La classe dirigente che sul territorio non c’è

Inizia nei comuni l’impoverimento della democrazia. Le liste civiche, per loro stessa natura, non possono determinare il movimento che può dare origine ad una vera classe dirigente.

Mentre siamo tutti protesi a vedere chi saranno i candidati che i partiti schiereranno alle prossime elezioni per il Parlamento europeo, le elezioni amministrative che si svolgono in piccoli e medi comuni (3.500) mostrano con evidenza come la classe dirigente politica nel paese sia completamente scomparsa. 

La colpa di questo deserto va ricercata in una norma elettorale nata per contrastare il predominio indiscusso dei partiti politici nella scelta dei candidati tra i funzionari interni, amici e conoscenti, e per dare voce a quella base della cittadinanza che per 40 anni era stata esclusa nel governo della propria città. Cosi sono nate le liste civiche composte da cittadini che portarono la loro esperienza professionale nella vita politica delle città. 

A questa scelta fu dato il nome di “partecipazione attiva”, intendendo che il travaso dalla vita professionale alla vita pubblica fosse un arricchimento per quest’ultima pensando, erroneamente, che governare la vita pubblica di una città fosse per analogia lo stesso che governare una azienda. L’errore metodologico è nel ritenere che nella città valgono le stesse regole dell’azienda, ma basta un solo sostantivo per differenziarle di molto: la democrazia. 

Nella vita aziendale non c’è, invece nella vita pubblica la democrazia c’è e si fa sentire molto forte. Tanto forte che nonostante i tentativi di moltissimi volenterosi che si sono prestati alla vita pubblica, poi gli stessi hanno dovuto mestamente constatare che la democrazia è l’essenza stessa della vita pubblica e ad essa soggiacciono molte decisioni. 

Nel frattempo però, il continuo travaso dal privato al pubblico, proprio perché composto dalla spontaneità e volontà dei singoli e non da una formazione guidata sul governo della cosa pubblica, ha determinato il deserto della classe dirigente locale, fatta di molti singoli ma incapace di diventare qualcosa di più definito di un insieme variegato.

La situazione che avremo di fronte nei piccoli-medi comuni sarà quella che si ripete da 10 anni; il candidato sindaco della civica, pronto per un secondo mandato, con una lista sua di conoscenti che lo supportano, provenienti in massima parte dal mondo delle professioni; e un gruppo di liste di partito, al tempo stesso, che lo appoggiano o lo avversano a seconda dell’orientamento politico presunto (che è un controsenso essendo le civiche a-partitiche). 

Nessuna nuova dirigenza all’orizzonte perché le liste civiche, per loro stessa natura, non possono determinare il movimento che può dare origine ad una vera classe dirigente con le competenze e le conoscenze giuste per guidare una città; dall’altro, poi, perché i partiti non ci investono come dovrebbero, preferendo premiare le persone solo in base al numero di voti di cui sono o potrebbero essere portatori. E le città restano, nel bene e nel male, in balia della sorte già conosciuta – la sciagura della ricandidatura dell’uscente – o del nuovo che vuole provare a se stesso di essere capace. Quella classe dirigente a cui affidare il proprio futuro non c’è e non si vede arrivare all’orizzonte.