“Maggioranza Ursula” o “maggioranza Giorgia” in Europa? La proposta di Salvini di una alleanza simile a quella che sostiene il governo Meloni, per il governo delle istituzioni europee appare non solo da respingere sul piano politico ma anche fuorviante nel metodo. Perché se è vero che fa parte della dialettica politica usare le questioni internazionali in funzione della politica interna, è altrettanto vero che un dibattito che si limitasse ad affrontare la scadenza delle elezioni europee del prossimo anno solo in termini di giochi di alleanze, finirebbe per interessare i soli addetti ai lavori e risulterebbe inadeguato rispetto ai nodi che l’Europa ha da sciogliere, decisivi per il proprio futuro.
Per questo, mentre la proposta del segretario della Lega merita di rivere un chiaro “no” dal centro che si riconosce nel Ppe e nelle altre famiglie politiche alternative alla destra estrema, questo “no” dev’essere accompagnato da una visione del futuro dell’Europa e da proposte che tolgano argomenti al voto di protesta (e alla forte astensione). Altrimenti ci si limiterebbe a una conventio ad excludendum con il rischio addirittura di fare aumentare il consenso alle forze da escludere.
Il ruolo dei Popolari, a mio avviso, dovrebbe caratterizzarsi nel dare un contributo per portare il centro ad affrontare alla radice i problemi dell’Europa. Problemi che si possono ricondurre a due temi di fondo. Uno riguarda la tenuta del sistema economico e sociale in prospettiva, l’altro il ruolo nel mondo. Il sistema economico europeo si trova a dover affrontare almeno tre grandi sfide insieme: l’instabilità finanziaria globale che limita le scelte di politica monetaria, mettendole in conflitto con lo sviluppo.
La necessità di impegnarsi nel sostegno all’Ucraina, fino alla sua vittoria, affrontando ciò che questo implica: fine dell’energia a basso costo per l’industria tedesca, aumento delle spese per la difesa, inflazione da guerra che s’aggiunge alle altre cause. La questione ambientale, dove l’opzione della neutralità tecnologica rispetto ai sistemi che promettono un minore impatto ambientale, si sta imponendo alla prova delle prestazioni offerte da alcuni fra questi sistemi che hanno ricevuto molti incentivi senza produrre i risultati attesi. Il tutto in un contesto in cui l’alta inflazione con crescita economica debole o assente, rende i ceti popolari più poveri, ponendo interrogativi crescenti sull’impatto sociale dei suddetti fenomeni.
Le risposte si devono trovare, tenendo conto del fatto che per effetto della guerra l’Unione Europea sembra esser passata dalla guida tedesca alla guida Nato, quasi come negli anni novanta quando le preoccupazioni per l’allargamento dell’alleanza militare finirono per condizionare i tempi dell’allargamento dell’Ue.
In questa prospettiva credo emerga abbastanza chiaramente che la soluzione a molti e fondamentali problemi interni dell’Ue passa dalla capacità dell’Europa di discutere il proprio ruolo nel mondo multipolare che sta nascendo. Innanzitutto con i nostri alleati anglosassoni (a cui riconosciamo la guida dell’Occidente, i soli, gli Stati Uniti, che possono prendere le decisioni cruciali riguardo al futuro dell’Europa e delle quali l’Europa ha un gran bisogno), nelle istituzioni comuni, nel rapporti bilaterali, spiegando loro che anche il punto – i punti – di vista europeo -continental- mediterraneo conta e che prima o poi potrebbe emergere anche un limite oggettivo di sostenibilità sociale ed economica nell’anteporre gli interessi dell’alleanza atlantica a quelli europei, nonostante l’impegno profuso per assicurarlo. Occorre adoperarsi per un’Europa capace di persuadere gli Alleati che serve un cambio di strategia nell’alleanza atlantica.
Tutta la strategia, intrapresa negli ultimi trent’anni, di avanzamento per via militare delle posizioni occidentali nel Medio Oriente e nell’Asia sud-occidentale non ha dato i risultati attesi: anche Iraq e Afghanistan si stanno integrando nel sistema asiatico anziché in quello occidentale. Questa oggettiva constatazione suffraga la tesi che l’affermarsi dell’Eurasia come la più grande area di interscambio culturale ed economico del mondo appare inarrestabile. Le guerre, passate e presenti, risultano perdenti rispetto allo scopo di impedire all’Europa di essere coinvolta in un’integrazione euroasiatica che non è affatto sinonimo di predominio cinese quanto piuttosto banco di prova per nuove infrastrutture plurali, non a senso unico, dove i grandi attori (l’Occidente, la Cina, la Russia, l’India e il resto dell’Asia meridionale e indo-pacifica) possono cimentarsi in una concorrenza pacifica.
La condizione per risolvere le questioni interne dell’Ue è che essa sappia, e decida di, presentarsi in modo rassicurante agli Stati Uniti come ponte verso l’Asia, anziché come muro e baluardo a presidio di una anacronistica e non più possibile divisione di mondi.
E più in generale che l’Ue definisca un proprio ruolo in un mondo multipolare dove tutti gli stati sono alla ricerca di accordi e collaborazioni internazionali per realizzare gli obiettivi dell’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile e per rafforzare il proprio sistema sociale ed economico. Bisogna recuperare il ritardo accumulato. A cominciare dal bacino mediterraneo, dove il problema principale non può esser considerato il controllo dell’immigrazione ma l’insufficiente coinvolgimento della sponda Sud. Occorrerà pur domandarsi come mai quasi tutti i Paesi mediterranei non europei stiano guardando più ai BRICS che all’Ue, eccetto che verso alcuni Paesi membri come l’Italia.
Saranno la forza e l’adeguatezza dei programmi, il coraggio del cambiamento a sancire i confini della nuova maggioranza che governerà l’Europa sulla base del prossimo voto per il parlamento europeo più che mere formule di alleanze necessarie ma da sole insufficienti a garantire le politiche e la strategia di cui l’Europa necessita