Khaled, cittadino italiano, rinchiuso nel carcere israeliano di Petah Tiqwa

L’ingiustificata detenzione presso uno Stato straniero di un cittadino italiano farebbe apparire scontata una reazione di Palazzo Chigi e della Farnesina a difesa dei diritti del nostro connazionale. Ed invece il nulla.

“Se fossi nato in Palestina sarei stato un terrorista”. Non è una frase di un pericoloso estremista ma di Giulio Andreotti. Molti sostengono che le sue posizioni sulla questione palestinese, sicuramente poco gradite a Washington e alle lobby israeliane, siano state la vera causa della sua mancata ascesa al Quirinale. Non sappiamo se sia andata veramente così. Sta di fatto che Andreotti non ha mai disdegnato di dire la sua sulla politica estera e ha sempre avuto il coraggio di esprimere le sue posizioni garantendo con dignità il ruolo internazionale del Governo italiano. 

Purtroppo non possiamo dire lo stesso della Meloni: dinanzi ad una situazione che colpisce un nostro connazionale, sta preferendo la strada del silenzio. La vicenda ancora una volta riguarda la Palestina e in particolare un cittadino italo palestinese, Khaled El Qaisi, traduttore e studente alla Sapienza, che il 31 agosto 2023, di ritorno insieme alla moglie e al figlio di 4 anni da una vacanza nella sua terra di origine, si è visto fermare dai servizi di sicurezza israeliani. Da allora Khaled è detenuto in un carcere israeliano senza che ancora sia stata formulata nei suoi confronti alcuna accusa e con udienze di rinvio che si susseguono di settimana in settimana. 

Una vicenda che ricorda tanto quella di Patrick Zaki ma con due differenze: lì lo stato coinvolto era l’Egitto e Zaki non era un cittadino italiano. Stavolta lo stato coinvolto è Israele e Khaled è un cittadino italiano. E proprio questa ingiustificata detenzione presso uno Stato straniero di un cittadino italiano farebbe apparire scontata una reazione di Palazzo Chigi e della Farnesina a difesa dei diritti del nostro connazionale. Ed invece il nulla. Non un comunicato, non una ferma presa di posizione diplomatica ma il silenzio. Un silenzio purtroppo fatto proprio dalla stampa italiana che alla vicenda ha dedicato poche righe come se Khaled, colpevole di essere figlio di mamma italiana ma di padre palestinese, fosse un cittadino di serie B.

Khaled si trova nel carcere di Petah Tiqwa una struttura destinata alla detenzione di chi è sotto indagine, nota per i metodi illegali ed intimidatori utilizzati per estorcere dichiarazioni. Pare sia stato interrogato più volte senza ovviamente la presenza del difensore e anche i beni di prima necessità consegnati alla struttura carceraria dal console italiano gli sono stati privati. Nel sistema israeliano non vi sono le garanzie proprie degli Stati occidentali: nessuna accusa formalmente rivolta all’imputato, nessuna assistenza del difensore, in pratica una detenzione illegittima senza che il detenuto ne conosca le ragioni. 

La prossima udienza è stata fissata per il 4 ottobre. Fino ad ora Tajani si è limitato a dire che l’Italia non può interferire su una vicenda giudiziaria di un altro Paese. Una posizione che si commenta da sé e che mostra la totale inadeguatezza di questa classe politica preoccupata di non disturbare gli alleati anche dinanzi a violazioni di diritti umani ai danni di un cittadino italiano. L’auspicio è che la società civile e i mass media facciano pressioni sul governo nazionale perché prenda posizione, perché abbia il coraggio di difendere un cittadino italiano e magari rimettendo al centro del dibattito internazionale la questione palestinese, la cui soluzione non può che essere quella dei due Stati. Forse non ci sarà il Governo ma facciamo modo che Khaled, il nostro connazionale, non sia solo.