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venerdì, Marzo 14, 2025
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Il tecnognosticismo, la morte un QR code per i defunti.

L’uomo ha una sua dimensione che non può essere ultraterrena se non per coloro armati di fede in un Dio che ne assicuri la vita dopo la morte.

Nell’ultima parte del saggio a titolo: “L’aldilà algoritmico e la metempsicosi digitale: in cosa sperare con l’avvento dell’IA”, che Massimo Naro ha pubblicato su “Orientamenti pastorali”, l’autore richiama la nostra attenzione sul tema del tecnognosticismo già evidenziato da Erik Davis in un suo scritto del 1998.

Si tratta di un testo che va letto nella sua interezza e che sollecita concedersi un tempo di riflessione.

Se si fosse ben compreso, l’IA consentirebbe la traduzione e ancor meglio l’oltrepassamento dalla condizione corporea in un dispositivo informatico. Se ne guadagnerebbe l’immortalità dell’anima attraverso quella della mente, una specie di eterno ribadirsi, di reincarnazione, dice esattamente Naro, in un ambiente informatico continuamente alimentato da opportuni algoritmi a vivificarlo con costanti adeguamenti alla realtà presente.

Libero di volare, senza la zavorra del corpo, la mente dell’uomo potrebbe così scambiare informazioni, relazionarsi con altro prossimo, definendosi in questo modo, secondo Marshall McLuhan, lo stato di «un facsimile razionalistico del corpo mistico».

Se si fosse centrato il ragionamento dell’autore, viene da pensare che l’algoritmo potrebbe dunque, non solo in via potenziale, continuamente rianimare un pensiero in modo che possa aggiornarsi e non suscitare noia a se stesso, ai suoi interlocutori nel cyberspazio ed a quelli ancora in carne ed ossa.

Si tratterebbe in ogni caso di una “extension” della propria persona, una protesi funzionante malgrado sia senza più un corpo a supporto; saremmo in presenza di un corpo monco, occorre dirlo, della sua proposizione principale. Assisteremmo ad uno slabbramento dell’originaria natura per addivenirne ad un’altra.

A detta di Naro, il pericolo incombente è che l’uomo possa oltretutto diventare un soggetto meramente passivo, non più autonomo, “da soggetto conoscente a oggetto riconosciuto, da volto personale a faccia identificata, da misura di tutte le cose (per dirla con Protagora) a cosa misurata”.

“Così messe le cose questa «identità impersonale» potrebbe smarrire la sua capacità relazionale e pertanto di restare irreale (più che virtuale)”.

Al riguardo si potrebbe incautamente tentare il commento all’interessante e stimolante pensiero di Naro, constatando la presenza di due elementi contraddittori nella natura umana.

Si tratta di una possibile condanna ad essere perpetuati, anche se non lo si desiderasse, dal momento della morte od in una fase successiva.

L’uomo, dopo la morte fisica, ad un certo punto dell’esperienza virtuale, potrebbe dichiarare la propria volontà di estinguersi e non partecipare più al suo processo di reiterazione in un mondo che non riconosce ormai come affine, manifestando in corso d’opera insomma una sua caduta di interesse a marcare il cartellino di presenza.

Non è chiaro come possa, “dopo”, esprimere le proprie intenzioni al riguardo. Il suo destino sarebbe affidato al click dei posteri che potrebbe a sua volta aprire questioni etiche di non poco conto su chi abbia effettiva competenza a procedere. Al contrario la mia personalità informatica potrebbe reclamare, pretendendo di non essere più cancellata, ciò a tutto dispetto di chi dopo secoli ne giudicherebbe insensata l’alimentazione. Questo anche a dispetto del testamento in cui si sia disposto di essere comunque cancellato, dalla propria dimensione informatica, dopo un certo numero di anni.

Un altro punto che potrebbe meritare evidenza è l’apprensione verso la dimenticanza, quella di non restare cioè nella memoria dei propri “cari “in vita e forse anche oltre quest’ultimi, se ce ne fosse, per questo eccesso, un significato ed una giustificazione.

Di più: quando questi “cari” saranno a loro volta morti, ingrossando anch’essi la schiera dell’ambiente “informatico”, che senso avrebbe rende fruibile e conoscibile la loro relazione a generazioni ormai future? Non se ne violerebbe forse una specie di loro intimità?

Camminando per i cimiteri cominciano a vedersi le prime tombe con un QR code che consente di richiamare foto, parole, episodi della persona defunta. Risponde parimenti alla apprensione dei parenti in vita di avere una memoria sempre attiva e di non precipitare nel drammatico mulinello, nel vortice dell’imbuto del futuro e lasciando nel dimenticatoio i propri defunti.

L’homo thecnicus dovrebbe prendere atto della morte e almeno per i credenti pregustare la resurrezione che sarà.  Lasciare tracce di sé a disposizione di infinite generazioni e pertanto, prevedibilmente, da lì a poco, non essere più seguite da alcuna di esse, se non dalla più immediata alla propria scomparsa, davvero costituirebbe un angoscioso “dimenticatoio”, una inevitabile mancanza di riguardo e di rispetto.

A chi interesserebbe davvero tra 100 o 1000 anni il mio pensiero virtuale? Questa è la risposta con cui confrontarsi e che smonta l’arte sublime di ogni tecnologia. Meglio scomparire o essere dimenticati è il quesito su cui affaccendarsi. La vita di ogni uomo è pari alle pagine di un vocabolario. Nascono continuamente parole nuove ed altre scompaiono per sempre dalla lingua corrente. Non a caso si editano nuove edizioni.

Un archivio che tutto contenesse, nel tempo, non sarebbe consultato più da nessuno, non avrebbe alcuna utilità. Nuove tecnologie avvicenderanno le vecchie che non saranno più fruibili, al pari dei vecchi floppy disc impossibili di utilizzo dai nuovi pc. Lasciamo all’uomo la possibilità di morire, bastando una qualche foto e qualche scritto, su un comodino dei familiari a ricordarne l’affetto e l’amore. Il resto è un affaticarsi, un’inutile resistenza, un far venire meno forze da destinare alla gioia del ricordo piuttosto che alla illusione di una re-esistenza.

L’uomo ha una sua dimensione che non può essere ultraterrena se non per coloro armati di fede in un Dio che ne assicuri la vita dopo la morte. Diversamente si risponda alla domanda del poeta “A chi piace o a chi giova?”. Il futuro ci darà una mano. Inclemente, procederà sistematicamente ad ogni reset, prima ancora che noi si pensi ci appartenga.