La differenza esistente tra filosofia della liberazione e teologia della liberazione

Questo testo, leggermente rivisto dall’autore rispetto alla versione originaria, conserva immutata la limpidezza di una analisi sul contenuto proprio di una filosofia d’impianto personalista, anche alla luce del magistero dell’attuale pontificato.

Molto spesso si è parlato in questi decenni, soprattutto negli anni novanta, della Teologia della Liberazione, indirizzo sviluppatosi in America Latina ad opera del teologo Leonard Boff, in quanto oggetto di frequenti scontri col Magistero e non perfettamente in linea con gli indirizzi pastorali dell’allora pontefice Giovanni PaoloII, oggi agli onori degli altari.

 

Meno frequente è la conoscenza della Filosofia della Liberazione, che nulla ha a che fare con la omonima teologia e non ha nessun valore o intendimento contrario al “depositum fidei”della Chiesa Cattolica. La “filosofia della liberazione” è un indirizzo speculativo che nasce anch’esso in sudamerica, ma con finalità completamente differenti. Innanzitutto si tratta di un indirizzo filosofico e non teologico, quindi non ha a che fare con questioni dottrinarie ma di carattere squisitamente filosofico e quindi non ha nulla a che spartire con dispute pastorali e di indirizzo gerarchico, ma vuole essere un itinerario da percorrere affinché la vita sociale possa intersecarsi con i criteri di giustizia e di rispetto dei valori comuni di pace e tolleranza.

 

La “filosofia della liberazione” nasce come indirizzo speculativo nel lontano 1971 a Buenos Aires, in Argentina, in un periodo socialmente e politicamente assai complessso e convulso: un’epoca di passaggio, nel grande e non facile paese sudamericano, da un regime oligarchico militare ad un ritorno in grande stile del peronismo giustizialista. Juan Domingo Pèron ha influenzato e caratterizzato con la sua figura e la sua presenza la politica argentina per mezzo secolo; in quel crinale di anni settanta tuttavia si accingeva a tornare in patria dopo un lungo esilio nella Spagna falangista, dopo il crollo del suo regime nel 1955 e la fine delle speranze dei “descamisados”.

 

Ma era un altro Pèron! Non solo perché lo scalpello della storia ne aveva scalfito i lineamenti e al “caudillo” degli anni quaranta era subentrato un attempato signore avanti con l’età, accompagnato per altro da una nuova moglie, Isabelita, che faceva solo che rimpiangere il fulgore e l’entusiasmo destato tra il 1944 e il 1952 dalla prima, Eva Duarte; ma perché Pèron tornava in patria, e di li a poco al potere, onusto di contatti con logge massoniche, soprattutto la P2 di Licio Gelli che ne aveva favorito il ritorno e avrebbe creato le condizioni nel 1973 per una sua nuova presidenza.

 

I tre anni del potere del rinato “caudillo de Argentina”sarebbero stati forieri non di giustizia sociale, come nel nome del suo movimento, ma di contraddizioni e contrasti anche interni al Partito Giustizialista, in una corte dei miracoli assiepata più intorno alla vorace nuova signora Pèron e i suoi esoterici accoliti che cercavano invano di presentarla al popolo come una nuova “Evita”. Vi erano tutte le condizioni del fallimento politico e della fine drammatica di una parabola politica che molti anni prima, sulle note del “Don’t cry for me Argentina!”, aveva realizzato le speranze di giustizia di un intera generazione di giovani che erano volutamente “descamisados” perché la camicia “nueva” non l’avevano mai posseduto e non solo indossata. La morte di Pèron mise fine al peronismo con una coda di lenta agonia del regime attraverso i brevi e convulsi mesi della presidenza della moglie Isabelita, deposta dal golpe del generale Videla che di lì a poco avrebbe fatto sprofondare il paese negli anni terribili e bui dei “desparesidos”.


In questo contesto nasce e si consolida la “filosofia della liberazione” per porre un argine alla deriva reazionaria e violenta del golpe militare, ma anche per offrire un percorso filosofico politico nuovo nel solco tuttavia di valori consolidati, ad un paese e un continente che erano sempre più preda di appetiti capitalistici senza scrupoli, creando fasce sempre ampie di ingiustizia ed emarginazione. In questo senso ci sono molti punti in comune con la visione filosofico-politica espressa da Emmanuel Mounier soprattutto nel celeberrimo studio “Il Personalismo”.

