati, madre e figlio, stretti stretti per non far scoppiare il portellino, troppo innamorato delle sue guarnizioni per poterle sacrificare. Li hanno trovati così, incastrati nell’oblò, con mezzo corpo fedele alla nave e mezzo corpo già tra le onde pronte ad accoglierli.

La Global Dream, la nave più grande del mondo, ha imparato dalla storia degli altri, non prende rischi e non affonderà. Non ha preso il largo e non lo prenderà. Lunga 342 metri, avrebbe potuto imbarcare oltre 9000 passeggeri, forte dei suoi 20 ponti e chissà quante centinaia di oblò. 

Difficoltà finanziarie sopravvenute la stanno facendo smantellare prima ancora di bagnarsi anche solo di una spruzzata di mare raccolta dentro un secchiello di un bimbo. Come si direbbe oggi, tutto ormai è questione di barche. 

La Global Dream è un sogno fallito. Come le mamme e i loro bambini inghiottiti nel Mediterraneo, che poco medita sulle costanti tragedie. “Ma” come mare, “ma” come l’obiezione che il solito cretino potrebbe sollevare, “ma” come martiri della speranza. Sul nostro calendario, tra tutti i santi, non dovrebbe mai mancare la loro ricorrenza.