Il volo degli Angeli attorno alla grotta di Betlemme

Da quella nottata , negli angeli, nessuna ombra di rimpianto per essere ciò che erano. Non dovevano dedicarsi come gli uomini al lavoro o peggio al peccato da cui per costituzione erano esenti.

Anche dalle parti di Dio le cose sono a volte contorte o perlomeno si muovono nel verso contro corrente per farla franca al destino che, da avverso, vorrebbe scorrere liscio come l’olio. 

Fu compito assegnato all’Angelo Gabriele quello di annunciare a Maria l’inizio di una storia che sarebbe stata letta da molti, mentre molti altri ancora l’avrebbero contestata come menzogna o qualcosa del genere, arricchendola di sfumature fino a perderne la sostanza. 

Era un copione non semplice da digerire soprattutto per il finale drammatico che apriva porte ad una luce che, comunque, dal principio alla fine, sarebbe stata imbrattata di sangue.

Gabriele si traduce in uomo forte di Dio ma al nostro angelo fu prestata solo la voce per far comprendere alla donna quali fossero le intenzioni del Creatore. Per il resto, che avesse le ali o meno, di umano non aveva che una forma, sembianza anch’essa assunta solo per il tempo necessario a portare il suo messaggio, quel tanto per farsi riconoscere ed essere chiaro nelle parole. 

Da quel momento non restarono che pochi mesi, meno di un anno, per disporre tutto come si conviene. Insieme alle sue schiere avrebbe dovuto organizzare ogni cosa nel migliore dei modi. Godeva della fiducia assoluta del suo Padrone che, pur avendo dato una traccia chiara sul da farsi, non aveva però grande sapienza con i dettagli degli uomini ai quali aveva dato vita e per i quali ancor sudava per la loro salvezza. 

Si teneva insomma sulle linee generali lasciando ai suoi fedelissimi Spiriti di mettere a punto lo sviluppo degli andamenti quotidiani, almeno per quanto riguardava i primi tempi. Messo mano al più, le ultime rifiniture erano materia dei suoi angeli più esperti di Lui a chiudere il cerchio del suo disegno, avvezzi com’erano a seguire gli uomini ed i loro affari giorno per giorno. 

Avrebbero dovuto improvvisare all’impronta, inventando soluzioni di volta in volta, a seconda di come si presentavano le circostanze.

A Lui era bastato aver dato principio a tutto. Le cose poi si sarebbero sviluppate secondo un abbrivio fatale, tranne una messa a punto talvolta necessaria da parte dei suoi santi emissari per non andare irreversibilmente troppo fuori strada.

Pochi mesi per organizzare la nascita del Figlio di Dio con il comando di rispettare le regole dell’umiltà. Occorreva uno stile dimesso, rasentando la povertà pur senza eccedere neanche in quella, per non chiamare fuori quelli che storcono il naso appena vedono qualcuno con i cenci addosso. 

Si era in una condizione di necessità. Le locande dove dimorare erano già piene di ospiti arrivati un po’ per prima o in tempo per un ricovero. Giuseppe sarebbe stato disposto a pagare ma non c’era chi prendesse i suoi soldi. 

Gabriele e le sue truppe si erano a lungo interrogati se fosse stato quello il giusto modo di procedere. I fatti dovevano essere giustificati con un minimo di logica umana. Per questo ricorsero ad un censimento che costrinse Giuseppe a Maria a mettersi in viaggio malgrado fosse prossima l’ora del parto. 

Si trattava per Angelo e compagni di calarsi bene nella parte e subito si accorsero che l’impresa era forse superiore alle loro possibilità. Ogni sobbalzo sulla groppa dell’asino era per Maria una stilettata, in anticipo sui dolori che in seguito le avrebbero trafitto il cuore. 

Avrebbero potuto facilmente prendere in braccio Giuseppe e Maria ed il loro asino e portarli in un lampo a Betlemme. Non ci fu nulla di espresso al riguardo ma sentirono che avrebbero dovuto trattenersi da prodigi miracolosi. 

Non dovevano immischiarsi al punto di agevolare lo scorrimento della vicenda e contemporaneamente dovevano vigilare che tutto andasse grosso modo secondo previsto. Era questione di una misura che generava in continuazione crisi continue nei loro cuori o in quello che loro avevano per registrare i sentimenti. 

Trattenersi e trattare sono termini che si lambiscono, qualche volta accavallandosi, mai rinunciando alla loro unicità. Questa volta era richiesto uno sforzo maggiore. Avrebbero dovuto presidiare l’evento mantenendo un fare impassibile, non un velo di aria o di luce che potesse segnare la loro presenza. 

Giuseppe e Maria da subito avrebbero dovuto imparare a cavarsela da soli senza l’aiuto di un cielo che non poteva fare sconti o favoritismi, nessun olio negli ingranaggi per farli scorrere meglio, nessun unguento a lenire le ferite che seguiranno.

