La democrazia dei partiti contro la sudditanza al leaderismo

Esiste certamente il ruolo e la funzione del leader. Ma si tratta, appunto, di un leader che riassume l’identità e l’iniziativa del partito e non di un capo assoluto ed indiscutibile.

C’è poco da fare. Se non rinascono i partiti democratici difficilmente può ripartire la credibilità della politica, la qualità della democrazia e, infine, l’autorevolezza e il prestigio dei politici. Per la semplice ragione che una classe dirigente decolla solo se nei rispettivi partiti ci sono le condizioni concrete per un dibattito autentico, trasparente e vero.  Non può essere la “democrazia dell’applauso” la regola fondante un partito democratico come già ci ricordava Norberto Bobbio in tempi non sospetti, verso la fine degli anni ‘90, quando parlava della salute democratica, partecipativa e liberale dei partiti politici italiani. E gli esempi, purtroppo, li abbiamo quotidianamente sotto gli occhi.

Ora, il nodo da scogliere è proprio quello del profilo del partito. Al di là delle polemiche pretestuose e di qualsiasi attacco personale a questo o a quel leader. Perché, in effetti, non manca la partecipazione concreta delle persone alla vita dei partiti. Partecipazione intesa come presenza plaudente alle kermesse nazionali e regionali del partito. Ma il dato politico che conta, almeno se non vogliamo essere ipocriti o ingenui, è come viene declinata concretamente questa partecipazione all’interno del partito. Ovvero, se conta ai fini della costruzione di una classe dirigente, dell’elaborazione del progetto politico complessivo del partito e della individuazione delle candidature. Perché se su questi tre versanti “decide” esclusivamente il capo tutto il resto è folklore.

La stessa partecipazione, di massa o meno che sia, rientra appunto nella categoria della “democrazia dell’applauso”. E questi, piaccia o non piaccia, sono gli elementi costitutivi e fondamentali che distinguono alla radice i partiti democratici dai partiti del capo. Ed è per questo motivo che i partiti stentano tutt’oggi ad uscire dalla logica dei cartelli elettorali. Perché, e giustamente, scendono in campo quando si avvicinano le elezioni avendo a disposizione massicci strumenti economici per sostenere le campagne elettorali. Oltre a disporre del simbolo da apporre sulle schede elettorali.

Ma tutto ciò è credibile se nei partiti prevale il criterio democratico. Dal riconoscimento del pluralismo al rispetto delle minoranze; dalla valenza degli organi democratici interni alla costruzione del progetto del partito. Dopodiché esiste certamente il ruolo e la funzione del leader, come ovvio e scontato. Ma si tratta, appunto, di un leader che riassume l’identità e l’iniziativa del partito e non di un capo assoluto ed indiscutibile.

Sotto questo versante, tocca ancora una volta a chi ha maggior dimestichezza con la cosiddetta “democrazia dei partiti” far sì che questi strumenti politici costituzionalmente previsti ritrovino le vecchie radici democratiche e liberali a scapito delle scorciatoie autocratiche. Ne va della qualità della democrazia e, soprattutto, della credibilità delle stesse istituzioni democratiche. Perché senza questo soprassalto di coraggio politico e di fedeltà ai valori democratici dovremmo far ancora una volta i conti con partiti padronali, personali e del capo che scoraggiano la partecipazione e riducono la politica ad un confronto tra una ristretta oligarchia.