La pace? Una cenerentola tra gli arsenali atomici.

La pace? Una cenerentola tra gli arsenali atomici.

 

È  un“anelito profondo degli esseri umani” (Giovanni XXIII). Bisogna ritrovare quello spirito di pace  riproposto, appena due anni fa, dal discorso di Mattarella a Strasburgo davanti all’assemblea del Consiglio d’Europa.

 

Luigi Rapisarda

 

La pace è un bene supremo che si pone come base e fondamento per la comune convivenza dei popoli ed è condizione precipua di sviluppo e progresso delle civiltà. Nell’Enciclica giovannea Pacem in terris pubblicata nel 1963, dopo che per la prima volta il mondo fu ad un passo dal conflitto nucleare e conobbe il sentimento di terrore provocato dalla terribile e apocalittica minaccia di risolvere la crisi cubana, anche a costo di far uso delle armi nucleari, Papa Giovanni XXIII definisce la pace come ”anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi”.

Mentre sullo sfondo, nel richiamare l’imprescindibilità di valori comuni nel segno del rispetto dei diritti dell’Uomo, il perseguimento del bene comune, la tutela delle minoranze nazionali, il rispetto tra le nazioni, si coglie tutto la faticosa e ininterrotta opera che richiede il mantenimento di comuni condizioni di pace, mai disgiunta da un opera di perseguimento costante a partire dalle politiche nazionali di ogni paese.

Oggi il mondo, con una globalizzazione da cui è molto difficile divincolarsi, nonostante le recenti disillusioni scoperchiate dalla pandemia da covid 19, ha una interdipendenza inestricabile tra i diversi paesi che permette altre forme dissuasive.

Tuttavia le recenti pressioni economiche messe in atto attraverso un intricato ventaglio tra sanzioni e interdizioni commerciali(embargo) mirate, non hanno prodotto i risultati sperati nel conflitto Russo-Ucraino. Anzi hanno finito per dare la stura ad una sempre più strutturata forma di blocchi contrapposti: da una parte Nato-Occidente, dall’altra Russia e alleati asiatici Cina e Corea del Nord, mentre l’India per ora sta a guardare.

Scenario che è stato ritenuto da parte di attenti osservatori: non proprio una bella prova di sagacia politica e lungimiranza. Soprattutto per non aver dato il giusto peso all’intreccio di esigenze e di rapporti, da quelli secolari, alle strette consanguineità dei popoli contigui, alla giusta tutela delle minoranze linguistiche, in quella estrema parte dei territori dell’Est europeo, con gli inevitabili effetti: tra divisioni, timori, pretese e contrapposizioni, anche in termini di rafforzamento delle dotazioni militari, che un’estensione della sfera di influenza, avrebbe prodotto, in un quadro di nuovo ordine mondiale  che non si prefigurava lontano.

Tanta disinvoltura nello spostare sempre più in avanti le frontiere di difesa atlantica, senza la previsione di zone cuscinetto, ha spinto persino il più autorevole dei Ministri degli Esteri degli Usa, Henry Kissinger, a esprimere, qualche anno fa, grosse perplessità e riserve su questo procedere da parte degli Stati Uniti e della Nato, ed a proposito dell’Ucraina ne consigliava la neutralità e un sistema federale per controbilanciare la forte presenza di ampie minoranze russofone, sulla falsariga della Finlandia.

E in esito a quegli eventi Romano Prodi sostenne, in una intervista al Corriere della Sera (26 maggio 2015): “Isolare la Russia è un danno. Il problema è avere chiara l’idea di dove devi arrivare. Se vuoi che l’Ucraina non sia membro della Nato e della Ue, ma sia un Paese amico dell’Europa e un ponte con la Russia, devi avere una politica coerente con questo obbiettivo. Se l’obiettivo è portare l’Ucraina nella Nato, allora crei tensioni irreversibili”.

Mentre Sergio Romano, già ambasciatore italiano presso la Nato e poi a Mosca nel 1985-1989, non mancò di sottolineare così tutte le sue perplessità: “La collocazione che intravedevo come desiderabile per l’Ucraina era quella della neutralità, il paese doveva diventare neutrale. È stato completamente irragionevole prospettare la possibilità dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Perché la Nato è un’organizzazione politico-militare congegnata per fare la guerra”.

Questa indifferenza strategica, o se vogliamo disattenzione, ha finito per acuire un rapporto già teso da anni, subendo poi un’accelerazione da quando Putin ha messo in atto la unilaterale annessione della Crimea e prima ancora la guerra in Georgia, nella pretesa idea di una naturale appartenenza alla propria sfera di influenza. Insomma non si può negare che ci sia stata una miope strategia del nostro comune sistema difensivo e un pressappochismo nelle relazioni di politica estera e qualche ambiguità che ne ha dato talora un senso distorto delle tante “mission militari”.

Oltre al fatto che il non essere riusciti a prevenire, con opportune iniziative negoziali, le giuste esigenze di sicurezza delle linee di demarcazione del fianco euroasiatico, ha finito per lasciare spazio a irrazionali disegni di nuovo revanscismo imperialista.

Un vulnus di strategia che un autocrate come Putin, fuori da ogni conformità allo Stato di diritto e da ogni pur labile modello democratico delle proprie istituzioni, ha saputo cogliere, incuneandosi nelle pieghe di questa imprudente strategia, per perseguire, al costo anche di un conflitto nucleare, i suoi obiettivi espansionistici.

