Il Pd s’affida a improbabili codici etici

Visto il degrado, è la politica che deve prevalere. Gli accorgimenti organizzativistici sono del tutto inutili. O meglio, non riescono né a condizionare e né a moralizzare la vita di un partito.

I codici etici sono come gli ordini del giorno. Non si negano a nessuno. Anche perché, sia per gli uni che per gli altri, di norma vengono approvati quasi sempre all’unanimità e poi, altrettanto puntualmente, non approdano a nulla di concreto. Ora, di fronte al malcostume – l’ennesimo, per la verità – che ha sfregiato il Partito democratico a Bari, in Puglia e soprattutto a Torino e in Piemonte, decolla con rara tempestività la stesura di un rinnovato codice etico.

Non essendo più sufficiente nè un regolamento e, tantomeno, uno Statuto, ecco sfornare un novello codice etico per i prossimi candidati. A qualsiasi livello. Non è difficile prevedere il film. Discussione negli organismi di partito; accuse violente ed aggressive contro il sistema correntizio; interventi da parte di tutte le correnti contro il malcostume strisciante provocato dalle correnti di potere; approvazione all’unanimità del codice etico. Fine della discussione e convocazione immediata del tavolo delle correnti per la composizione degli organigrammi, la scelta delle candidature e la designazione delle nomine del momento.

Ora, per evitare questo epilogo simpatico ma anche un grottesco, e seppur senza alcuna deriva moralista ma anche senza l’ennesima ipocrisia, credo che la segretaria nazionale del Pd che era ed è radicalmente estranea ed esterna – per la sua formazione personale, per il suo stile e per la sua cultura – a qualsiasi concezione clientelare della politica o, peggio ancora, alla commistione tra affari e politica, ha la possibilità concreta di invertire la rotta che sin qui ha trionfato nel Partito democratico. Perché il malcostume di Torino e del Piemonte non è affatto una eccezione rispetto al quadro nazionale del partito ma, purtroppo, è un sistema che si può espandere rapidamente in un contesto dove l’assenza della politica e del dibattito politico sono stati semplicemente sostituiti da gruppi di potere e da camarille che vengono costruiti unicamente per la distribuzione del potere nel partito e poi, e di conseguenza, nelle istituzioni.

Si tratta, cioè, – anche se l’operazione non è affatto facile nè rapida – di far sì che gli organismi di partito non vengano più composti unicamente attraverso questi gruppi di potere ma siano l’espressione di culture politiche, di mondi vitali della società e della vivacità dell’elettorato di riferimento del Partito democratico. Del resto, anche perché non c’è nulla di particolarmente rivoluzionario da imparare, è appena sufficiente verificare cosa capitava in un altro grande partito popolare del passato – anche se il Pd è tutt’altra cosa dalla Dc – per arrivare alla conclusione che le correnti o le aree o le componenti hanno un senso all’interno di un partito solo se sono rappresentative di un pezzo della società, se sono espressione di una cultura e, infine, se hanno una classe dirigente di riferimento autorevole e qualificata. Elementi e tasselli che non hanno nulla a che fare con le regole, i regolamenti, gli statuti e soprattutto con i codici etici.

È la politica, al contrario, e giunti a questo stato di degrado, che deve trionfare e prevalere. Gli accorgimenti organizzativistici sono del tutto inutili. O meglio, non riescono né a condizionare e né a moralizzare la vita di un partito che resta scientificamente organizzato e plasmato attorno ad un modello ormai del tutto logorato ed improponibile.

Ma per centrare questi obiettivi sono necessari alcuni ingredienti di fondo. Dal coraggio alla coerenza, da una precisa determinazione alla volontà di ricreare un nuovo modello del partito. Frutto di un progetto politico da mettere in campo e non il prodotto dell’ennesimo maquillage di cavilli e di norme organizzativistiche. In discussione, infatti, non c’è solo il futuro del più grande partito della sinistra italiana ma anche, e soprattutto, il cambiamento e il rinnovamento della intera politica italiana.