La lezione di Ruffini sui rapporti tra Stato e Chiesa

L’articolo, pubblicato ieri sul “Quotidiano del Sud” e diffuso oggi dal sito “politicainsieme”, prende spunto dall’anniversario del “nuovo Concordato” (1984). Di seguito la parte conclusiva e il link per accedere al testo integrale.

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Il nucleo teorico del giurisdizionalismo liberale consiste nel riconoscimento della libertà di coscienza e di culto per tutti, all’interno di un regime giuridico diversificato tra le diverse Chiese «in ragione della loro diversa posizione

storica, sociale e politica». Ecco, dunque, come Ruffini definisce il “giurisdizionalismo liberale”: «quel sistema di relazioni fra lo Stato e le Chiese, secondo il quale il primo considera le seconde (anche gli istituti in esse compresi)

quali istituzioni o corporazioni, quali enti, per dirla in una parola di diritto pubblico»; quindi, in forza della loro natura, delle loro funzioni e del ruolo che hanno svolto nella storia, enti di interesse generale per la collettività.

Distinto dal giurisdizionalismo liberale è invece il “separatismo”, definito sempre da Ruffini come «quel sistema di relazioni tra Stato e Chiesa secondo cui quest’ultima sia dal primo considerata come semplice associazione di diritto privato».

Nella linea disegnata dal paradigma della libertà religiosa il limite del separatismo laico risiede nella sua astrattezza e incapacità di cogliere l’anima concreta delle istituzioni giuridiche che, qualora fossero imposte, a prescindere dal loro radicamento storico nella vita concreta delle persone, finirebbero per essere percepite come estranee e verrebbero rifiutate, provocando la reazione che, nella fattispecie della vertenza Stato-Chiesa, ridarebbe vigore a soluzioni teocratiche e cesaropapiste. Il giurisdizionalismo liberale, al contrario, ha il merito di essere coerente con l’elemento più profondo della cultura delle persone e di promuovere soluzioni istituzionali ad esse coerenti e ispirate alla libertà.

Il tema della libertà religiosa diventerà centrale anche nella riflessione della Chiesa cattolica durante il Concilio Vaticano II, al punto che ad essa sarà dedicata una formale Declaratio, la Dignitatis humanae (1965). Principale estensore di quel documento fu il padre gesuita John Courtnay Murray, il quale subì l’influenza di Sturzo durante il suo soggiorno statunitense che andò dal 1940 al 1946, e in particolare della lettura dell’opera Chiesa e Stato, già disponibile in inglese nel 1939 e nella quale abbiamo rilevato il profondo apprezzamento di Sturzo per il

giurisdizionalismo liberale di Ruffini.

La libertà religiosa è la prima e fondamentale delle libertà, interessando direttamente il primato della coscienza, custodita nel profondo del cuore di ciascuna persona; qualora essa dovesse venire meno, tutte le altre, presto o tardi, verrebbero a mancare. La ricorrenza dei quarant’anni degli Accordi di Villa Madama può essere l’occasione per riflettere sulle ragioni storiche, politiche, giuridiche, filosofiche e teologiche che condussero persone così distanti nella fede e nell’orientamento politico a ritrovarsi nel nome della libertà di coscienza e rendere così ragione dell’art.

7 della Costituzione che delinea il profilo poliarchico della Repubblica italiana: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

 

Per leggere il testo integrale 

https://www.politicainsieme.com/la-liberta-religiosa-tra-teocrazia-e-cesaropapismo-di-flavio-felice/