Questo mi pare un punto essenziale che in questa vicenda non può essere ignorato. Così come non può non intravedersi, dietro l’aggressione all’Ucraina, un chiarissimo scontro di civiltà e di modelli di organizzazione politica sui territori. Da una parte le democrazie e tutta la complessità dei loro processi decisionali. Dall’altra una nazione immensa ed il suo modello autocratico, guidata da un despota che oppone ai sistemi democratici, ai suoi valori di libertà, di pluralismo e di rispetto dei fondamentali diritti della persona, un potere assoluto, dai processi decisionali rapidi e senza contrappesi o limiti e senza un minimo rispetto delle Convenzioni internazionali.

In questo quadro, ogni decisione appare assai difficile mentre sui tetti delle città piovono tonnellate di bombe, con sempre più elevate perdite di vite umane tra la popolazione, composta soprattutto di donne, vecchi e bambini. E, non appare di certo rassicurante che il tutto avvenga mentre si susseguono risoluzioni dell’Onu che continuano a valere solo come petizioni di principio, senza esito concreto, come senza esito sono risultati a tutt’oggi i diversi moniti e gli incontri del suo segretario generale, Gutierrez, con il presidente Putin.

E la stessa Ue non si distingue per grande attivismo, tra veti e contorsioni da parte di alcuni dei suoi membri. Mentre l’adozione di una linea di sostegno, senza condizioni, di ogni tipo di armi, le ha fatto perdere quel carattere di terzietà, indispensabile per un ruolo credibile di mediazione.

Anche se è vero che poco si è colta una reale volontà di sedersi ad un tavolo. Così a poco è servito il particolare filo rosso che Macron ha tenuto attivo con Putin. Giunto persino a un capovolgimento stupefacente, complice la presa d’atto del suo fallimento, tanto da indursi a proporre un coinvolgimento diretto di paesi affiliati alla Nato. Un’imprudenza che, per fortuna,ha trovato il fermo no da parte degli Usa e degli altri paesi Nato, attenti ad evitare occasioni di ulteriori pretesti che darebbero davvero la stura allo scoppio di una apocalittica terza guerra mondiale.

Sicuramente altri sbocchi potrebbe prendere la controversia tra Russia e Ucraina se la Cina (che, a sua volta, trascina la controversia con Taiwan) si decidesse di esercitare un ruolo di mediazione. Unica, in questo momento, capace di far ragionare Putin, in un quadro di comuni intenti con gli Usa, potrebbe dare fattiva soluzione in un tavolo negoziale per un nuovo assetto geopolitico.

Il fatto è che al momento preferisce non coinvolgersi direttamente nella soluzione di questo conflitto. Ma il suo stare a guardare non fa che aggiungere nuova inquietudine sui possibili sbocchi futuri di questo conflitto. Ecco perché non possiamo permetterci di sottovalutare le altissime probabilità di una escalation senza fine.

Per questo appare necessaria una “nuova” Helsinki, sotto l’egida dell’Onu, assicurando, da una parte, una zona cuscinetto tra Russia e l’area continentale di quelli che possono essere i confini di massima espansione dell’Unione Europea e, dall’altra, dare soluzione alla questione aperta di Taiwan ed alla questione mediorientale, arroventatasi ulteriormente dopo il brutale attacco di Hamas del 7 ottobre scorso con sequestro di oltre un centinaio di ostaggi) e la risposta altrettanto dura (talune cancellerie, a cominciare dal presidente Biden, non hanno mancato di definirla esagerata) di Netanyahu, che non fa prevedere una imminente soluzione.

Bisogna ritrovare quello spirito di pace fortemente riproposto, appena due anni fa, dal discorso di Mattarella a Strasburgo davanti all’assemblea del Consiglio d’Europa. Eccone alcuni fondamentali passaggi: “…occorre prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi. E di cui fu figlia l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa”. E poi continuava: “…La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca. La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva. Dobbiamo saper scongiurare il pericolo dell’accrescersi di avventure belliche di cui, l’esperienza insegna, sarebbe poi difficile contenere i confini”. Ed infine: “..Occorre fermare in ogni modo una escalation che rischia di portare drammaticamente a un terzo conflitto mondiale”.

Auspichiamo che anche il nostro governo, nel quadro di un più autonomo posizionamento che la tendenza più isolazionista degli Usa, e con un interesse mirato soprattutto sul versante indo-cinese, ci impone (cosa che anche l’Ue dovrà seriamente considerare), trovi una linea comune con le opposizioni, come si è già sperimentato in questi giorni a proposito della strategia difensiva contro le aggressioni degli Houthi alle nostre navi commerciali nel mar rosso, affinché si prodighi concretamente per una soluzione pacifica a breve.

E ciò in un quadro di maggiore autorevolezza e pragmaticità da parte dell’Ue per contribuire a dare soluzione alle questioni controverse. Un contesto negoziale che ben potrebbe essere organizzato attorno alle due parti in causa, e la presenza delle grandi potenze, affidando all’Onu la promozione, sul modello della Conferenza di Helsinki, magari nel solco di una visione universalistica e ideale delle relazioni internazionali, come vagheggiato da Woodrow Wilson, in quella chiave di lettura che fu di Henry Kissinger, come mezzo a fine per costruire un mondo di pace perpetua garantito dalle istituzioni internazionali.