La Giornata mondiale della gioventù nasconde l’insidia della papolatria

Un’opinione controcorrente sulla realtà dei grandi raduni attorno alla figura del Papa. Non si critica il motivo che informa una iniziativa come quella di Lisbona, ma piuttosto la sua riduzione a episodio di tipo mediatico.

Qualcosa non mi convince. Le Giornate mondiali della gioventù s’inquadrano in fenomeno sempre massivo di “papolatria” iniziato (con evidenti ragioni di simpatia sia pure mediatica) con Giovanni Paolo II e poi proseguito con Benedetto e adesso Francesco. Non si celebra null’altro che il Papa (naturalmente con i mass media – mai così acritici – come potenti corifei). Null’altro che richiami pubblicamente, nel circuito della pubblica opinione, motivi di fede e spirituali. 

Non lo capisco, forse perché sono cresciuto nel clima culturale ostile nei confronti delle adunate (i baschi verdi di Gedda) per Pio XII e poi quella stessa area culturale (sinistra e laici) da quattro decenni almeno non hanno nulla da dire nei confronti di queste adunate il cui significato principale sembra essere, non potendo trovarne altri, una prova di forza di un papato sempre più in favore dei media e sempre più influenzato dalle mode culturali e politiche. 

Naturalmente non giudico chi in buona fede prende parte a tali eventi, ma resto convinto che la comunità dei credenti oggi abbia bisogno di altro. Tanto più considerando la crescente crisi di fede nel nostro mondo occidentale per la quale questi eventi di massa sono per lo più una cortina fumogena che la nasconde. 

Insomma l’attuale “papolatria” per me non è la via virtuosa per rievangelizzare l’Europa e, in più, non aiuta neppure quell’ecumenismo che non ha bisogno di leader mondiali (per forza di cose portatori di messaggi generici, se non superficiali), ma di un di più di conoscenza e di consapevolezza scritturale e anche di storia della Chiesa. In tanti luoghi del mondo esistono spianate deserte e magari ancora qualche croce abbandonate nell’oblio di una fede ridotta per necessità mediatica all’effimero. I credenti nel Cristo liberatore della morte, non possono essere ridotti a un formicaio osannante.

E soprattutto serve (e lo dico per primo a me stesso) la preghiera, quella semplice che nssce nel silenzio e magari nel dolore, dal profondo del cuore. Quella è la vera forza del cristianesimo. Tutte le grandi adunate alla fine si sciolgono e lasciano spazi incolmabili di solitudine nel cuore.