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venerdì, Marzo 14, 2025
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Il ritorno della politica: culture e classi dirigenti per una democrazia rinnovata.

Dopo anni di populismo dilagante, s’intravede uno scenario nuovo: partiti radicati, classi dirigenti rappresentative e culture politiche solide, elementi indispensabili per rafforzare la democrazia e superare tecnocrazia e trasformismo.

Forse riusciamo ad intravedere all’orizzonte qualche segnale di incoraggiamento e di inversione di rotta. Ovvero, un potenziale ritorno di quella politica che gli anni del populismo imperante e straripante ha sostanzialmente cancellato e rimosso. Ossia, partiti popolari, democratici e organizzati; classi dirigenti autorevoli, qualificate e rappresentative; culture politiche di riferimento e, soprattutto, una progettualità politica che non era solo il frutto della improvvisazione e della casualità. Insomma, tasselli di un mosaico che contribuivano, seppur con alti e bassi com’è naturale che sia, a qualificare la politica e la sua ‘mission’ concreta nella società.

Ora, almeno così pare, siamo nuovamente entrati in una stagione dove le storiche categorie del passato – e cioè la destra, la sinistra e il centro – ridiventano protagoniste nel confronto politico quotidiano. Certo, non possiamo fare confronti impropri e del tutto illusori con le dinamiche concrete della prima repubblica ma è indubbio che quando ritorna un dibattito serio e autorevole la sirena populista, demagogica, anti politica e qualunquista ha qualche difficoltà in più a farsi largo. Penso, nello specifico, a tutto ciò che ha caratterizzato il ruolo e la mission dei 5 stelle nel nostro paese in questi ultimi anni e, soprattutto, nel nostro sistema politico.

Ma le tre condizioni qualificanti ed indispensabili che sono necessarie per ridare qualità e sostanza alla politica contemporanea sono, ancora una volta, avere partiti democratici, radicati nel territorio ed espressione di pezzi della società; classi dirigenti che ricavano la loro legittimazione democratica dal basso e che non vengono aristocraticamente calate o cooptate dall’alto; e, infine, la riscoperta e la riattualizzazione di quelle culture che sono, e restano, fondamentali non solo per ragioni storiche ma anche, e soprattutto, per rafforzare e consolidare la qualità della nostra democrazia. Sotto questo versante il dibattito che si è aperto nell’area di Centro del nostro paese – che, come ovvio e scontato, non è riconducibile solo e soltanto a ciò che avviene nel Pd e dintorni – è di grande importanza. E questo non solo perché nel nostro paese, al di là di qualsiasi opinione, si continua “a vincere al centro “ e, sopratutto, “a governare dal centro” come diceva sempre uno degli ultimi maestri del cattolicesimo democratico italiano, Guido Bodrato. Ma perchè “la politica di centro” – per dirla con uno slogan della migliore cultura democratico cristiana – più che non la riedizione di un ennesimo partito di centro, continua ad essere di straordinaria attualità e modernità anche nella società contemporanea. “Una politica di centro”, tra l’altro, che non può essere appaltata a chi è culturalmente e politicamente estraneo ed esterno rispetto a quell’indole e a quel riferimento ideale. Ora, però, e al di là del dibattito sul futuro Centro nella politica italiana, è indubbio che la stessa prassi trasformistica ed opportunistica è destinata ad indebolirsi se non addirittura a sparire di fronte ad un ipotetico e del tutto possibile ritorno della politica. Come, al contempo, la stessa scorciatoia tecnocratica non dovrebbe più avere vita lunga se l’iniziativa politica prende il sopravvento e il tutto non viene più appaltato ai soliti e notissimi “salvatori della patria” buoni per tutte le stagioni.

Ecco perché, forse, siamo alla vigilia di una nuova fase politica nella storia democratica del nostro paese. E non può che essere incoraggiata da tutti coloro che credono nella democrazia dei partiti, nella centralità delle culture politiche e nel ruolo, sempre fondamentale e necessario, delle classi dirigenti.