La novità di quel mattino di Pasqua

Quando tutto sembra finire nella tristezza e nella rassegnazione, è un nuovo inizio quello che ci attende. Parliamo tanto di transizione, ma non sarà che la vera “transizione” stia proprio nella Pasqua di Resurrezione?

In questi giorni, che sono di riflessione per tutti, ho riletto qualche pagina de La scienza come professione, soffermandomi sul passaggio in cui Max Weber considera debolezza “non riuscire a guardare negli occhi il destino del proprio tempo” e mi sono sorpreso a pensare se Aldo Moro, quando ammoniva tutti “a vivere il tempo che ci è dato, con tutte le sue difficoltà”, avesse presente alla mente quelle pagine dell’economista e sociologo tedesco.
Forse sì, e in ogni caso resta interessante la consonanza delle due riflessioni.
Mi chiedo a quale fonte ricorrere per motivare le due esortazioni (una implicita, l’altra esplicita).

La fonte è proprio la novità di quel mattino di Pasqua in una sperduta terra dell’impero di allora: quando tutto sembra finire nella tristezza e nella rassegnazione, è un nuovo inizio quello che ci attende, in cui il principio speranza si raccorda con il principio responsabilità.
Noi siamo da anni abituati a utilizzare, come una delle chiavi per comprendere tanti profili del nostro tempo, quella della transizione, al cui proposito vale sempre la chiosa, ironica e profonda, di Hans Jonas, per cui “tutto è transizione, alla luce del dopo”. Non sarà che la vera “transizione”, il vero passaggio, stia proprio nella Pasqua di Resurrezione?

Se è così, dirci “buona Pasqua” è qualche cosa di più e di diverso da una buona abitudine sociale: è l’impegno a ricominciare sempre e comunque, nonostante le difficoltà e
il destino del proprio tempo.