Internet per la gente. Il Tascabile della Treccani affronta il tema con Tarnoff.

Che forma potrebbe avere un Internet svincolato dagli imperativi del mercato? Un’intervista a Ben Tarnoff.

Lo scorso ottobre, apparendo prima di fronte alle telecamere di 60 Minutes e poi di fronte ai legislatori di mezzo mondo, l’ex dipendente di Facebook Frances Haugen ha ribadito un concetto evidente a chiunque si interessasse già del tema, ma che raramente era stato esplicitato nei luoghi di potere politici. Tutte le esternalità negative dei social network di proprietà di Mark Zuckerberg che da anni venivano denunciate da attivisti, giornalisti e utenti comuni, diceva in sostanza Haugen, non erano falle di sicurezza involontarie, su cui l’azienda non aveva alcun potere. Erano, piuttosto, la conseguenza diretta del business model di una multinazionale che sceglieva di dare priorità ai profitti rispetto alla sicurezza dei propri milioni di utenti.

 

Ad adottare un atteggiamento cinico, si potrebbe dire che non ci sia da meravigliarsi: le aziende, soprattutto di questa portata, perdono spesso di vista qualsiasi relazione tra guadagno e morale. Eppure, nella narrazione tecnoutopica di cui siamo imbibiti fin dagli anni Settanta (persino nel nostro Paese, figuriamoci oltreoceano) Internet doveva essere diverso. Internet doveva connettere l’umanità, eliminare la scarsità, universalizzare la conoscenza, guidarci verso magnifiche sorti e progressive – benché fosse stato inventato a fini militari. E benché, almeno dagli anni Novanta, sia stato privatizzato fino a renderlo irriconoscibile.

 

Certo, già nei primi anni di Facebook – quando quasi sembrava che l’azienda offrisse i suoi servizi sulla base di un  altruistico slancio ad accorciare gli spazi, riallacciare legami, unire le persone, e non perché ogni singolo, minuscolo dato creato dal bisogno di socialità di milioni di utenti potesse essere condiviso a peso d’oro con una miriade di terze parti – girava qualche meme dall’estetica vagamente cospiratoria che ti ricordava che se non stai pagando per un prodotto è perché il prodotto sei tu. Ma c’erano le carote da raccogliere su Farmville per riempire le ore vuote del pomeriggio. C’era l’improvvisa possibilità di ritrovare la tua cotta delle elementari con una velocissima ricerca, o di stringere amicizia virtualmente con qualcuno a cui non avresti mai avuto il coraggio di presentarti offline. C’era la convinzione che, in Paesi che erano stati autoritari per decenni, quello stesso strumento che tu usavi per raccogliere carote e flirtare a distanza di sicurezza potesse essere usato per cambiare tutto, per sempre.

 

Due anni dopo la Primavera Araba, Edward Snowden lancia l’allarme sulle attività di sorveglianza di massa perpetrate dalla National Security Agency statunitense, che passa anche attraverso Internet. È l’inizio di una valanga di inchieste, rivelazioni, ricerche accademiche e scandali che, da Cambridge Analytica ai Facebook Papers, evidenziano con urgenza crescente cosa significhi essere davvero tu, il prodotto.

 

Qualcuno cancella il proprio profilo Facebook, benché, come scrive Paris Marx, “le azioni individuali non genereranno mai spazi di emancipazione online”. Qualcuno scrive a Clearview AI per assicurarsi che la propria faccia non sia all’interno dei loro inquietanti database. Qualcuno, la maggior parte, pubblica un post in cui si lamenta di quanto siano pessimi – moralmente, politicamente, socialmente, sì, ma anche in semplici termini del servizio offerto – gli spazi in cui continuano a passare ore e ore della propria giornata. 3,6 miliardi di persone continuano a usare i servizi di Meta, nonostante tutto.

 

A livello politico, qualcosa sembra muoversi, anche se con una lentezza e una confusione che nulla possono contro un settore il cui motto è stato a lungo “muoviti veloce e spacca le cose”. Ma, al di là della fissazione conservatrice per una moderazione dei contenuti considerata tirannica, quella che sembra mancare è la capacità di immaginare un futuro diverso per Internet, radicalmente slegato dalle logiche del profitto.

 

Da anni ormai il giornalista statunitense Ben Tarnoff sta riflettendo su questo futuro da una prospettiva dichiaratamente socialista. Il risultato è Internet for the people, in uscita il 14 giugno per Verso. Al suo interno, con un’immediatezza rara, Tarnoff non si ferma a constatare che Internet, così com’è oggi, non funziona. Invece, partendo sempre da amari appunti storici, il libro prima racconta come Internet sia stato privatizzato ad ogni livello – dai cavi sottomarini agli spazi digitali, passando per i provider che controllano l’accesso a un bene ormai necessario per lavorare, comunicare, informarsi, studiare – prima di identificare come questo processo abbia generato le crisi che ci troviamo ad affrontare oggi. Poi, ad ogni livello, tratteggia la possibilità di alternative non utopiche. Quello che ne emerge è un esercizio critico di immaginazione e un appello a rimboccarsi le maniche – come programmatori, designer, ricercatori, politici, abitanti del web – per creare spazi di effettiva partecipazione democratica che soppiantino i walled garden in cui ci muoviamo oggi.

 

Segue intervista 

https://www.iltascabile.com/societa/internet-per-gente-tarnoff/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=pem