Finalmente la Santa Famiglia era giunta a destinazione. Il posto era di quelli dimessi, da regalare insolitamente speranza per il futuro. Peggio di così non avrebbe più potuto essere. Erano su un trampolino pronti per un decollo, comunque più radioso di come ora erano seduti su di un mucchio di paglia.

Maria prese ad agitarsi. Il bambino che aveva in grembo premeva dalla voglia di affacciarsi al mondo. Prima avrebbe cominciato e più presto avrebbe finito la missione assegnata. 

Ciò che è insopportabile del dolore è che sia sopportabile, così portandoti al limite estremo della tolleranza. Non hai diritto a lamentarti perché ti dicono che è cucito a pennello per le tue misure e quindi non resta che consumarsi dal patimento in attesa che tutto finisca. 

Gli angeli sembra che, tradotti talvolta in carne ed ossa per essere visibili, abbiano parvenza di uomini e non di donne. Di doglie e di parti non ne sanno nulla. Sentivano la voglia di inventare qualcosa per essere di aiuto a Maria ma non gli era chiaro come fare. Loro non erano nati e non sarebbero morti. Né genitori né funerali. Semplicemente erano chiamati ad essere, senza un principio da ricordare ed una fine da temere. Punto e basta. 

Anche essere presenti alla scena non era compito loro. Non si doveva violare una intimità che riguarda solo una donna imminente ad essere madre e che nessuno ha il diritto di assistere per poi essere raccontata magari ai quattro venti. 

Solo per quella volta, unica eccezione, Satana era stato rinchiuso da qualche parte per non rovinare il compimento di salvezza.

Anche Giuseppe rispettava l’istintiva consegna di pudicizia con una distanza da mantenere. Così gli angeli si decisero di lasciarli soli e sperimentarono eccezionalmente essere disgiunti dai loro assistiti. Non erano abituati a quella libertà. Starsene per loro conto era una condizione del tutto inusuale alla quale era difficile adattarsi. 

Erano servi e per sempre lo sarebbero stati di un padrone che amavano oltre ogni possibile cuore. Non chiedevano di essere riscattati e neppure di avere qualche grammo di pelle e di quei sentimenti propri degli uomini. 

Se un giorno Dio avesse cambiato idea liberandoli dall’amore che li consumava per loro sarebbe stata probabilmente la fine. Quando Dio gli ricordava che gli era in odio sia la servitù che la schiavitù, chiamandoli amici, loro, opponendosi, si sgolavano di luce. Dicevano che gli stavano bene le cose in quel modo e pregavano non ci fosse alcun cambiamento. 

Solo un rammarico si portavano appresso e di cui neanche tra di essi si faceva mai cenno. Li opprimeva un certo senso di estraneità ovunque fossero. Potevano sperare di ispirare gli uomini ma, anche quando vi riuscivano, non avrebbero mai fatto parte della loro cerchia. 

Vicini al loro padrone sentivano di essere incompiuti, una sorta di anello mancante tra gli uomini e Dio con il dramma di essere loro stessi carenti di qualcosa. Non erano uomini, non avevano sesso e carne e neppure erano persona come invece il loro Dio. Erano puri Spiriti, un insieme di un più ed un meno con cui ogni giorno dovevano adattarsi a fare i conti. 

Il bambino strepitò anticipando che avrebbero dovuto al più presto abituarsi alla sua voce che almeno per tre anni avrebbe tuonato come non mai. Bastò quel pianto per ridare serenità alla scena. Il peggio era passato. 

Maria si era già lasciata alle spalle le sofferenze del parto in un esercizio di impossibile dimenticanza; anche questa fatica le sarebbe tornata utile quando le avrebbero ucciso il Figlio e le sarebbe toccato sopravvivere per suo volere almeno fino alla sua Resurrezione. 

Giuseppe aveva smesso di sentirsi impotente. Ora cominciava finalmente la sua parte di padre senza indicazioni dall’alto. Stava a lui soltanto mandare avanti la baracca mettendo in mostra quello che anche gli uomini possono fare senza necessariamente sfigurare a confronto dell’Onnipotente.

Gli angeli erano fuori dalla grotta ad una distanza che sembrava ideale per essere presenti, comunque non interferendo. Si divisero i compiti. Un gruppo di essi era fermo a presidio della stalla dove il Figlio di Dio avrebbe installato per il futuro l’amore tra gli uomini. 

Gli altri si sparsero per la zona circostante spingendosi fuori dal villaggio fino ai pascoli dove i pastori dimoravano insieme alle loro greggi. Evidentemente, quando tutto accadde, doveva essere giorno perché la luce non voleva mancare a godersi lo spettacolo e volle trovarne per sé una nuova fonte alla quale caricarsi. 

