Macron sente Putin al telefono e stasera parlerà con il leader ucraino Zelensky. La via d’uscita diplomatica alla crisi ucraina passa per l’Europa?
Paolo Magri
È ancora presto per dirlo, ma l’escalation militare lungo il confine orientale dell’Ucraina potrebbe trovare una soluzione diplomatica anche grazie agli sforzi europei. Dopo giorni febbrili di colloqui e incontri, oggi il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto un colloquio telefonico di circa un’ora con il suo omologo russo Vladimir Putin e stasera – fa sapere in una nota l’Eliseo – parlerà con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Se nulla, al momento, è filtrato sui contenuti dei colloqui, è fuor di dubbio che Macron, presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europa, si sia fatto portavoce di una mediazione – sostenuta anche da Italia e Germania – per cercare di disinnescare la crisi ucraina e le tensioni crescenti tra Mosca e Washington. Quest’ultimo tema sarà sul tavolo anche nell’incontro che il prossimo 7 febbraio il cancelliere tedesco Olaf Scholz avrà con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden a Washington. L’Europa stretta tra due fuochi, insomma, cerca una via d’uscita ad un conflitto che non conviene a nessuno, senza che nessuno ci perda la faccia. Nelle scorse settimane molto si era detto dell’assenza della Ue ai tavoli decisivi per le sorti della sua stessa sicurezza. Se Putin “sa perfettamente come giocare sulle divisioni tra gli europei”, come osserva un editoriale di Le Monde, dargli l’opportunità di farlo non invitando la Ue ai colloqui stavolta non ha giocato in favore di nessuno, nemmeno degli Stati Uniti. “Ma è anche a Washington che i 27 devono mandare un messaggio chiaro, unito e deciso – prosegue il quotidiano francese – Il futuro del continente europeo non può essere negoziato senza la Ue”.
La crisi vista da Kiev
Che lo scontro tra Mosca e Washington vada oltre il loro interesse nazionale lo hanno capito anche gli ucraini, che da giorni esortano tutti – americani compresi – ad abbassare i toni, avvertendo esplicitamente e persino in contraddizione con quanto sostenuto dagli alleati che un’invasione di terra da parte dei russi “non è imminente”. Non preoccupatevi, dormite sereni, non c’è bisogno di tenere le valigie pronte sotto il letto”, ha detto il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov intervenendo al parlamento di Kiev mentre il presidente Zelensky ha addirittura criticato la decisione di alcuni paesi alleati – tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Germania e Canada – di ritirare parte del loro corpo diplomatico come “un’esagerazione che non riflette l’imminenza di un attacco”. Ciononostante, il presidente americano Biden è tornato a ribadire al suo omologo ucraino “la chiara possibilità che la Russia possa invadere l’Ucraina a metà febbraio”. Secondo la Cnn, “la frustrazione a Kiev è aumentata man mano che la retorica statunitense contribuiva alla corsa alla svalutazione della moneta nazionale e a indebolire l’economia”, scoraggiando gli investitori e “provocando pericolose brecce di instabilità politica”.
Il dilemma di Ankara
Anche il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, cerca di ritagliarsi un ruolo di mediatore nella crisi. Putin ha accettato un suo invito ad Ankara e Erdogan ha fatto sapere che vedrà nei prossimi giorni, separatamente, anche Zelensky. “La Russia non sarebbe saggia ad attaccare, e in quel caso la Turchia agirebbe di conseguenza”, ha detto il leader della Turchia, membro Nato e, dopo gli Stati Uniti, secondo esercito dell’Alleanza per numero di uomini. Ankara ha ottimi rapporti con l’Ucraina, ma è anche un cliente dell’industria militare russa e con il Cremlino è presente in alcuni fronti caldi, dalla Siria alla Libia, fino al Nagorno-Karabakh. È difficile pensare che il tentativo conduca davvero a un risultato, ma è un sforzo che Erdogan sa di dover fare: in caso di conflitto, la Turchia sarebbe chiamata in causa e si troverebbe a dover scegliere da che parte stare: “Il sostegno alla Nato nella regione del Mar Nero ha più volte sollevato interrogativi a Mosca sull’impegno di Ankara nei confronti della Convenzione di Montreux del 1936 – spiega il quotidiano Al Monitor – La convenzione regola il traffico marittimo attraverso lo stretto turco del Bosforo e dei Dardanelli e impone rigide limitazioni alle navi militari degli stati non costieri, limitando di fatto l’accesso delle forze navali statunitensi e Nato al Mar Nero”.
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