La crisi della politica e la via giudiziaria al potere

Con la stagione dei “partiti personali” e “dei partiti del capo” c’è una caduta di credibilità della classe dirigente. Lo sforzo per rovesciare tale condizione non può e non deve interrompersi.

La cosiddetta “via giudiziaria al potere” è una prassi talmente vecchia e antica che non merita neanche di essere approfondita. Una prassi ben nota e collaudata nella sinistra ex e post comunista che risale agli inizi degli anni ‘70 con il celebre monito di Aldo Moro del “Noi Dc non ci lasceremo processare nelle piazze” rivolto al Pci dell’epoca per la vicenda legata all’affare Lochkeed del marzo ‘77. Una costante già ben presente nell’esperienza della Dc durante la sua lunga stagione di governo – basti pensare, per citare un solo esempio, all’epico scontro in un dibattito alla Camera dei Deputati tra il Ministro e leader della sinistra sociale Carlo Donat-Cattin e Violante, al tempo parlamentare e capo indiscusso della corrente giustizialista del Pci – e che si è scientificamente affinata e rafforzata nella cosiddetta seconda repubblica. In sostanza, contro chiunque ostacoli la strada della sinistra al potere.

Del resto, c’è una copiosa letteratura al riguardo e ogni qualvolta qualche esponente della destra o del centro destra – è il caso, adesso, dell’ex democristiano e esponente di punta di Fratelli d’Italia Crosetto – tira fuori dal cassetto la polemica contro qualche settore della magistratura accusata di tramare contro il Governo in carica, si apre la solita sceneggiata delle dichiarazioni che ormai rispondono ad un copione collaudatissimo e sempre uguale a se stesso. Ovvero, la sinistra e i populisti che difendono in modo intransigente e a spada tratta la magistratura, tutta la magistratura, e la destra o il centro destra che pongono dei paletti e lanciano accuse.

Ora, al di là del “caso Crosetto”, l’ultimo in ordine di tempo, c’è una considerazione che non si può non avanzare. E cioè, se è vero, com’è vero, che la scorciatoia della “via giudiziaria” al potere era e resta una delle strade più gettonate a sinistra, al di là delle mille sfumature di rosso, è
altrettanto vero che questo si rende possibile e praticabile quando la politica è debole e quando, soprattutto, la sua classe dirigente è vulnerabile e labile. Purtroppo con la stagione dei “partiti personali” e “dei partiti del capo” la caduta di credibilità della politica e della sua classe dirigente è aumentata in modo esponenziale con tutti i rischi che una situazione del genere si trascina dietro. E questo a prescindere ancora dalla tanto declamata riforma della giustizia, puntualmente e solennemente annunciata e poi, altrettanto puntualmente, smentita perché rinviata o prorogata. E la ragione di fondo di questo cortocircuito tra la politica e la magistratura è riconducibile quasi esclusivamente alla debolezza strutturale della politica e alla fragilità della sua classe dirigente.

È appena sufficiente prendere atto dei mille svarioni e della scarsa qualità dell’attuale classe dirigente al potere – al netto della statura e dell’autorevolezza della Premier Giorgia Meloni – per arrivare alla facile conclusione che anche, e soprattutto, in questa stagione continueremo ad assistere a questo stillicidio tra la politica, o meglio chi sta al Governo, e alcuni settori della magistratura fortemente politicizzata. Ecco perché lo sforzo per ridare qualità, autorevolezza e peso alla politica e alla sua classe dirigente non può e non deve interrompersi. Seppur al netto dei vecchi tic di alcuni settori della politica italiana che preferiscono, per arrivare al potere, le scorciatoie e non privilegiare, invece, il voto popolare e il giudizio degli elettori.