Gli angeli non si accontentarono di un approccio di prima mano, un invito composto a rendere omaggio al Signore di tutte le genti e di tutte le cose. Avevano a che fare con pastori attaccati più alle loro bestie che alla loro stessa vita. Assai poco convinti dell’annuncio che gli era stato rivolto, decisero di mettersi in rotta per Betlemme per non stare a sentire quei pazzi sconosciuti che incitavano a mettersi in marcia per non perdere un evento irripetibile. 

Si mossero per come potevano, con la velocità occorrente per far camminare a passo ordinato pecore e montoni, un andamento coerente alla incredulità della notizia che li rallentava per l’impossibilità di un briciolo di verità. 

Qualcuno di loro invece affrettò il passo per il gusto di mettere a nudo l’esortazione di quegli invasati che li pungolavano come fossero loro le bestie da condurre al sicuro dopo le ore di pascolo. 

Altri angeli andarono incontro ai Magi. Questi, muniti di robusta scienza, già sapevano come orientarsi seguendo il segno di una stella. Mancava loro un ultimo decisivo particolare per raggiungere il posto dove Maria e Giuseppe avevano messo in piedi l’animazione tipica che serpeggia attorno ad ogni nascita. 

I Magi, malgrado le notizie che avevano in dote, non sapevano con certezza a cosa andare incontro e la visione degli angeli li mise inizialmente in sospetto. Poteva essere un trucco di Erode per sviarli e condurli dalla sua parte, volendo lui, a dispetto degli accordi presi, provvedere direttamente a riaggiustare il verso della storia. Avrebbe da subito fatto fuori un neonato che strillava da rivoluzione. I Magi accettarono il rischio ed arrivarono anche loro alla meta. 

Confusi tra i pastori e qualche abitante del posto, si sentirono da principio fuori posto rispetto alla situazione in cui erano caduti. Anche i loro cammelli poco avevano a che fare con un bue ed un asino. Anche gli animali sanno guardarsi con diffidenza. 

Si andò verso sera, il tempo che chiama al silenzio. I bambini e gli animali e tutti gli innocenti del mondo a quell’ora sono soliti dormire. Gli adulti tendono a tirare più a tardi mettendo parole a commento del giorno, ma quella sera invece tacquero per non disturbare il neonato che finalmente aveva preso sonno. Dunque, stettero tutti lì, raccolti alla corte di una nuova vita, forse maggiormente assorti al pensiero di che altro ci fosse da fare già al domani venturo. 

Una adorazione non può mai spingersi oltre un certo tempo, i doveri a cui far fronte hanno l’orologio dello stomaco da riempire più che dello spirito da nutrire.

Gli angeli erano in attesa di nuovi comandi che non arrivavano. Sentivano il bisogno di fare ancora qualcosa. Erano ancora pieni di eccitazione. Per primi facevano fatica ad essere fermi, assorbiti soltanto nella contemplazione del loro Signore. Avrebbero dovuto abituarsi a non muovere altri passi per realizzare il piano di Dio. 

Da quel momento in poi gli era richiesto di vegliare ed adorare. Per questo avrebbero desiderato avere fattezze umane e prendere in braccio il bambino per cullarlo con melodie che solo in Paradiso sanno cantare. Maria forse glielo avrebbe concesso e forse accadde mentre anche lei riposava insieme a Giuseppe.

Il giorno dopo, a mistero svelato, tutti si sarebbero rimessi in cammino. I pastori verso i campi, ancora interrogandosi sull’accaduto, con la sorpresa di essere stati spalla a spalla con gente nobile come i Magi. 

Questi ultimi avevano aggiunto alla loro scienza la fede e la verità della quale erano sprovvisti. Maria e Giuseppe pian piano si organizzarono per tornare verso Nazareth sconvolti come lo è ogni genitore appena divenuto tale. I nostri angeli scoppiarono di gioia. Così credevano. 

Un angelo instancabile, forse Gabriele, di quelli eternamente vigili e che non si fidano del tutto degli uomini, scrollò Giuseppe dal suo sonno intimandogli di scappare via da Betlemme e correre in riparo verso l’Egitto, terra di esodi di entrata e di uscita. Avrebbe annunziato lui il tempo del ritorno in tutta sicurezza.

Di lì a poco Erode sterminò tutti i nati sotto i due anni a Betlemme e dintorni. Le strade puzzavano di pozzanghere di sangue e i diavoli ci sguazzavano dentro come scugnizzi impazziti di gioia. 

Malgrado tutto, Gesù era nato e per il momento salvo. La sua vita sarebbe stata zeppa di seguaci e di perseguitati. Da allora, negli angeli, nessuna ombra di rimpianto per essere ciò che erano. Non dovevano dedicarsi come gli uomini al lavoro o peggio al peccato da cui per costituzione erano esenti. 

Gli restava di dare una occhiata sulla terra per evitare che il male non corresse troppo a briglie sciolte. Appena liberi, di volta in volta si rinfrancavano potendo essere vicini al Signore, a Maria e Giuseppe come neanche i santi mai avrebbero potuto.

Era Natale, il primo dell’infinito.