 

Cosa si propone allora la filosofia della liberazione e cosa puo offrire oggi tale indirizzo ad un mondo postglobalizzato? Certamente tale filosofia non voleva e tantomeno vuole oggi fare concorrenza al comunismo o al marxismo in genere, bensì vuole semplicemente richiamare l’attenzione sul dovere della giustizia sociale e sull’acquisizione del “senso di cittadinaza attiva”.
Alcuni anni orsono mi è capitato di incontrare il Padre gesuita Juan Scannone, il quale mi ha illustrato i cardini della “filosofia della liberazione” e anche fatto dono di un suo articolo pubblicato su “La Civiltà Cattolica” riguardante i concetti fondamentali di tale indirizzo filosofico e politico ancora in Europa poco conosciuto, che egli mette in relazione con alcuni aspetti dell’attuale pontificato. È un indirizzo filosofico che vuole risolvere anche i problemi del profitto, restando nel solco del “giusto guadagno”; vuole rinnovare l’impianto assiologico radicandolo ai valori forti della “persona” come soggetto centrale della vita sociale, ma, soprattutto, vuole aprire l’uomo al confronto con il mondo moderno.

 

Ciò non vuol dire cedere di fronte al relativismo, ma fortificare i valori centrali dell’uomo nella relazionalità sociale come momento essenziale per costruire una “città dell’uomo” espressione della giusta dignità da riconoscere ad ogni soggetto, pur nella forte presenza del pensiero morale cristiano, allo scopo di creare un’etica dello stato e non gia uno stato etico.

 

Come realizzare tutto ciò? Il discorso ci porterebbe oltre i limiti di un breve e modesto intervento, ma credo necessario osservare alcuni momenti del pontificato di papa Francesco per capire che egli non viene solo da un paese “alla fine del mondo”, come disse la sera stessa della Sua elezione ad una piazza S. Pietro gremita di fedeli. Papa Bergoglio si fa interprete nella tradizione della Chiesa Cattolica Apostolica e Romana di un pontificato atteso dai fedeli per dare risposte forti e valide in un mondo che sta cambiando velocemente e dove l’uomo spesso inconsapevole vive avvolto in una pluralità di linguaggi che sovente non è in grado di interpretare.

 

Ecco il grande carisma di questo Pontefice che non ha solo riportato milioni di persone alla fede, ma che scuote a volte inaspettatamente la tradizione per aprirla alle sfide del mondo contemporaneo, pur restando nell’alveo della tradizione dottrinale cattolica. Pertanto “filosofia della liberazione” non va confusa con “teologia della liberazione”. La filosofia della liberazione vuole “liberare” l’uomo dai suoi sentimenti gregari come l’invidia, la superbia, la permalosità, anticamera dell’ideologia della dominanza che nella solitudine dell’emarginazione ha relegato tutti coloro che non hanno voce sociale e dignità umana, facendoli restii ad ogni sollecitazione e risoluti nell’identificare il Magistero con la collusione con il potere politico ed economico.

 

La proposta di papa Francesco è di liberare l’uomo con una filosofia forte che ci renda persone vere, restituendo a ciascuno la degna creaturalità di figli di Dio, quel Dio Padre che ci accumuna tutti nella fraternità umana e che fa dire al Pontefice,”..chi sono io per giudicare?”, giacche è nel tribunale della coscienza, in quel pezzettro di infinito che Dio ha misteriosamente messo dentro a tutti noi, anche a chi ufficialmente non crede, che avviene la vera maturazione dell’uomo. Un uomo libero e forte di capire, giudicare e comportarsi in virtu di principi morali convintamente condivisi e non obbligatoriamente e passivamente obbediti!

 

 

Prof. Giulio Alfano
Presidente Istituto “Emmanuel Mounier-Italia”

 

[Il testo originario è apparso sul sito dell’Istituto Mounier nel 2015]